di Walter Luzi
Stefano Belà ha 34 anni, e un grande cuore. Lo dimostra la sua storia, raccontata da Cronache Picene mesi fa (leggi qui), lo conferma la sua ultima impresa. Comporre in versi. Ha scelto di tornare alle radici, alla sua terra di montagna, alla vita, semplice e dura, di pastore e allevatore. Solo per amore. Amore per i nonni, riferimenti importanti nella sua vita. Amore per i monti dell’Amatriciano dove è nato e dove ha trascorso una infanzia felice. Dove è sempre tornato, e dove voleva tornare per sempre.
Lo ha fatto nel 2013, dopo la morte di nonno Sante. Ha lasciato il rinomato ristorante gestito dalla mamma e dalla sorella a Moresco, la ribalta, la fama e i successi raccolti con il duo Li Fellaccià. Musica folk, che si nutre di tradizioni e antiche emozioni. E’ tornato dove lo chiamava il cuore, alle sue radici, ai sapori genuini e forti della vita di montagna.
Ha dormito vicino agli animali nella stalla di Petrana, così viva nei suoi ricordi di bambino. Felice. Felice davvero ora. E ostinato a restare. Anche quando il terremoto del 2016 gli uccide nonna Adele ad Amatrice, e gli distrugge la casa appena restaurata. Ostinato a restare anche quando la neve del 2017 gli stermina il gregge e scopre che per sopravvivere può contare solo su se stesso. E sull’amore di Fabrizia.
Con Cronache Picene avevamo raccontato la sua storia di eroe romantico fuori dal tempo. Di persona vera. Del nonno di suo nonno, prima garibaldino e poi brigante, perché deluso dai nuovi padroni del neonato Regno d’Italia. Del suo viscerale amore per la musica popolare. Di Bucefalo, il suo cavallo maremmano da riproduzione preferito, delle sue mucche, Brune alpine e Chianine bianche, di cui va fiero. Del suo amore per la montagna soprattutto. Di cui è cultore e custode, come tutti i montanari. Da cui trae sostentamento, ricambiandolo con cura, e devozione, quotidiane.
Un rapporto quasi mistico, una simbiosi sacrale con la Natura, la montagna, che pretende rispetto, e ti punisce se non ne hai a sufficienza. Ci aveva parlato di Fabrizia, la sua donna, una teramana di città che per amore lo ha seguito fin quassù, ad occuparsi degli animali anche lei. Felice anche lei.
Lo avevamo lasciato davanti alla sua casetta di legno, a Santo Masso di Amatrice, dove la strada finisce, e dove ci aveva accolti con calore. Povera, ma ricca di umanità, e piena, spesso, di tanti amici. Il suo organetto appeso alla parete, insieme a poche foto ricordo. Le più importanti della sua vita. Affaccio mozzafiato sul preappennino laziale. Lo sguardo che non ce la fa ad abbracciarlo tutto. Aria pura. Armonia. Silenzio. Pace.
Oggi abbiamo ritrovato con piacere quel ragazzone ostinato. Testa dura e cuore tenero. Che aveva mollato la scuola al primo superiore, non perché andasse male, ma solo perché quell’aula proprio non faceva per lui. Che aveva regalato per anni tanta gioia ed emozioni al suo pubblico con i suoi stornelli. Generatore di allegria, e qualche sbornia, con il suo organetto. Che sapevamo predisposto ed entusiasta ad ogni fatica e sacrificio, pur di restare sulle sue montagne.
Fra pascoli e boschi, all’aria aperta. Lo abbiamo ritrovato, Stefano Belà, con piacere. Sulle sue montagne ha buttato giù dei versi. Non ci siamo sorpresi più di tanto. E’ sempre un artista lui. Ora anche “poeta”. E abbiamo messo le virgolette per rispetto suo, che un poeta non è, e per rispetto dei poeti veri di ogni epoca. Ma vero, sempre, lo è anche lui. In tutto quello che ha fatto, e che fa. Versi semplici i suoi. Ma si sente quando escono dall’anima. Arrivano per questo a quella di chi li legge. Eccoli.
Le genti di montagna
(di Stefano Belà)
Verdi profili, che lo sguardo segnano,
rumorosi silenzi nelle orecchie cantano.
Lunghi sentieri gli scarponi battono,
luminose essenze la pelle colora.
Aspra la vita su queste cime,
che comandano noi, e le nostre vite.
Salato il sudore sulla nostra fronte
scolpita dal vento e le sue onde.
Ma che bello sentire spesso
quell’antico legame che dice: io resto.
Quella chiara promessa fatta a nessuno,
che lega la montagna al cuore di ognuno.
Magnifiche, imponenti, severe e potenti,
anche con le sue genti.
Freddo un brivido percorre la schiena,
come acqua sorgiva che toglie la pena.
Limpida al mattino, di rosso la sera,
mamma di tutti, della gente più vera.
Ti sposi ogni inverno, ti colori di ottobre,
ci regali paesaggi, colline, e mare all’orizzonte.
Viviamo di te, dei tuoi frutti, sulla tua pelle,
di giorno al crinale, e poi, la notte, a valle.
Ed in quell’ora serale avviene un sortilegio,
che ricorda ai tuoi abitanti di avere un privilegio.
La serena notte accende gli astri e dice alle belle
dormite tranquille, sognate dalle stelle.
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