di Walter Luzi
Signorine e nostalgie. L’epoca dei bordelli di Stato in Ascoli rivive nei ricordi di un brillante quasi novantenne. Luoghi e personaggi della città cancellati, sessantadue anni fa, dalla legge Merlin, che decretava la chiusura delle quasi seicento case di tolleranza sparse per l’Italia intera. Storie di amore a pagamento e di dignità violate. Di romantiche iniziazioni e battaglie nobili per l’emancipazione femminile. Domenico B. forse non sa neppure chi sia stata Angelina “Lina” Merlin ma lui quel Casino di Porta Cartara se lo ricorda ancora benissimo.
«A dire il vero ricordo anche quello precedente – racconta questo baldo ottantottenne – che era ospitato, chissà da quando, in una delle case vicino al Tribunale. Fu proprio la vecchia tenutaria di quella Casa a passare l’”attività” alla signora Eva Pedretti, che la trasferì sul ponte Cartaro».
Qualche metro sotto il livello della strada, vi si accedeva da un breve vialetto in discesa. Qui vi lavoravano decine di ragazze, destinate, in base alla loro avvenenza, alle diverse capacità di spesa dei clienti. «Le più belle ricevevano ai piani più alti – ricorda sempre Domenico – ma io, che non potevo permettermelo, mi sono fermato sempre al primo. Dove si spendevano solo 175 lire per una marchetta».
Una signora emiliana, alla cassa, arringava… l’utenza nel suo inconfondibile dialetto: «Forsa giovanotti! Andiamo in camera, che ci ho delle ragasse libere!». La sognata e bramata alcova era in realtà uno stanzino angusto e spoglio con il letto e il bidet. Quotidiano ghetto dalle finestre sempre sbarrate, che non lasciava speranza di futuro diverso, né sogno di una vita migliore a quelle giovani donne, marchiate a vita.
«Il giorno del mio diciottesimo compleanno, finalmente arrivò – continua sempre Domenico – e con la carta d’identità in tasca quella stessa sera mi presentai all’ingresso. “La Baffuta” mi squadrò da capo a piedi e mi chiese il documento. Torna domani mi ordinò. Gli anni li compi a mezzanotte».
La Baffuta era un donnone irsuto e robusto. Dai modi spicci faceva le veci di buttafuori della Casa, anche se per i più intemperanti bastava una telefonata in Questura per far accorrere, in pochi minuti, la Forza Pubblica ad allontanare gli avventori più indisciplinati. «Feci amicizia con la signora Pedretti – racconta ancora Domenico – perché quando aveva bisogno di fare qualche lavoro di muratura o di manutenzione dello stabile, si rivolgeva sempre a me. Mi pagò sempre regolarmente, senza… baratti, e io le facevo credito volentieri perché era una persona molto seria e corretta. Anzi ogni volta mi regalava anche le sigarette e una bottiglia di liquore Marsala».
La battaglia della senatrice Merlin in Parlamento durò dieci anni. Resistenze maschiliste trasversali molto accese animarono e compattarono l’intero arco costituzionale. Il Fascismo aveva infatti alimentato a dismisura il mito del maschio virile e volitivo, irresistibile conquistatore, dominatore instancabile della donna sottomessa.
«Quando sono stato militare a Verona – ricorda sempre Domenico – solo sul lungo Adige ce n’erano decine di case chiuse al servizio dei cinque reggimenti di stanza. Fanti, alpini e bersaglieri in libera uscita si mettevano in fila davanti ai bordelli».
Come durante la Grande Guerra, nelle retrovie, davanti a baracche di legno appositamente allestite dall’Esercito. Viste le file interminabili che creavano i soldati in attesa del proprio turno, un cartello appeso all’ingresso ammoniva “Che il coito sia breve”. Ma non tutte le sex workers dell’epoca lavoravano nei postriboli.
«C’era chi esercitava in casa sua – prosegue nei suoi ricordi ancora Domenico – come la signora Natalina, meglio conosciuta nell’ambiente come “La Giacobba”, in una rua alle spalle della sede centrale della Cassa di Risparmio».
Non più giovanissima, non particolarmente bella, piuttosto bassa di statura, lei soffriva la giovane ed organizzata “concorrenza”, e cercava di mantenere… quote di mercato praticando prezzi più bassi. 150 lire per ogni prestazione. Ma ad Ascoli non era l’unica lavoratrice autonoma del settore. «Anna “la storta” esercitava in un fondaco al pianterreno dietro al teatro Ventidio Basso – rivela sempre Domenico – ma la regina di Ascoli era la signora Secondina. Una distinta e prosperosa signora emiliana emigrata alle nostre latitudini in seguito all’alluvione del Polesine del 1951, che in via d’Apollo attirava frotte di militari. Un’altra operatrice del settore, conosciuta come “Lu guf’” lavorava invece nel quartiere Flarmonici. Non era particolarmente bella, ma disponeva di una gran bel fisico».
Per tutte loro, e per la loro dignità di donne, si battè Angelina “Lina” Merlin. Veneta di Padova, laureata, insegnante progressista, pacifista e antifascista. Il suo impegno civile contro il regime le costò arresti, rimozione dall’insegnamento e confino. Partigiana valorosa, fu eletta nell’Assemblea Costituente e in quella sede iniziò la sua lotta a favore dell’emancipazione femminile. Fondatrice dell’Unione Donne Italiane, si battè sempre per la rivendicazione e la tutela dei loro diritti. Senatrice e deputata, stracciò la tessera del P.S.I., il suo partito, che aveva deciso di non ricandidarla alle elezioni del 1961. La sua rivoluzionaria legge 75, che entrò in vigore il 20 settembre 1958, di cui fu promotrice e prima firmataria, non è servita a debellare lo sfruttamento della prostituzione.
Oggi si stima che le prostitute, autonome o schiave di organizzazioni criminali siano, solo in Italia, almeno centomila. Una su tre è minorenne. Una su due straniera. Due su tre esercitano in strada. Il mercato del mestiere più antico antico del mondo attira almeno nove milioni di… consumatori, e muoverebbe, secondo il Codacons, quattro miliardi di euro l’anno. Settore in crescita costante, assistito ora anche dalle moderne tecnologie, che non conosce crisi. Lo capì subito anche “La Giacobba” come sarebbe andata a finire. Il giorno dopo la chiusura del Casino di Porta Cartara decuplicò le sue tariffe.
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