di Laura Boccanera (foto e video reportage di Federico De Marco)
«Mi hanno preso per i capelli e mi hanno salvato. Quando ti intubano sei in uno stato tra la vita e la morte, a chi pensa che questo virus non sia grave dico: venite qui al quinto padiglione». Ilaria Perugini è di Milano, il Covid l’ha bloccata nelle Marche dove si trovava per lavoro e lei, quei padiglioni che un tempo ospitavano la fiera, li ha girati tutti.
Dal più leggero a quello più grave dove sei in terapia intensiva, intubato e, come dice lei, «a metà fra la vita e la morte».
Ora sta migliorando, ma da quando ha scoperto di essere stata contagiata sono passati 35 lunghissimi giorni.
Noi nel quinto padiglione del Covid hospital ci siamo entrati: varcare quella soglia significa provare sulla propria pelle cosa significa il termine “vestizione”. Un rituale che chi soffre per l’appannamento di un occhiale o per un po’ di asfissia da mascherina non riesce neanche a immaginare. Calzari, guanti, camice, mascherina. Anche la telecamera viene avvolta nel cellophane. Si entra in una bolla. Qui ci sono circa 100 tra medici, infermieri e personale sanitario che presta soccorso ai pazienti che vanno da quelli in fase di dimissioni a quelli che “non si sa se si risveglieranno”.
I macchinari mandano bip e segnali sonori di allarme e allerta. Ma oggi la situazione è sotto controllo. Il personale rispetto alla prima ondata, quando mancavano dispositivi di protezione e mascherine, lavora con una consapevolezza diversa, ma il Covid ancora spaventa. E lo racconta bene Ilaria, milanese, “domiciliata” dal 29 ottobre a Civitanova, Covid hospital: «mi trovavo nelle Marche per lavoro – ricorda – sono stata contagiata da mio fratello, a sua volta contagiato da una positiva asintomatica. Mi sono accorta da primi sintomi lievissimi, un raspino in gola.
Poi è arrivata la febbre, a 38.5, e poi a 40. Ci hanno seguito in assistenza domiciliare, ma mentre mio fratello aveva febbre ma stava migliorando, io saturavo pochissimo. Mi hanno preso per i capelli e mi hanno salvato. Qui dentro i padiglioni li ho girati tutti: questo è l’ultimo, ma ci vorrà ancora un po’ di tempo per uscire. Ogni giorno ci sono miglioramenti, ma è lento. Sono stata intubata e praticamente vivi in uno stato di morte, vivi tra la vita e la morte letteralmente. E poi piano piano riacquisti le tue capacità psico fisiche, riprendi a mangiare da solo, a recuperare la massa muscolare che viene annullata. Ricominciare a camminare, imparare di nuovo a camminare ti fa venire la pelle d’oca».
Col personale del reparto, spesso gli unici occhi che si incrociano dietro mascherine e tute si forma un rapporto speciale: è Ilaria che scrive il nome della dottoressa sul camice sulle spalle. Unico modo per distinguersi fra decine di tute bianche e volti nascosti da maschere e visiere.
E anche il personale, pure nella professionalità del proprio lavoro spesso si riporta a casa la storia di chi rimane “dentro”. «Non riesco a dimenticare l’intubazione di un paziente – racconta Sue Ellen Farroni – negli occhi ho visto la sua paura, aveva il timore reale di chiudere gli occhi e non aprirli più. Oggi invece c’ho parlato, si è risvegliato, è una emozione grande». «La sera c’è tanta stanchezza – spiega Cinzia Valentini – io sono una strumentista di sala operatoria, qui ti ritrovi a fare altro, con un ritmo diverso. L’atmosfera professionalmente è buona, ma è impegnativo e a volte pesante. La sera torni a casa e sei molto stanco, anche solo parlare ora provoca un calore che è fastidioso. Però sappiamo che quello che stiamo facendo è così importante che il resto passa in secondo piano».
La coordinatrice Daniela Corsi invita tutti ora alla massima prudenza con l’ingresso in zona gialla da domenica: «ci auguriamo che questa terza ondata non si verifichi, però abbiamo appurato che la curva scende solo in caso di lockdown e contingentamento. Una terza ondata sarebbe un disastro, come personale siamo molto stanchi e provati. Il ricordo più bello? L’uscita dal tunnel di Giordano Garbuglia (caposala della rianimazione, ndr) si è ammalato e ha avuto un interessamento rianimatorio, è stato intubato, ma ora è in fase di dimissione».
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