di Walter Luzi
Monti della Laga. Ultima wilderness. Amazzonia d’Italia. Tutto vero. Non sono sparate pubblicitarie. Libri, guide, app, sentieri segnati e mode hanno portato qui, a frotte, i camminatori della domenica. Più o meno rispettosi dell’habitat. Ma i custodi, i cultori, gli innamorati più appassionati di questi luoghi quasi incontaminati restano loro. I montanari. Quelli che qui sono nati, come i loro avi, e che qui hanno scelto di restare a vivere. Nonostante le asprezze e i sacrifici di sempre, i terremoti e le troppe promesse di sviluppo mancate. Quelli che solo fra questi boschi si sentono veramente vivi. Respirando il vento che piega le cime degli alberi e lo scroscio delle acque dei mille ruscelli.
Quelli come Ascenzio Santini. Uno di quelli di Pozza e Umito. Gente rude all’apparenza, ma con il cuore grande. Che hanno saputo vivere per millenni in simbiosi con l’ambiente, e che vogliono continuare a farlo. Con orgoglio. Quelli che hanno scritto con il loro sangue la pagina più gloriosa e sanguinosa della Storia della Resistenza ascolana. Quelli che, oggi come allora, non si tirano indietro. Mai.
IL FORNETTO DELLA VOLPARA
Riparte da qui, dall’antico fornetto lungo il sentiero che porta alla cascata della Volpara, l’ultima sfida dei montanari di Pozza e Umito. Un luogo simbolo per questa gente. L’insigne e polivalente studioso offidano Guglielmo Allevi riferisce, in una sua pubblicazione del 1892, di questa piccola grotta abitata, forse, già fin dal Paleolitico. Certamente il fornetto è stato usato da sempre per la panificazione in loco fino agli anni Quaranta. Un altro figlio di questa terra, Gaetano Caucci, lo aveva restaurato già nel 1850. Gaetano era uno di quei pastori che, mentre le pecore brucavano al pascolo, lui qualcos’altro da fare se lo trovava sempre. Più avanti in prossimità degli scivoli naturali di arenaria levigati dalle acque del Fosso della Montagna aveva tirato su addirittura tre casupole in pietra, abitate anche queste fino ai primi anni Quaranta nei mesi estivi. Pastori e coltivatori quelli di Pozza e Umito. E rigogliosi erano i frutti di quelle terre: grano, fagioli, patate e segale. Il letame per la concimazione dei campi d’altronde non mancava di certo. L’antico fornetto della Volpara, pure scampato ai terremoti, si era dovuto arrendere di recente però, all’idiozia di vandali della domenica. Seriamente danneggiato, pericolante, necessitava di un sollecito restauro all’architrave e alle mura in pietra, prima che l’imminente crollo rendesse irreversibile il danno. Sabbia e cemento impastati con acqua e orgoglio di Laga. L’amore per la propria terra più forte di tutto. La gente di Pozza e Umito si è rimboccata così, ancora una volta, le maniche. La generosità, evidentemente, è nel genoma da queste parti.
UNA LEZIONE PER LE ISTITUZIONI
Non ci vogliono appelli o suppliche. Non servono questue, né segnalazioni nei tanti Palazzi del Potere, competenti e distratti. Quelli di Pozza e Umito ci mettono, di proprio, l’idea e la voglia, il tempo e la fatica. E anche qualche soldo. Sono in tanti a mettersi volentieri a disposizione. Quell’antico fornetto sul sentiero nel fitto del bosco, lo sentono come il loro. Si portano da casa le proprie attrezzature, e, chi le ha, anche le indispensabili motocarriole per trasportare i materiali necessari su per la mulattiera. Le birre in fresco sul greto del ruscello. Strada facendo i volontari di Pozza e Umito rendono più facilmente percorribile anche il sentiero.
Ripristinano i muretti a secco franati, rimuovono gli alberi sradicati, approntano passerelle naturali per il guado dei ruscelli. Sanno fare di tutto. Perché quassù, la Storia millenaria insegna, se non sai fare di tutto, non puoi sopravvivere. Fino a quando, negli anni Trenta, a Pozza e Umito non è arrivata la strada rotabile, hanno sempre regnato infatti l’autarchia e il baratto. Ascenzio Santini ha trovato facilmente tanti alleati per questa opera. Vincenzo Pedicelli è di Pozza ed è prezioso perché di mestiere fa proprio il muratore. Sono suoi parenti e vengono da Pito invece Carmine e Giancarlo Pedicelli. Franco Regoli è di Paggese. Comunanze in campo con Fabio Fratini, di Umito, presidente di quella di Montacuto, florido e libero Comune dal XIII° secolo fino al 1866, e Giorgio Tofani, compaesano e omologo nella Comunanza di Umito.
LE COMUNANZE
Eredità medievali. Ma presìdi e garanzie di mutua solidarietà, di reciproco sostegno. Il nipote di Giorgio, Luca Tofani, abita in Ascoli, ma ogni suo giorno libero viene a passarlo quassù, nel silenzio dei suoi castagneti. Aberto Ciampini, di Pozza, è il mastro incisore del legno che ha realizzato anche la targa ricordo di questo evento che verrà appesa all’interno della grotta. Nicola Tocchi è di Umito anche lui. A causa del terremoto si è dovuto trasferire a Centrale, ma torna tutti i giorni al suo paese. E’ il cuoco della compagnia, che accoglie nella sua casupola che sorge in località Scalella, proprio alla fine della sterrata lungo il sentiero per la Volpara. Gli orari per il pranzo sono stati molto elastici in queste ultime settimane per gli amici-volontari del fornetto. Il completamento delle varie lavorazioni è stato sempre prioritario. La data di inaugurazione infatti era stata fissata da tempo per sabato 29 agosto. E quassù sono di parola.
MONTI DELLA LAGA
Luoghi magici ricchi di tesori. Cascate e carbone. Castagne e funghi. E boschi silenti solcati da mille ruscelli. Le stratificazioni di pietra arenaria, di origine vulcanica, non permettono alle acque di disperdersi nel terreno. Anche in estate inoltrata così, l’acqua sulla Laga non manca mai. Su questi sentieri dove i cittadini anche meno avezzi vengono a passeggiare, a rilassarsi, non senza sbuffare se il pendio si fa ripido, per generazioni si è vissuto duramente. Di fatiche immani e quotidiani stenti. Qui transitavano greggi e animali. Ma anche quintali e quintali di carbone ogni giorno. Una delle tante risorse di questi boschi. Solo la neve alta poteva arrestarne il flusso continuo, a dorso di mulo, verso Acquasanta, dove veniva venduto. A volte, purtroppo, anche svenduto, a mercanti senza scrupoli e senza coscienza, che ne tiravano arbitrariamente al ribasso il prezzo di acquisto. Nessun povero carbonaio avrebbe potuto permettersi infatti il lusso di tornare a casa con i muli carichi e le tasche vuote. Quattromila quintali di carbone si producevano in tutta la valle ogni anno. Per gli usi domestici, ma anche industriali, utilissimo com’era per la lavorazione del rame. Per le fonderie di questo metallo era ideale quello di castagno. Il carbone, oro nero, meno pesante e meno ingombrante della legna. Quando quassù arriveranno le strade, e con loro i camion per trasportarla, il commercio del carbonfossile cederà il passo a quello della legna da ardere. Anche perché la vita del carbonaio era fra le più dure.
CARBONE, CASTAGNE, TERRA E GREGGI
Anche i nonni di Ascenzio Santini, e i nonni dei suoi nonni, sono vissuti di questo. Le numerosissime piazzole dove venivano allestite le carbonaie sono visibili ancora oggi, a uno sguardo più attento, fra gli alberi. Piccole radure dove si ammucchiavano ordinatamente, a piramide, i tronchi a preparazione del rito. Carbonai. I neri sacerdoti del fuoco li chiamava Guglielmo Allevi nei suoi libri. Sapienza antica nell’allestimento della pira. Tronchi accostati e accuratamente coperti di fogliame e di terra. Aria che non deve entrare e fumi che non devono uscire una volta che dentro si è creato il fuoco. Il rito dell’apertura progressiva dei fori sulla pira può durare giorni o settimane, a seconda della grandezza della carbonaia. Quando il carbone finisce nei sacchi, le polveri di terra e cenere sono diventate più piccole dei pori. Entrano nella pelle e ci restano per mesi.
Oggi, di tanto in tanto, arrivano le scolaresche in gita istruttiva a far rivivere le carbonaie e il passato. Organizza Laga Nord, l’azienda agricola e agrituristica di Ascenzio Santini. Ancora lui. Con la sua fattoria didattica. Patrimonio inestimabile di conoscenze e tradizioni.
Laga Nord nasce negli anni Settanta come azienda agricola. Nel 2001 parte poi l’omonimo agriturismo. Il cuore pulsante di Umito, soprattutto dopo il terremoto. Qui Ascenzio custodisce una delle collezioni più ricche di aratri a trazione animale.
«La mostra ripercorre – spiega – la sua evoluzione con il passaggio dai buoi ai cavalli, dagli asinelli ai muli. Ne ho qui oltre una sessantina, di ogni epoca. Probabilmente la collezione più ricca d’Italia. Da quelli di legno del 1500, ai più evoluti in metallo, a quello, rivoluzionario, detto dialettalmente voddarecchie. In grado cioè di rimuovere, con una semplice manovra al vomere, le zolle di terra sempre dallo stesso lato, indipendentemente dal senso di marcia».
Collezione pregiata ed invidiabile si diceva. Ma non sono i record a interessare a Santini, piuttosto la Memoria da tramandare. Cerca vetrine importanti e casse di risonanza, dentro e fuori l’Italia, per promuovere il territorio, per mostrare il patrimonio di conoscenze e tradizioni della nostra terra, per far conoscere al mondo le bellezze e le tipicità, anche le più remote e sconosciute, delle Marche. Come il Carnevale degli Zanni. Uno dei quattro Carnevali storici, con Ascoli, Offida e Castignano, del Piceno. Il carnevale degli Zanni di Pozza e Umito, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, legate ai riti propiziatori sulla fertilità della terra. E’ sbarcato anche a Montreal, fra la numerosa e festosa comunità di emigranti acquasantani in Canada.
Il Piceno, l’Acquasantano e Umito, scrigni ignorati di tesori nascosti. «Di questo versante ascolano dei monti della Laga non si ricordano mai – continua Ascenzio – abbiamo la valle del Garrafo che è un gioiello. Abbiamo un sistema carsico di grotte di circa dieci chilometri in parte ancora inesplorate, un lago sotterraneo di acqua sulfurea a quaranta gradi. La gola del Garrafo e la forra di Pito sono uno spettacolo della Natura. Le cascate del rio Prata e della Volpara sono fra le più belle di tutto il Parco, ma, ancora oggi poco conosciute e pubblicizzate. Non troverai una brochure del parco ove se ne faccia menzione».
E vogliamo parlare dei boschi? «Prima della nascita della provincia di Fermo, il Piceno vantava oltre il 90% della produzione marchigiana di castagne – illustra ancora Ascenzio Santini – il castagneto più esteso dell’intera regione si trova proprio nell’acquasantano che può vantare, da solo, la metà dei castagneti regionali. Nelle vicinanze del Laga Nord sorge il più grande, e forse antico, castagno del Piceno, con i suoi quasi dieci metri di circonferenza e mille anni di vita. Lu piantò d’ Scr’cco’ è segnata e catalogata a livello nazionale. Non si è riusciti a salvarlo. Sta morendo a causa di un fungo che ha attaccato le sue radici». Patologia agraria, materia sua.
Da questi montanari, che l’immaginario collettivo vuole ignoranti e cafoni, possono arrivare, a volte, grosse sorprese. «Sono orgoglioso di collaborare da anni, in qualità di consulente tecnico – racconta sempre Ascenzio – con una mezza dozzina di Atenei. Le Università di Ancona, facoltà di Scienze Forestali e Agraria, soprattutto, ma anche con quelle di Bari, Pisa e Padova e, per mezzo di esse, si arriva fino a quella di Parigi».
Alcuni docenti di Ancona per gratificarlo della sua preziosa esperienza maturata sul campo lo hanno menzionato anche nella locandina di presentazione del 25° congresso europeo per le patologie agrarie tenutosi a Milano nel settembre dello scorso anno.
«Il massimo – chiosa lui – per un contadino di montagna figurare accanto ad illustri professori come Murolo, Romanazzi, Urbinati, Corvaro, Gasparrini. Con l’Università Politecnica delle Marche per le Scienze Agrarie e Forestali abbiamo iscritto nel repertorio regionale dell’Assam per le patologie agrarie, cinque cultivar, fra marroni e castagne, che seleziono e innesto nei miei sette ettari di castagneto».
Ma non è finita. Ascenzio è iscritto alla Coldiretti da circa quarant’anni, ricopre le cariche di presidente degli Agriturismi affiliati di Ascoli e Fermo, e di segretario della Comunanza agraria di Montacuto da quasi mezzo secolo. Nel 2017 ha avuto anche l’onore di consegnare al presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’albero di Natale del Quirinale. Un albero tagliato nei suoi boschi.
«Con il presidente del Bim Luigi Contisciani e alcuni assessori del Comune di Acquasanta – racconta fiero – siamo stati ospiti d’onore del Capo dello Stato per una giornata intera. Nello stesso anno con la mia Comunanza siamo stati i primi ad ottenere il certificato ambientale P.E.F.C. (Programme for Endorement of Forest Certification) nel centro-sud Italia. Una garanzia di tutela e corretta gestione, ecosostenibile e virtuosa, delle aree boschive. Quattrocentodiciassette ettari in questo caso. Il primo ed unico, finora, dell’Italia centro-meridionale».
La moglie Lida Martelli discende dai mastri muratori lombardi che nell’Acquasantano si insediarono cinque secoli fa. Con la figlia minore Mariana, Lida si occupa dell’agriturismo. Emidia, la primogenita, invece, laureata in Scienze Forestali, comanda la Stazione dei Carabinieri Forestali di Pergola (Pesaro Urbino). Cresciuta fra motoseghe e trattori fin da bambina accanto al papà, nelle prove pratiche ha superato i più prestanti colleghi maschi. Usando la testa. Come le ha insegnato un buon maestro in famiglia.
SCELTE DI VITA
«Qui in tanti hanno preferito il posto in fabbrica o l’emigrazione all’estero – continua Ascenzio – io invece ho scelto di rimanere su queste montagne. Mi piaceva restare qui, dove sono nato e sono nati i miei avi. Ero convinto di riuscire a tirarci fuori un reddito dignitoso. Agricoltura, castagne, legna, funghi, un po’ di tartufi, nel nostro piccolo. Tornassi indietro rifarei tutto». Unico rammarico la laurea mai conseguita. «Ho sempre amato la teoria, oltre alla pratica – racconta ancora – così dopo il diploma in Telecomunicazioni mi sono iscritto ad Agraria a Perugia. Ma ho mollato a pochi esami dalla laurea. Facevo troppe cose insieme, e poi le basi che mi servivano le avevo già apprese. Ero ansioso di passare subito alla loro messa in pratica. Il pezzo di carta avrebbe fatto felice solo mia madre. Il suo sogno infatti era di vedermi in giacca e cravatta dietro alla scrivania di un ufficio. Un sogno che ho ripetutamente infranto rifiutando diversi incarichi, perché io amo profondamente questa vita all’aria aperta».
Quando la neve, a Pozza e Umito, si tinse di sangue. Ascenzio Santini è nato il giorno dell’Ascensione. A questa festività deve il suo nome. I suoi genitori non si sforzarono molto per trovarne un altro. Il papà Mariano, si è spento qualche anno fa. La mamma ultranovantenne, Emidia Schiavi, è fra le ultime depositarie della Storia e della Memoria di questi monti. E’ la cugina dell’eroe partigiano Gregorio Schiavi, caduto, ventinovenne, durante la rappresaglia nazifascista di quella notte sulla neve alta fra Pozza e Umito. Un viale di Acquasanta oggi porta il suo nome. Emidia, in quella notte fra il dieci e l’undici marzo 1944 c’era. Ha visto con gli occhi dei suoi quindici anni l’orrore della guerra. L’infamia dei fascisti acquasantani che guidarono le truppe naziste mascherati con gli stessi pastrani. L’accerchiamento dei tedeschi a loro volta sorpresi alle spalle dalla reazione pronta ed efficace dei partigiani. Inglesi, americani, greco-ciprioti, jugoslavi e la meglio gioventù di Pozza e Umito si aspettavano quella rappresaglia. Si fecero trovare pronti e vendettero cara la pelle. Ma non riuscirono ad evitare l’eccidio più grande della Resistenza Picena. Anna Sparapani, a Umito, morì bruciata nella sua culla. Aveva solo un anno. Una piazzetta oggi la ricorda con il suo nome, nel punto più alto del paese.
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