testo e foto di Gabriele Vecchioni
Terre sistine è l’identificativo storico-turistico che individua il comprensorio, tra Grottammare e Montalto Marche, che diede i natali al “papa tosto” – Sisto V – e nel quale trascorse l’infanzia, ricordandolo come sua «patria carissima». Papa Sisto elevò poi la “sua” Montalto al rango di città, con tutti i vantaggi che la nuova condizione comportava.
L’anno prossimo cadrà il cinquecentenario della nascita del personaggio e sono previste – norme anti-contagio permettendo – importanti manifestazioni per ricordarlo. In questo articolo le anticipiamo, ricordando la figura del Pontefice con un itinerario virtuale nei luoghi che videro la sua presenza giovanile.
Prima di analizzare la realtà territoriale, qualche frase su questa figura singolare che ha lasciato un segno indelebile nella Storia del Cinquecento italiano (Torquato Tasso scrisse di lui: «Quante le stelle in ciel, in mar l’arene, tanti son del Gran Sisto i merti e i pregi»).
Il futuro papa nacque a Grottammare nel 1521 come Felice Peretti (dal soprannome del padre, Peretto); sul luogo natale, la sorella Camilla avrebbe fatto costruire la chiesa di Santa Lucia (1588-97). La famiglia si trasferì a Montalto Marche e Felice fu “collocato” presso lo zio, frate nel convento francescano che aveva visto il passaggio del santo assisiate nel 1215. Ebbe una rapida e prestigiosa carriera (gli manifestarono stima e ammirazione diversi suoi coetanei, futuri santi – Sant’Ignazio di Loyola e San Filippo Neri, papi e cardinali).
Energico e risoluto, fu il Pontefice che fece completare la cupola michelangiolesca di San Pietro, innalzare ben quattro obelischi, lastricare strade e costruire palazzi (tra i quali il Laterano), iniziare la bonifica delle Paludi pontine e risanare le disastrate finanze vaticane in soli quattro anni. Sisto V iniziò la trasformazione della Roma medievale in quella moderna, lasciando un’impronta urbanistica permanente nella capitale, grazie all’opera dell’esecutore dei suoi desideri, l’architetto ticinese Domenico Fontana. Infine, debellò (seppur temporaneamente) la piaga del brigantaggio e iniziò un percorso di moralizzazione del clero.
Giuseppe Gioacchino Belli, famoso poeta popolare dell’Ottocento, scrisse in un sonetto in romanesco che «nu la perdonò neppur’a Cristo», alludendo all’episodio che lo vide protagonista quando, con un’ascia, distrusse un crocifisso al quale venivano attribuiti falsi sanguinamenti miracolosi. Lo stesso autore “profetizzò” che non ci sarebbe stato un successore omonimo, per il fatto che avrebbe dovuto avere «pe’ nnome Sisto Sesto».
Fu un personaggio rispettato e temuto al tempo stesso tanto che alla morte, avvenuta nel 1590 per malaria, il Comune di Roma registrò che «Hodie sanctissimus dominus noster Sixtus papa quintus, omnibus congratulantibus et maxima omnium laetitia, diem suum clausit extremum» (Oggi il nostro santissimo signore Papa Sisto Quinto, con la massima letizia di tutti, concluse il suo ultimo giorno).
L’itinerario sistino. Il percorso di crinale parte da Grottammare, raggiunge Ripatransone e Cossignano e arriva a Montalto Marche, in circa 30 chilometri. Il tracciato proposto si sviluppa lungo la stretta Val Tesino, aperta dall’omonimo corso d’acqua che nasce dal versante settentrionale dell’Ascensione (dal rilievo del Monte La Torre, non lontano da Force). La foce è a Grottammare, luogo natale del futuro papa e già argomento di un precedente articolo (leggilo qui). Qui ricordiamo solo la già citata Collegiata di Santa Lucia (secc. XVI, su disegno dell’ “architetto papale” Domenico Fontana), con all’interno un organo del Fedeli (sec. XVIII).
Da Grottammare si sale verso Ripatransone, “belvedere del Piceno”, per una strada che offre bei panorami sulle colline litoranee e su quelle interne. Prima di arrivare al paese, si incontra la chiesa rurale di Santa Maria della Petrella (sec. XV), basso edificio con reminescenze gotiche, con l’interno completamente affrescato (più che di un ciclo pittorico, si tratta di una serie di immagini votive; particolarmente interessanti quelle relative alla Passione di Cristo). Nella seconda metà del Novecento, fu staccato l’affresco della “Madonna della Petrella” (1426), attribuito al maestro di Loreto Aprutino e attualmente al Museo Sistino della città.
Nata come cappella votiva (per l’imperversare di una pestilenza negli anni 1399 e 1400), fu successivamente affrescata e si arricchì di un porticato per l’accoglienza dei viandanti; il loggiato fu tamponato dopo la costruzione, a settentrione, dell’edificio destinato a ospitare i pellegrini.
Ripatransone è uno splendido borgo, edificato quasi tutto in laterizio e posizionato su un panoramico crinale dal quale si dominano le colline dell’entroterra: da ricordare gli spettacolari tramonti verso le catene montuose, frequenti nella bella stagione.
Il paese vanta una lunga storia che inizia in periodo protostorico e attraversa diverse fasi (Civiltà picena, IX-III sec. AC; libero comune, sec. XIII, in lotta con Fermo e la sua alleata Offida; città dello stato Pontificio – Pio V la elesse città e sede vescovile, sec. XVI), come testimoniano gli importanti musei cittadini. Nelle Costitutiones Aegidianae (secc. XIV e XV) del legato pontificio, cardinale Egidio Albornoz, Ripa Transonum era una delle civitates mediocres delle Marche medievali.
Ripatransone ha diversi monumenti ed elementi di interesse, tra i quali il massiccio Palazzo del Podestà, poi Teatro Mercantini (secc- XVIII-XIX). Per inciso, Luigi Mercantini, poeta e patriota risorgimentale, è l’autore del famoso Inno di Garibaldi («Si scopron le tombe, si levano i morti! […]», musicato dall’Olivieri e che ebbe grande successo popolare, fino ai primi decenni del Novecento). Nel centro storico c’è poi una stradina, risalente al sec. XV: è il vicolo più stretto d’Italia, “largo” 43 centimetri (ma si restringe fino a 38 centimetri in alto). Come informa il sito del comune, «ha tutti i requisiti per esser considerato “Vicolo”: è stretto, percorribile, pavimentato, congiunge due vie e ha un’apertura – una finestra – che si affaccia sul vicolo». L’Ufficio Turistico del paese rilascia, a chi ne faccia richiesta, un attestato che certifica il suo attraversamento.
Cossignano. Il centro, “ombelico del Piceno” per la sua posizione baricentrica dell’antica Regio che andava dall’area di Ancona fin quasi a Pescara, è un compatto borgo circondato da mura, in un rilassante ambiente collinare, scelto per la “copertina” della rubrica “Il Bello dell’Italia” del Corriere della Sera che gli ha dedicato, a febbraio, un’intera pagina.
«La scelta è caduta sulla località marchigiana per diversi motivi: la bellezza del territorio così spesso immortalata dagli artisti (per esempio Tullio Pericoli è stato tra quelli che meglio hanno raccontato la zona Picena), la suggestione della cinta muraria che caratterizza molti borghi di quella regione, le chiese come quella dell’Annunziata (un po’ luogo di culto e un po’ pinacoteca) e infine la tenacia con cui la terra marchigiana (come quelle abruzzese, umbra e laziale) ha reagito al sisma che ha colpito il centro Italia tra il 2016 e il 2017 (Roberta Scorranese, 2020)».
Montalto nelle Marche. Riguardo l’origine dell’antico centro di Mons Altus, la Guida della Provincia di Ascoli Piceno (1889) ci informa che «Questo copioso paese fu costrutto a spese del Comune di Ascoli nel 548 dell’era nostra per accogliervi gli abitanti dei castelli […] che erano stati distrutti dai Longobardi nel 509». Ancora nella Guida si legge: «La più grande rinomanza di Montalto è dovuta a Sisto V che in essa ebbe i natali (1512) da poverissima famiglia [in realtà, come abbiamo visto, era nato a Grottammare]. Felice Peretti, che salito al trono pontificio, non dimenticò di essere stato due volte Inquisitore, inaugurando il suo pontificato col far giustiziare i fuoriusciti, non si mostrò certo ingrato verso Ascoli e il suo paese natale. Montalto fu eretta per lui città vescovile e capo di presidiato di una vasta estensione di territorio […] Fece erigere nel suo paese natale una zecca, e volle che in tutte le monete coniate fosse impressa l’effigie della sua città prediletta».
Montalto è stata, per quattro secoli, sede vescovile della diocesi che comprendeva anche San Benedetto del Tronto. La sede fu spostata nel 1924 a Ripatransone che, attualmente, la condivide con il comune rivierasco.
Nell’area pianeggiante della media Valdaso, in Contrada Lago (il Catasto del 1772 la definisce «terra arativa alberata, rotiva e selvata») si erge la massiccia costruzione del mulino di Sisto V, alimentato dalle acque dell’Aso mediante un canale di derivazione (il “vallato”).
Il mulino fu fortificato (secc. XIV-XV), per offrire una migliore difesa in caso di eventuali di attacchi (le strutture molitorie erano uno dei primi obiettivi da colpire in caso di conflitto); per alcuni anni fu gestito direttamente da Camilla Peretti, sorella del futuro papa. Il corpo di fabbrica, costituito da tre piani, appare integro nella parte inferiore (sec. XIV); il settore superiore (dov’era il “cammino di ronda”) fu sistemato a colombaia, con la copertura di un tetto a quattro falde sopra la merlatura e il tamponamento degli spazi compresi tra i merli, dove furono inserite finestre circolari con una raggiera di mattoni, forma tipica presente nella campagna marchigiana nei siti di allevamento dei colombi. Per il monumento restaurato è previsto un futuro come luogo di esposizione dei prodotti della Valdaso.
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