Testo e foto di Gabriele Vecchioni
Uno dei temi più intriganti sviluppati nelle opere a fresco che decoravano le chiese fino all’epoca rinascimentale era quello del Giudizio finale, l’evento che, secondo l’escatologia (dal termine greco éskhatos, ultimo) cristiana, si verificherà alla fine dei tempi per confermare il giudizio personale, già ricevuto; era un argomento che necessitava, per la complessità della narrazione pittorica, di grandi spazi: intere pareti venivano coperte dalle spettacolari raffigurazioni.
In questo articolo saranno analizzati, brevemente, quattro diversi Giudizi, conservati in chiese situate in centri facilmente raggiungibili (per le visite occorre prendere accordi preventivi nelle sedi opportune – comune e/o parrocchia).
Premessa. Una breve introduzione per “spiegare” perché sulle pareti delle chiese cristiane, con Madonne, santi e storie edificanti venivano dipinte anche scene di sofferenza e di dolore, oltre a quelle relative alla Passione di Cristo. Maria Nazzarena Croci ha scritto (1994): «In un’epoca di terrore apocalittico come i secoli XI-XIV circolavano gli scritti dissacranti di Gioacchino da Fiore, ma anche numerosi altri testi di visionari, oracolisti […] In questo contesto di profezie, di visioni, di attesa incerta tra la speranza e il terrore del nuovo […] scoppiò una terribile, prolungata epidemia di peste e idee e opere escatologiche trovarono terreno fertile per la loro diffusione: uno spazio importante lo ebbero i Giudizi universali».
La descrizione del topos del Giudizio si deve a scrittori visionari che attinsero ai Dialogi di Gregorio Magno che aveva diviso i fedeli in buoni e cattivi, senza prevedere un luogo intermedio di espiazione; le preghiere dei vivi potevano, però, alleviare le sofferenze dei (con)dannati. Come vedremo, la grave lacuna sarà colmata in seguito. Ricordiamo che fu proprio Papa Gregorio, figura eminente del Cristianesimo, a stimolare la raffigurazione di episodi “didattici” sulle pareti delle chiese, per permettere la muta praedicatio («Le pitture sono la lettura degli illetterati»).
La composizione dei Giudizi seguiva regole certe, come spiega Furio Cappelli (2006): «La posizione naturale di questo soggetto era la controfacciata, poiché il fedele doveva meditare sulla minaccia del castigo eterno nel momento in cui usciva dalla chiesa. Inoltre, il Giudizio veniva svolto in modo articolato, su diversi piani sovrapposti».
Anche se gli autori hanno interpretato il tema secondo le loro sensibilità, in tutti i Giudizi si ritrova la divisione netta della scena in due spazi: l’Inferno alla sinistra del Cristo e il Paradiso alla sua destra. Nel mezzo, la transizione del Purgatorio (ma non in tutti); nei Giudizi più antichi il Purgatorio non c’è, semplicemente perché ancora non era stato “inventato” o, meglio, inserito in un canone dalla Chiesa.
Il Giudizio di Castignano. L’affresco più “vicino” alla nostra zona è quello di Castignano, (ri)scoperto nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo (sec. XIV) all’inizio degli anni ’90 da Daniela Ferriani, nel corso di lavori di restauro sul monumentale altare ligneo seicentesco dedicato a San Giuseppe, poi spostato “a specchio” sulla parete opposta.
L’opera, attribuita al Maestro di Castignano («… per mano del maestro Antonuccio nell’anno MCCCCX …», 1420-30) ha grande interesse storico-artistico ed evidenzia affinità stilistiche con il ciclo di affreschi del catino absidale di Santa Maria della Rocca a Offida (1423). L’intero ciclo è attribuito ad almeno due pittori, legati al Maestro di Offida, probabilmente gli stessi che dipinsero gli affreschi della chiesa abruzzese di Santa Maria in Piano, a Loreto Aprutino, dove è conservato un altro maestoso Giudizio, analogo al “nostro”. L’affresco di Castignano presenta vistose lacune; è possibile una “ricostruzione” dei temi trattati proprio grazie alla somiglianza col già citato affresco di Santa Maria in Piano.
Padre Antonio Salvi, della Segreteria di Stato della Città del Vaticano, in un saggio di qualche decennio fa scrisse: «[…] Il dipinto nella parte di destra raffigura scene di dannati, mentre nel lato sinistro presenta una torre [del Paradiso] notevolmente deteriorata. Nella parte superiore troneggia la figura di Cristo giudice sotto cui è ben visibile la croce con i simboli della passione. […] le varie scritte, che per lo più fungevano come didascalie alle scene ivi rappresentate. La scrittura è una gotica minuscola, che ricorda le forme librarie proprie di taluni codici liturgici del Quattrocento. […] Vi sono poi varie scene che mostrano i dannati nei diversi contesti peccaminosi. […] Il ponte dall’arcata sottilissima (pons subtilis) e punteggiata da aculei è un elemento ricorrente nella letteratura visionaria medievale […] Da esso precipita – come afferma Gregorio di Tours – chi non fu fedele nell’esercizio della sua missione. […] Un frammento consistente del dipinto concerne la “psicostasìa” delle anime. L’arcangelo S. Michele, rivestito della dalmatica, è intento a pesare le anime. Secondo un’iconografia abituale, due figurine, di cui quella di destra accovacciata, sono nei piatti della bilancia».
Sull’intonaco del Giudizio di Castignano furono graffite «nel luogo della Resurrezione, in basso verso destra» le date di eclissi di sole e di luna, interpretate come segnali di una prossima fine del mondo: «1485 die 16 martii oscuratus fuit sol […] maiori parte […]», «1505 […] die augusti scurata luna […]» e «1539 die 18 aprilis fuit eclipsis solis». Le eclissi erano considerate un evento “pauroso”, predetto dall’Apocalisse di San Giovanni («Il quarto angelo suonò la sua tromba: […] s’offuscò la terza parte di loro» e «[…] il sole si offuscò da apparire nero come un sacco di crine»). Proprio dalla visione terrifica dello scritto deriva il senso dell’aggettivo “apocalittico”.
L’affresco di Loreto Aprutino. L’opera pittorica, realizzata all’inizio del secolo XV nella chiesa di Santa Maria del Piano, appena fuori dell’abitato del comune abruzzese, occupa l’intera controfacciata dell’edificio. Sulle pareti laterali della chiesa sono presenti altri interessanti affreschi, tra i quali le “Storie di San Tommaso d’Aquino” e immagini di Santi, ma è il magnifico Giudizio il “pezzo forte” del monumento.
Si tratta di un affresco molto coinvolgente, soprattutto per la straordinaria vividezza dei colori, mantenutisi pressoché inalterati, grazie all’uso della tecnica dell’encausto (il pigmento era mescolato a cera d’api). Il Giudizio di Loreto è strutturato su tre registri, secondo lo schema “classico” di questo tipo di opera. Il fulcro dell’affresco di Loreto è il “ponte della prova”, sotto il quale scorre un fiume nero di pece (che si presume) maleodorante: è un ponte che, al centro, diventa sottile come un capello (è il già visto pons subtilis). Le poche anime che riescono a passare dall’altra parte vengono accolte da un angelo che le conduce al Paradiso; le altre precipitano e non possono salvarsi.
La figura vestita di una preziosa dalmatica è l’Arcangelo Michele, qui nella sua veste di psicopompo. Nel Giudizio di Loreto, la stragrande maggioranza dei personaggi ha lo sguardo rivolto verso il Cristo in Maestà; San Michele guarda, invece, verso lo spettatore, quasi per ammonirlo, ricordandogli che anche lui sarà giudicato.
Giulia Romano ha scritto (2000): «Belli e interessanti gli affreschi e, particolarmente, per lo spirito ingenuo della narrazione, il “Giudizio delle anime” (XIV sec.) che raffigura il momento del giudizio divino come difficoltoso passaggio su di un ponte sottile quanto un capello che solo le anime sante riescono a superare senza cadere nel fiume di pece bollente, per poi, adornate di vesti preziose, ascendere ai cieli».
Nel registro inferiore dell’opera è rappresentata la “Porta del Paradiso” vigilata da San Pietro: qui arrivano solo le anime, nude, che hanno superato la prova del ponte sul fiume del Purgatorio, dopo essere state pesate (e giudicate) dalla bilancia di San Michele.
Nel registro superiore è stata dipinta l’etimasìa con San Francesco, San Domenico e Sant’Agostino in adorazione del trono vuoto su cui sono posati i simboli della Passione (arma Christi), mentre ai lati si distinguono le schiere dei beati. Dei tre Santi intercessori è Sant’Agostino (qui rappresentato con la mitra vescovile) l’ “inventore” del terzo luogo dell’Aldilà (il Purgatorio, inteso come luogo dell’espiazione di una pena temporanea), base concettuale della visione moderna. Il Purgatorio fu accettato dalla Chiesa nel 1274 (Concilio di Lione) ma fu istituzionalizzato nel 1438 (Concilio di Firenze). I Giudizi si diffusero nelle chiese proprio a partire dal XV secolo. Ai francescani si deve invece la diffusione del “nuovo” sacramento della confessione, con il perdono e l’espiazione grazie alla penitenza.
Gesù è seduto su un trono, all’interno di una mandorla mistica di luce, con ai lati la Madonna e San Giovanni Battista oranti. È il tema della Parusìa, il Secondo Avvento (il ritorno sulla Terra, alla fine dei tempi). Nel Vangelo di Matteo si legge: «Egli manderà i suoi angeli, i quali con lo squillo della grande tromba raduneranno i suoi eletti da quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli», e ancora «Allora si siederà sul suo trono di gloria, e davanti a lui saranno condotte tutte le genti; egli separerà gli uni dagli altri».
All’affresco di Loreto “mancano” l’Inferno e la Resurrezione dei corpi, non per volontà dell’artista frescante ma perché fu “eliminato”, nel sec. XVII, per far posto alla cantorìa lignea, che fu ancorata alla parete di controfacciata ed è tuttora in situ.
Considerazioni finali. L’affresco di Castignano e quello di Loreto Aprutino hanno diversi elementi in comune, storici e artistici. Inoltre, dal punto di vista dell’iconografia, entrambi traggono ispirazione dalla “Visione dell’Oltretomba” del monaco benedettino cassiniate Alberico da Settefrati (sec. XII); l’opera visionaria, forse emendata da Pietro Diacono, ispirò diversi autori (tra i quali Dante Alighieri), e «contribuì alla formazione della credenza del Purgatorio (Jacques Le Goff, 1981)».
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati