di Walter Luzi
Rodolfo Bruni, in arte Lolò abita ancora nella casa dove è nato. A Li Callare. Nel 1929. Fece un metro e mezzo di neve quell’inverno. Quella via, molto operosa, dove sorgevano ben sette officine, si chiamava via dei Paci e si snodava dalla piazzetta delle Caldaie fino a San Salvatore. Poi l’hanno intitolata alla memoria di uno dei martiri della Resistenza, Serafino Cellini. Rodolfo è l’unico figlio di Francesco e Caterina. Il papà emigra negli Stati Uniti poco dopo il suo concepimento. Lolò lo conoscerà ventuno anni dopo, al suo ritorno, dopo la fine della guerra.
«Mamma era una santa. Gliene ho combinate di cotte e di crude. Gli prendevo i soldi di nascosto dal borsellino per investirli nelle mie attività, o per andare al cinema. Con i miei compagni andavamo a pescare, o a fare il bagno in estate, al fiume, più spesso a rubare la frutta dagli alberi in campagna. In allegria, nonostante i tempi. Nonostante non avessimo niente. Eravamo una decina. Sono rimasto solo io».
Lolò, a quasi novantadue anni, è una sorta di ultimo di quei Mohicani. La sua maestra alle scuole elementari era una vicina di casa che ben conosceva il piccolo Lolò, come lo chiamavano già allora tutti, e la sua combriccola, già da prima dell’inizio del loro percorso scolastico. Una ingovernabile pattuglia di pestiferi, sempre pronta ad ogni più temeraria impresa. Ma a scuola Lolò va bene. Un ispettore inviato dal Duce per selezionare gli studenti migliori, in un’ottica di propaganda meritocratica, lo promuove, insieme ad altri compagni di classe, Romolo e Mario, dalla quarta elementare direttamente in prima media. Il regime ha bisogno dei migliori, e, dunque, questi devono bruciare le tappe, per arrivare prima possibile a servire la nazione.
Ma Lolò non le finisce neanche le Medie. Si iscrive subito alla scuola di avviamento al lavoro, in Piazza sant’Agostino. In quegli anni ha già cominciato già a lavorare come cordaio, nelle rue del centro storico, che diventano laboratori all’aperto per la fabbricazione delle indispensabili funi. Lolò, per guadagnarsi qualche spicciolo, gira la ruota che arrotola il canapo.
A tredici anni, prima ancora che la guerra finisca, entra a lavorare al Mobilificio Gagliardi. Reparto reti. Insieme a Giulio ed un altro amico vanno abitualmente a scaricare polvere nera dai proiettili di artiglieria. Trafugano le granate, rischiando grosso, dai vari depositi militari. Ne ricavano poi, artigianalmente, piccole bombe che usano per pescare i pesci, con velocità e poca fatica, poi, giù al fiume. A Marino del Tronto, un sabato, si sfiora però la tragedia. E’ giorno di paga. Lolò si attarda per riscuotere la sua quindicina al mobilificio. I suoi amici non lo aspettano e si avviano, impazienti, da soli. Il ritardo salva Lolò dall’accidentale esplosione dell’ordigno, che mutila gravemente gli altri. Fu sempre lui tra i primi ad avvistare il convoglio tedesco che occupò la città nel settembre del 1943.
«Ricordo ancora quel primo camion con il telone che occultava un cannone anticarro. Ma anche con qualche soldato tedesco, erano accampati ai magazzini Scalabrini, facemmo amicizia e qualche affare. Poi, dopo la liberazione, dai tanti soldati polacchi, insediati alle Casermette e all’Agraria per quasi un anno e mezzo, compravamo le sigarette che, in quegli anni si potevano avere solo, razionate, con la tessera. I soldi li sgraffignavo, come sempre, dal borsellino della mamma, e le sigarette le rivendevo poi al mercato, o nei cinema. Con i soldati polacchi si barattava di tutto: cioccolate, birra, gallette, oltre alle sigarette».
Lui ha già il pallino del commercio. Veri e propri sciuscià ascolani, Lolò e i suoi compagni, in quegli anni difficili, mirabilmente trasposti sul grande schermo dal cinema neorealista, in film firmati dai più grandi registi italiani dell’immediato dopoguerra. Nel 1953, nella vecchia osteria di Memena, sulla piazzatta del quartiere, le sue figlie, Agnese e Fiorina aprono il bar de Li Callare. L’odierno viale Marconi non esisteva neppure. Il bar Caldaie sarà il punto di ritrovo abituale degli abitanti del posto, che sono stati sempre accomunati da un forte senso di appartenenza, da un orgoglio particolare per le proprie radici.
Lolò ne è uno degli alfieri principali, uno di quelli che è nato, ha lavorato e ha sempre vissuto, in quel perimetro di poche centinaia di metri. Intorno a quella piazzetta, oggi perennemente intasata di traffico e dal parcheggio impossibile. Il 1950 segna una svolta nella sua vita. E’ l’anno dell’atteso ritorno, dopo ventidue anni, dall’America, di suo padre. Che, finalmente, può conoscere. Padre e figlio si abbracciano per la prima volta. Per l’intera durata della guerra, cinque lunghi anni, la famiglia di Francesco non ha potuto ricevere nemmeno una sua lettera dagli Stati Uniti. Un paese nemico. Almeno all’inizio. Lolò è un uomo ormai, e il ritorno del papà porta, e ci voleva proprio, un pò di benessere economico in famiglia.
Lascia il lavoro al mobilifico Gagliardi per intraprendere, è chiaro, una nuova attività commerciale. Ce l’ha nel sangue ormai. La vecchia casa di via dei Paci, e l’orto sul retro, diventano, per un paio d’anni, una rivendita di legna e carbone. Fino all’avvento delle prime bombole a gas. Il padre, che non ha ancora maturato la pensione, riparte per gli States e Lolò si reinventa un’altra attività. Di nascosto della mamma ritira i soldi necessari dal libretto bancario, e acquista il negozietto dove poi aprirà la sua attività. Proprio sulla piazzetta del Li Callare. Il vecchio tabaccaio che lo occupava si è trasferito infatti in viale Marconi e ha liberato il locale.
E’ il 1959. Lolò spende bene le settecentodiecimila lire che gli costa. Lo affitta subito, per poco più di un anno, ad Alessandro, un calzolaio storico di frazione San Pietro. Quando Alessandro trasloca altrove Lolò fa il gran passo. Va in Comune e chiede la licenza. Cartoleria, profumeria, giocattoli, chincaglieria. Licenza merceologica piuttosto vasta, concessa, all’epoca, rispettando il distanziamento con altre attività concorrenti già esistenti. Il sette gennaio 1961 nasce la merceria Lolò. E’ piena come un uovo, spazi angusti, passaggi ristretti, praticamente cunicoli ricavati fra gli scaffali pieni zeppi di scatole e contenitori di tutto ciò che serve per ogni esigenza. Fra le prime clienti c’è una giovane e bella ricamatrice. Si chiama Olga Santini. Lolò, che ne vende tanti, attacca… bottone facilmente. Lei, di tre anni più giovane, cede presto alla sua corte serrata, ed inizia a dargli una mano in negozio già prima delle nozze, che si celebrano il sette marzo 1964.
Il giorno di Natale di quello stesso anno arriva il loro primogenito, Franco. Quattro anni dopo, ma alla vigilia di Natale stavolta, arriva anche Enzo. Molto “produttive”, evidentemente, si rivelano ancora, per Olga e Rodolfo, le idi di marzo.
«Io e Olga abbiamo lottato, e lottato, insieme -confida Lolò – fianco a fianco, per tutta la vita. E’ stata una gran donna. Fondamentale. Per la mia vita e per il lavoro. Ha sempre condiviso ogni mia scelta. Senza di lei non sarei mai riuscito a fare quello che ho fatto. E poi è stata brava anche ad integrarsi entrando nella mia famiglia. E’ venuta ad abitare con la suocera dopo il matrimonio infatti, e si sa che non è mai facile una condizione del genere».
I loro figli crescono nella merceria, prendono presto dimestichezza, ereditano competenze e, soprattutto, amore per questo lavoro. Imparano presto a sapersi muovere fra gli alti scaffali ricolmi di scatole e scatoline. A trovare subito quel che serve al cliente, a consigliare con gusto, come sa fare così bene la loro mamma. A trattare con simpatia, a tratti scherzosamente burbera, la clientela, come sa fare il loro papà. La battuta a Lolò non è mai mancata, e così i pochi spazi liberi davanti al bancone si riempiono, via via, di cartelli scritti a mano con il pennarello, che riferiscono, anno dopo anno, della sua “filosofia”, commerciale, e di vita.
Avvisi che strappano un sorriso, che creano feeling. Lolò diventa presto un punto di riferimento per tutti gli ascolani. Non solo per sarti e sartine, che serve abitualmente. Una chiusura lampo che non va, un bottone introvabile, o una serie di automatici da rivestire con la tua stoffa? Vai da Lolò che risolvi di sicuro. Quello che nessuno ha ce lo può avere solo lui. Franco ed Enzo sbrigano, diligenti, anche commissioni importanti, ed impensabili al giorno d’oggi. Come andare, bambini, in banca per fare versamenti, o pagamenti.
Dalla metà degli anni Settanta per quasi un ventennio, Rodolfo è anche presidente dell’Ascoli Club Caldaie, uno dei covi di tifosi più calorosi della regione. Il presidente Lolò accompagna con feste memorabili, e l’organizzazione di mille trasferte al seguito dell’Ascoli, tutta l’epopea segnata da un altro storico presidentissimo, Costantino Rozzi. Gran bei tempi. Olga lo affianca anche in questa passione. Sempre al suo fianco. Oltre il lavoro, oltre la famiglia, tutto li lega.
Nel 1972 la merceria Lolò si trasferisce nella sede attuale. A poche decine di metri di distanza, proprio dall’altro lato della piazzetta, cuore e simbolo de Li Callare. Molto più spaziosa, ma lo spazio per i mille articoli che puoi trovare solo da Lolò, non basta mai. Un simbolo, una istituzione vivente in questa zona. E non solo. In qualunque altro posto della città, magari in pochissimi sanno dirti chi è Rodolfo Bruni, ma tutti quanti, ci potete scommettere, sapranno indicarvi dove sta la merceria Lolò.
«Oggi – commenta il figlio Enzo – alcuni settori sono stati ampliati, ma le categorie dei prodotti che si possono trovare da Lolò sono sempre gli stessi. Merceria, cartoleria, filati, profumeria, giocattoli, articoli da regalo, sposa, chincaglieria e profumeria».
Nel 1976, e poi nel 1990, c’è necessità di nuovi ampliamenti. In azienda sono entrati infatti a tempo pieno i due figli. Franco nel 1985, al ritorno dal servizio militare di leva, ed Enzo nel 1989. Più tardi, dopo la prematura scomparsa di Olga, nel 2005, e la progressiva messa a riposo di Rodolfo, arriveranno a dare una mano in negozio anche Veronica, la moglie di Franco, e Vittoria, la moglie di Enzo. Si alternano anche loro, all’occorrenza, dietro il vecchio bancone. I cartelli scritti a mano con le massime di Lolò sono ancora lì.
Il ricambio generazionale non cancella il vecchio, non snobba l’obsoleto. Anzi lo esalta, se ne arricchisce. Figli e nipoti, in occasione della festa dei primi sessant’anni di attività, le hanno raccolte in un calendario 2021. Un apprezzato e gradito omaggio per i clienti più affezionati. Rodolfo ha tre nipoti. Camilla, ventitrè anni, figlia di Franco, Francesco, che porta il nome del nonno, venticinque anni, e il fratello minore Paolo, coetaneo della cugina. Francesco ha creato una linea di produzione abbigliamento giovane, commercializzata anche da Lolò. Una attività parallela che ricalca un po’ le orme del nonno, ne perpetua lo spirito commerciale del settore. Il fratello fa il geometra, la cugina studia ancora. Ma la storia della merceria Lolò, statene certi, continuerà.
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