di Gabriele Vecchioni
L’enorme tavolato del Pianoro di Colle San Marco, appendice settentrionale della piccola catena calcarea dei Monti Gemelli, sovrasta Ascoli Piceno dall’alto dei suoi 700 metri sul livello del mare. Le ripide pareti di travertino e i fitti boschi, visibili da ogni parte del centro abitato, costituiscono il suggestivo paesaggio che fa da sfondo – a meridione – alla città.
Qualche mese fa, in un articolo relativo alle strutture conventuali ed eremitiche esistenti sul Colle e nelle sue adiacenze (leggilo qui), si ricordava che la Montagna dei Fiori fu definita la “Tebaide ascolana”, per l’alta percentuale di quanti l’avevano scelta per vivere una vita di penitenza.
Tra i tanti luoghi santificati dalla presenza di eremiti e uomini di religione, quello più conosciuto è sicuramente la chiesa-eremo di San Marco, visibile anche dal centro storico della città. Non lontano dal monumento, recentemente restaurato, seminascosti da un folto bosco e vicino al monolito del Dito del Diavolo, ci sono i ruderi del Convento di San Lorenzo in Carpineto e, sotto l’alta fascia rocciosa di travertino, si apre la suggestiva cavità conosciuta come Grotta del Beato Corrado. È proprio di questa emergenza storico-naturalistica che tratterà questo breve articolo.
Poche righe per ricordare che la fondazione del Convento risale al 750, sotto il magistero del vescovo Auclere, davanti allo sperone roccioso noto come Dito del Diavolo, in un luogo dove era già presente un romitorio. La struttura, abitata da monaci benedettini per cinque secoli, fu abbandonata nel XIII secolo; verso la metà del Duecento, il convento “passò” ai francescani (Minori Osservanti). Tra gli altri, visse a San Lorenzo Girolamo Massio (o Masci), futuro papa. Insieme a lui, dimorò fu nel convento anche l’ascolano Corrado Miliani dei conti Saladini (per parte di madre).
La Grotta del Beato Corrado. All’ipogeo si arriva con la scalinata che dall’area prospiciente il Sacrario (costruito per onorare la memoria dei caduti per la Lotta di Liberazione) scende nel bosco fino ad arrivare a una piccola area pianeggiante, sotto la potente rupe di travertino del Pianoro. Con un brevissimo percorso, a destra, si arriva ai ruderi del Convento di San Lorenzo (inoltrandosi nel castagneto, a sinistra, si giunge invece ai piedi dell’imponente macigno colonnare del Dito del Diavolo: la tradizione popolare gli ha dato questo nome “terribile” in contrapposizione alla presenza austera del vicino convento).
Dai ruderi del convento, procedendo verso la parete rocciosa, si arriva in pochissimi minuti alla Grotta del Beato Corrado, una piccola cavità, allargata artificialmente e sistemata per accogliere chi volesse isolarsi dal mondo esterno. La tradizione vuole che in questa cella scavata nella viva roccia abbia vissuto l’ultimo periodo della sua vita terrena il già citato Corrado Miliani dei conti Saladini.
La cavità è di una povertà “francescana” e presenta, all’interno, alcune caratteristiche tipiche delle celle eremitiche in grotta: una canaletta per la raccolta delle acque di stillicidio, una croce in rilievo e un’area incavata, forse dipinta con un’immagine sacra.
Davanti alla grotta, che era chiusa da una porta di legno (sulla cornice laterale ci sono ancora gli incàvi per i gangheri), si sporge uno sperone roccioso, quasi a proteggerne l’ingresso, sulla superficie del quale è scolpita, a rilievo, una croce che fa il paio con quella, identica, scolpita sulla parete interna della grotta. Nessun altro segno la inquina, come se l’autore sconosciuto e i frequentatori avessero deciso di farne un simbolo della sacralità del luogo.
La figura di Corrado Miliani. La biografia (ma sarebbe più corretto parlare di agiografia) del Beato francescano fu compilata diversi anni dopo la morte, quando si intentò la causa di beatificazione. Corrado Miliani dei Conti Saladini – il futuro Beato Corrado – fu evangelizzatore in Africa (primo missionario cattolico nella regione libica della Cirenaica), poi dotto insegnante di Teologia alla Sorbona di Parigi (il top, all’epoca).
Prima dell’insegnamento universitario ebbe, insieme al confratello Girolamo, l’incarico di legato pontificio presso il re di Francia. Fu un frate penitente che dormiva su una tavola di legno, camminava scalzo e per quattro giorni a settimana seguiva una rigida dieta a pane e acqua. Al termine della sua carriera di docente, Miliani si ritirò nella piccola grotta, vicino al convento Sancti Lauretii de Carpeneta, che aveva frequentato da giovane.
La cella dell’eremita divenne mèta di pellegrinaggi, perché a lui erano attribuite virtù profetiche. Corrado morì nel 1289, in odore di santità (avrebbe compiuto anche dei miracoli, risuscitando due defunti), e fu sepolto nel 1371 nella basilica di San Francesco, ad Ascoli Piceno. L’urna che oggi contiene le sue spoglie è dell’artista offidano Aldo Sergiacomi con, in rilievo, storie della vita del Beato e simboli francescani.
Fin qui la memoria popolare. In realtà, sembra che nel 1288 Corrado fosse ancora a Parigi; il suo vecchio amico Girolamo, diventato il primo papa francescano della storia con il nome di Niccolò IV, lo convocò a Roma, per conferirgli la porpora cardinalizia. Corrado, in segno di umiltà, volle raggiungere la Città Eterna a piedi (la tradizione vuole che abbia effettuato il percorso scalzo!); malfermo di salute, durante il lungo viaggio, durato circa quattro mesi (dal mese di novembre del 1288 a febbraio dell’anno successivo), sentì la morte vicina e volle tornare nella città natale, dove si spense il 19 aprile. Ebbe subito la venerazione popolare anche se l’ufficialità della sua condizione di Beato si ebbe solo nel 1783, sotto Papa Pio VI che approvò il culto perché praticato ab immemorabili.
La tenace tradizione che vuole la grotta sotto la parete travertinosa del Pianoro abitata da Corrado Miliani (che l’avrebbe addirittura scavata con l’amico Girolamo) è stata messa in dubbio da Raniero Giorgi, che ha confutato (1963) la storia con il brano seguente: «[…] nella fantasia del secentista Francesco Antonio Migliani che nel 1644 scrisse la Vita del Beato Corrado attingendo a larghe mani dagli Annali e Leggendari francescani, inducendo in errore l’Andreantonelli, il Marcucci e tutti gli altri storici posteriori.
[…] La grotta in parola fu adattata a cella da qualche eremita benedettino – la zona si chiama ancora “Gli eremiti” – che faceva capo al vicinissimo Monastero di S. Lorenzo e che si era proposto di toccare i limiti della metanoia nell’ascetismo. Il nostro Beato probabilmente non l’avrà nemmeno conosciuta e quanto scrive il Capponi che “durante il suo noviziato il Miliani coadiuvato da altri religiosi di quel chiostro (San Lorenzo) ma in particolar modo da Frate Girolamo, incavò con molta maestria una grotta tuttora esistente per farvi penitenza, pregare e meditare” è frutto ingenuo di fantasia monacale».
Che abbia visto o no gli ultimi giorni di Corrado Miliani, l’ipogeo ha un fascino particolare: completamente nascosto dalle rocce e dagli alberi del bosco, dà al visitatore l’idea esatta di come vivessero quelli che, in epoca medievale, sceglievano di rimanere isolati e in preghiera, per salvare sé stessi e l’umanità.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati