facebook rss

Covid, in prima linea
ci sono anche i volontari
della Croce Rossa ascolana

EMERGENZA CORONAVIRUS - Le testimonianze di tre di loro: Laura, Rocco e Stefania. «Il nostro guadagno è il sorriso di una persona che sta male e cerca conforto in due sconosciuti irriconoscibili, nascosti da quella tuta bianca e quella maschera da sub»
...

di Andrea Ferretti

I volontari della Croce Rossa di Ascoli come sempre in prima linea nella lotta contro il Covid. Tutti i giorni sono a disposizione della Asur sulle ambulanze e con l’organizzazione di numerosi servizi solo apparentemente semplici, ma sicuramente non meno importanti. Una grande macchina organizzativa al centro della quale c’è solo il volontariato e azioni volte ad aiutare il prossimo.

«Sono azioni quotidiane silenziose e delicate, che rappresentano fari nella notte buia che stiamo attraversando – dice Cristiana Biancucci, presidente del Comitato CRI ascolano – ciascun volontario rappresenta un lume di speranza, e tutti insieme stiamo scrivendo un pezzo di storia. I volontari hanno un ruolo importante, oggi più che mai, nel gettare le basi per la creazione di condizioni per la nascita di un nuovo umanesimo basato sulla gratuità».

LE TESTIMONIANZE DEI VOLONTARI

Laura Ciabattoni: «La cosa che mi porto a casa stasera è il dolore dietro le orecchie e sul naso, perché dopo oltre sette ore continuate di trasporti e codici covid, può essere che capiti anche questo. Oggi siamo usciti alle 14,30 e siamo rientrati alle 21 senza mai fermarci, senza poter mai bere, andare in bagno o fare una telefonata a casa. Quando sei in ambulanza covid, provi tante differenti emozioni, senti il peso della responsabilità del tuo ruolo e controlli ogni tuo più piccolo gesto perché non devi contaminare né te ne altri. Indossi la tua divisa rossa con sopra una tuta bianca con tre paia di guanti, calzari, mascherina ffp2 o ffp3, occhiali e visiera, e devi comunque farti i tuoi cinque piani di scale per prelevare un paziente. Si lavora con estrema cautela e col terrore che a fine turno non porterai nulla a casa, ma ne vale la pena perché da volontaria sento l’esigenza fortissima, nonostante la paura, di aiutare chi si trova in un momento di estremo bisogno».

Rocco Palumbi: «Sono autista di ambulanze e soccorritore. E’ da marzo che alterno settimane nei codici verdi del 118 a quelle in cui mi dedico ai codici covid e sospetti covid. Effettuo una media di 30 ore settimanali in Croce Rossa con circa 20-25 interventi. Due sono le domande più ricorrenti dei pazienti o dei loro familiari. La prima è quanto guadagniamo per questi interventi. La risposta è che siamo volontari e il nostro guadagno è il sorriso di una persona che sta male e cerca conforto in due sconosciuti irriconoscibili, nascosti da quella tuta bianca e quella maschera da sub. Un semplice grazie di una persona sofferente, o uno sguardo impaurito che cerca solo un po’ di coraggio, una volta arrivati al Pronto Soccorso, mi ripagano dalla fatica e soprattutto da quello che rispondo alla seconda domanda».

«Questa è se abbiamo paura. La risposta è sì, tanta. Perché, sebbene formati dalla Croce Rossa a fronteggiare tale emergenza, con tute e presidi idonei per la nostra protezione, un attimo di distrazione, la rottura di uno di questi presidi può significare un’alta percentuale di venire contagiati. La paura c’è ed è nostra amica perché ci aiuta a ragionare, a non essere affrettati e a valutare i pericoli. C’è la paura di contagiarci e di trasmettere il virus alle persone che ci circondano, ai colleghi di lavoro, ad altri volontari, alla famiglia, alla mia compagna. Molte persone ci chiedono consigli per evitare di contagiarsi. Le risposte sono sempre le stesse: mantenere le distanze, indossare i presidi, lavarsi spesso le mani, non toccarsi bocca, naso e occhi. Qualcuno sui social mi ha dato del supereroe, ma non siamo eroi, non indossiamo mantelli, ma solo una uniforme con una croce rossa sul cuore».

Stefania Pignotti: «In questo periodo ho anche fatto i trasporti covid come soccorritore, un’esperienza forte. Non può lasciarti indifferente vedere persone con gli occhi persi, che comunque in qualche modo ti chiedono aiuto. E noi, impotenti, possiamo solo rassicurarli e dire loro due parole di conforto. Ci chiamano angeli e, credetemi, per un attimo con i loro sguardi pieni di riconoscenza ci fanno sentire proprio così. Ma uniti supereremo anche questo».

 

 



Articoli correlati


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna alla home page


Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati




X