di Stefania Mistichelli
Ansia e frustrazione. Queste le sensazioni maggiormente riportate dai genitori, soprattutto dalle mamme, alle prese in questi giorni con le scuole chiuse, dai nidi all’università, e il lavoro che invece va portato avanti, attuando soluzioni creative per evitare di abbandonare a se stessi figli ancora piccoli.
Tantissime le situazioni che le singole famiglie stanno vivendo, molte delle quali non vengono alleggerite dai provvedimenti presi dal governo, come la possibilità di congedo e il bonus baby sitter.
Abbiamo raccolto qualche testimonianza, per raccontare come si stanno organizzando i genitori per gestire questa situazione per molti versi paradossale.
«Lavorare è un parola grossa – hanno commentato, in coro, alcune mamme – diciamo che ci provo tra un lezione in dad e l’altra».
«Io e mio marito al lavoro dobbiamo andarci, i nostri tre figli sono tutti in dad e sono piccoli. L’unica soluzione è stata quella di affidarli ai nonni, che hanno patologie. Con la paura di farli ammalare», il pensiero di altre.
«Io avrei la possibilità di prendere il congedo, è prevista dal contratto, ma al lavoro – sono le parole di un’altra mamma – siamo tutti genitori, se ci assentiamo chi manda avanti l’ufficio?
E poi il congedo è al cinquanta per cento dello stipendio, non è sostenibile. La soluzione? Lo lascio con i fratelli più grandi, il cuore stretto dall’ansia e il cellulare sempre attaccato a me, pronta a rispondere e rientrare a casa se dovesse esserci bisogno».
«Il piccolo avevo deciso non farlo collegare, alla materna non mi sembrava una cosa necessaria. E’ stato lui a chiedermi “ma mamma io non mi collego con i miei amici?”
E allora ci siamo organizzati per far collegare pure lui con la classe, 45 minuti al giorno, ovviamente con me o mio marito vicino, per permettergli di fare il lavoretto di Pasqua e stare, seppur a distanza, con i suoi amici».
C’è poi la storia di Silvia, libera professionista, come anche suo marito. Il figlio, Edoardo, frequenta le terza elementare di una scuola paritaria della città.
«Il primo giorno di dad, lunedì, ho provato a lasciarlo con mia madre, anche perché io e mio marito avevamo un problema indifferibile.
C’è stato un problema tecnico e mia madre non è stata in grado di ripristinare la connessione, quindi appena ho potuto sono corsa a casa. Da martedì in poi sono sempre rimasta io con lui, cercando contemporaneamente di lavorare. Ho ceduto il mio computer a Edo e ne abbiamo acquistato un terzo, altrimenti io avrei dovuto perdere l’intera mattinata di lavoro. In questo modo, qualcosa riesco a fare, anche perché rispetto all’anno scorso ha imparato ed è molto più autonomo».
Hai pensato a chiamare una baby sitter?
«In realtà no, perché non ne ho una fissa, dovrei chiamarne una che non conosco bene e sarebbe comunque una terza persona esterna che entra in casa.
Il bonus baby sitter dal mio punto di vista è veramente per pochi, sia perché è usufruibile da poche categorie di lavoratori, sia perché non tutti hanno una persona fissa.
Io tra le mie conoscenze conosco solo una famiglia che ha una ragazza che da anni va tutti i giorni, quindi fidatissima. Io oggi non mi fiderei a chiamare una persona nuova».
Come riesci a lavorare allora?
«È un problema perché, a differenza di marzo scorso, non ci sono sospensioni che ci riguardino, né dell’attività di udienza nè per la redazione degli atti, mentre l’anno scorso erano sospesi fino a metà maggio.
Inoltre, i contributi della cassa previdenza, che si pagano normalmente quattro volte l’anno, sono stati sospesi, ma questo significa solo che a dicembre dovremo pagarli tutti insieme. Dal punto di vista della previdenza non c’è nessuno aiuto, tranne per chi fattura pochissimo e quindi, presumibilmente, esercita come secondo lavoro.
Aiuti per gli acquisti del computer ci sono, ma solo per Isee molto bassi. Il bonus baby sitter non è usufruibile con i nonni. Poi noi siamo più fortunati dei colleghi perché facciamo soprattutto consulenza. Chi va in udienza deve andare in presenza e lo fa spesso in condizioni scandalose. Inoltre, siamo fortunati perché la scuola ci viene incontro, fissando le lezioni sempre agli stessi orari per permetterci di organizzarci, ma mi rendo conto che viviamo una situazione di privilegio.
Secondo me, il governo avrebbero potuto dare ai plessi la possibilità di restare aperti. Alcuni sono rimasti del tutto intoccati dal Covid, nel nostro ad esempio non si sono verificate situazioni di contagio. Imporre la chiusura a tutti ha poco senso».
E ancora Josi, assistente sociale, un marito che lavora su turni all’ospedale, due bambini in età scolare.
«Mio figlio ha dieci anni, frequenta la quarta elementare, mia figlia fa la seconda.
La situazione è difficile, ma non abbiamo scelta. Devo dire che si gestiscono da soli abbastanza bene nonostante siano piccoli, hanno imparato lo scorso anno, quando la nostra situazione è stata ancora più impegnativa perché io purtroppo sono risultata positiva e ho vissuto per due mesi confinata in una camera.
Come ci organizziamo: io fortunatamente due giorni alla settimana posso lavorare da casa e gestire la didattica a distanza, mentre per il resto della settimana incastro il mio lavoro con i turni di mio marito, che lavora in ospedale e ha un tipo di impiego che non prevede lo smart working.
Il problema è il giovedì, perché i bambini hanno il rientro – sempre in dad – ma sia io che mio marito siamo al lavoro. Sarò costretta a ricorrere ai nonni, che però preferiremmo preservare perché hanno patologie.
Nello stesso tempo, forse è brutto dirlo, se avessi già una baby sitter non ci sarebbero problemi a chiamarla, ma dovendone contattare una su due piedi non mi fiderei ad affidarle i bambini, non sapendo che stile di vita conduce e conoscendo i rischi che ci sono oggi legati al Covid.
E poi, anche volendo, non sarebbe neanche facile trovarle in questo periodo, secondo me, perché molte hanno paura. Se posso dire la mia, le scuole hanno dimostrato ampiamente di non essere il luogo del contagio; non avrebbero dovuto chiudere».
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