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Tormento, espiazione ed estasi:
la via della beatitudine
negli affreschi dei Giudizi Universali

SECONDA PUNTATA dedicata alla rappresentazione dell'Aldilà cristiano. Tappe nelle vicine Monteleone (Fermo) e Antrodoco (Rieti) con altre due splendide opere d’arte. I collegamenti col Piceno e l'epidemia di peste del '300 che decimò Ascoli e Macerata
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Monteleone di Fermo. Ben visibile la caratteristica torre esagonale

testo e foto di Gabriele Vecchioni

Dopo aver analizzato, nell’articolo precedente, i Giudizi di Castignano e di Loreto Aprutino, riprendiamo la narrazione con altre due splendide opere d’arte, accomunate alle precedenti dal tema affrescato, la visione dell’Aldilà cristiano.

Madonna della Misericordia a Monteleone di Fermo. Nella foto, è rilevabile un “errore” amministrativo (la provincia di riferimento è ancora quella di Ascoli)

Il Giudizio finale di Monteleone di Fermo. Sulle colline fermane, all’ingresso del paese, sorge la chiesa dedicata alla Madonna della Misericordia, edificata al tempo delle terribili epidemie di peste dei secc. XV-XVI. I santi dedicatari, oltre alla Madonna della Misericordia, generica difensora, erano San Rocco e San Sebastiano, protettori specifici contro il terribile flagello.

A metà del sec. XIV una tremenda epidemia di peste colpì l’Europa, protraendosi fino a metà del ‘600: tra il 1348 e il 1351 morirono 30 milioni di persone (circa il 30% dell’intera popolazione del continente), soprattutto nelle città, per la maggiore densità di abitanti e la mancanza di norme di “distanziamento sociale”. Tra i centri marchigiani più colpiti, Ascoli e Macerata (dove la popolazione fu dimezzata). Il male era incura­bile e l’unica difesa sembrava essere la fede (e la preghiera). Vennero edificate numerose ecclesiae contra pestem, le cosiddette “chiese devozionali”, erette fuori dalle mura cittadine per imp­e­dire agli appestati di entrare in città, riducendo così il rischio di contagio.

Il Giudizio di Monteleone (ph. C. Schiavi)

Alla fine del ‘300 si diffuse, in tutta Italia, la Compagnia dei bianchi (nella nostra zona erano conosciuti come “gli Incappucciati”): uomini e donne indossavano ampi sai di lino bianco, con il cap­puccio; la tunica bianca è la veste che, nell’Apocalisse di San Giovanni, indossano i salvati. Le processioni da chiesa a chiesa degli Incappucciati erano molto fre­quen­tate; si pregava la Madonna e si recitava la giaculatoria «Misericordia e Pace»: è questa l’o­ri­gine del titolo di tante chiese come Santa Maria della Misericordia.

Nell’affresco a Lei dedicato nell’edificio di Monteleone, sotto il manto protettore di Maria sono raffigurati, a destra e inginocchiati, gli incappucciati della confraternita; a sinistra, la gente in preghiera. L’iconografia è quella utilizzata per la Madonna del Soccorso: la Mater Omnium allarga le braccia e accoglie i fedeli sotto il suo mantello.

Nel Giudizio le pene erano rappresentate con realismo

Ma passiamo all’affresco escatologico, ben conservato e perfettamente leggibile, che ci permette un’analisi accurata, in gran parte valida anche per altre opere simili. L’immagine cristologica predominante è quella del Pantocrator (Cristo onnipotente e benedicente); importante la figura di giudice escatologico (della “fine dei tempi”) che conferma il giudizio personale (beati e reprobi). Quest’ultima definizione è presente, come vedremo, nella parte bassa dell’affresco.

L’opera (di Orfeo Presutti, 1548) è divisa in due registri: il Cielo e la Terra. Sopra le nuvole, si erge Gesù Giudice, attorniato da una affollata corte celeste; un coro di angeli intona melodie (presumibilmente) celestiali accompagnandosi con strumenti musicali. In basso, si riconosce il paesaggio delle colline marchi­giane, con il mare Adria­tico sullo sfon­do; sui colli, le città e i borghi fortificati della Marca Fermana: assomiglia a una delle mappe murali dipinte dai geo­grafi del ‘400.

La figura elegante dell’Arcangelo pesatore. A sinistra, riconoscibile la “cacciata” dal paradiso terrestre di Adamo ed Eva

I cartigli esplicitano i messaggi: l’invito ai morti perché risorgano per sottoporsi al Giudi­zio (surgite mortui venite ad iudicium); la sentenza benevola che invita a raggiungere il Padre (venite benedicti patris mei); quella negativa che spedisce i dannati nel fuoco eterno (ite maledicti in ignem eternum).
Altri angeli mostrano gli strumenti della Passione, la croce e la colonna della flagella­zio­ne; due di essi fanno risuonare le trombe che annunciano la Risurrezione.

Ai lati del Cristo, i gruppi dei Beati, identificati da scritte. I più vicini a Gesù sono la madre Maria (che indica al Figlio le anime purganti), il suo precursore, Giovanni Battista (con la croce astile) e gli Evangelisti. Accanto a loro, il tribunale celeste degli Apostoli. C’è il gruppo delle Sante, quello dei Martiri e delle gerarchie ecclesiastiche (vescovi, cardinali, Papa Gregorio e i confessori con la mitra).

Antrodoco. Santa Maria extra moenia e, a dx, il Battistero di San Giovanni

Nella seconda parte (dipinta a tempera) è raffigurata la Risurrezione dei morti che si raggruppano per sottoporsi al Giudizio finale, sentenza pronunciata dall’Ar­cangelo Michele, con la corazza dorata, la spada e la bilancia a doppio piatto, simbolo della psicostasìa: i cattivi precipitano nel mucchio dei dannati, preda dei diavoli che li conducono ad inferos; i buoni, in ginocchio, recitano preghiere di ringraziamento.

Il Paradiso è rappresentato con una figurazione classica (per l’epoca), la Torre del Paradiso e l’Eden come hortus conclusus: all’interno, gli alberi della vita e della conoscenza del Bene e del Male; i due perso­naggi raffigurati in preghiera nel giardino edenico sono Enoc ed Elia, i profeti che Dio trasportò direttamente nell’Al­dilà, senza il necessario tramite della morte corporale. Un cherubino, con la spada sguai­nata, allontana Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, dopo il peccato originale. Il Purgatorio è un luogo di fiamme e di purificazione: i purganti hanno un atteggia­mento di preghiera rivolta al cielo, con la richiesta di un intervento liberatorio. Nell’In­ferno, il dipinto propone il fiume infer­nale e la barca di Caronte che conduce i dannati nel­la città di Dite; si vede anche il ponte del capello che collega le due rive assottigliandosi al culmine dell’arco, costituendo così un’ulteriore prova per i risorti (pons probationis).

Il santo titolare, affrescato all’interno dell’edificio sacro

La struttura dell’Inferno è visibile attraverso dieci “stanzette” (cubicula); l’ultima caverna, la più profonda, ospita la figura gigantesca di Lucifero. I peccati rap­pre­sentati sono le più comuni violazioni dei dieci comandamenti; vengono puniti, in parti­colare, quelli che non hanno rispettato il terzo (Ricordati di santificare le feste: chi non guar­da le domeniche), il quinto (Non uccidere: chi fa homicidio) e il settimo (Non rubare: chi com­mette furto). Sono puniti i peccati capitali (avarizia, superbia, accidia, gola e lussuria, nelle sue varianti dell’adulterio e della sodomia). Le punizioni sono terribili: feri­te e macellazioni con forconi e mannaie; pene del fuoco (bol­litura, bruciature), umiliazione del corpo umano (brutalizzato e profanato); in alcuni casi le immagini sono piuttosto “forti” (per l’epoca e il luogo).

Il Giudizio di Antrodoco. L’affresco è all’interno del batti­stero di San Giovanni (secc. XI e XV), una costruzione isolata vicino alla chiesa di Santa Maria extra moenia, (arti­colo precedente, leggilo qui). L’affresco di Antrodoco chiude il breve excursus iniziato con l’articolo precedente; è il più antico dei quattro, risalente a circa un secolo prima di quello di Castignano.

Il battistero è un edificio a pianta centrale (esagonale), come altri edifici simili aventi la stessa funzione (un esempio a noi vicino è quello del battistero romanico di Ascoli Piceno). Lo spazio interno, «unitario e concluso» ha le pareti completamente decorate da affreschi e da un magnifico Giudizio Universale, che occupa l’intera controfac­ciata. Le raffigurazioni più antiche sono relative a profeti della tradizione giudaica, ci sono poi quattro scene di un ciclo pittorico dedicato al Battista e, infine, il Giudizio, La raffigurazione è piuttosto rara perché è vero che i Giudizi medievali venivano spesso realizzati in controfacciata (il fedele doveva meditare sull’Aldilà nel momento in cui usciva dopo la funzione) ma nelle chiese e non in edifici specializzati come i battisteri. Si può pensare, nel caso di Antrodoco, che la meditazione dovesse riguardare la promessa di fede fatta con il sacramento del battesimo (P. Iacobone, 2017).

Il Giudizio di Antrodoco (spiegazione nel testo)

Nella rappresen­ta­zione, in primo piano, una psicostasìa (pesatura delle anime) di San Michele Arcangelo preannunciata da angeli trombettieri. A sinistra, la Torre del Para­diso con i Beati e, a destra, una rappresentazione arcaica del Diavolo che “cattura” i dan­nati con tentacoli da polipo; nella rappresentazione “manca” il Purgatorio, per le ragioni spiegate nell’articolo precedente (leggilo qui). Nella fascia su­periore, un Cristo in gloria tra gli apostoli, in una mandorla mistica appena ab­bozzata.

In conclusione, poche righe per analizzare la simbologia di alcune delle figure dipinte, presenti in tutti e quattro i Giudizi.

Nell’affresco, altri santi (Santa Caterina d’Alessandria e San’Amico)

La Majestas Domini. Il Cristo in Gloria è inserito nella mandorla mistica (il Cristo giudicante contornato da angeli in volo è la raffigurazione di uno dei pilastri della fede, appunto quello del Giudizio finale, ribadito nel Credo. Nei primi concili ecumenici di Nicea (325) e di Costantinopoli (381) i vescovi elaborarono la formulazione di fede tuttora recitata nel cosiddetto “Credo niceno-costantinopolitano” («…et iterum venturus est cum gloria iudicare vivos et mortuos» – …e di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti»).

L’iconografia micaelica: angelo, guerriero, giudice. In tutti gli affreschi è raffigurato San Michele Arcangelo, al quale ben si adattano le parole di Maria Concetta Nicolai: «[…] è presente il Santo, vincitore apocalittico di Satana, quel San Michele Arcangelo il cui culto si diffuse nella forma semplificata del nome, Sant’Angelo. Nelle raffigurazioni non è il guerriero sereno ma terribile con la spada fiammeggiante ma il giudice “pesatore di anime” con la bilancia della psicostasìa».

 


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