testo e foto di Gabriele Vecchioni
La realizzazione del volume relativo a Castel Trosino (2014), insieme all’amico Narciso Galiè, è stata l’occasione per conoscere una interessante emergenza storico-artistica del territorio, la chiesa di Santa Rufina, alla quale è dedicato questo pezzo (il testo dell’articolo è, in parte, ripreso da quel volume). L’edificio religioso, raggiungibile grazie alla strada provinciale 49 che collega la strada per Valle Castellana con la frazione di San Vito, alle falde della Montagna dei Fiori, fa parte della frazione di Cesano del comune teramano di Valle Castellana, ma è sotto la giurisdizione della Diocesi di Ascoli Piceno.
La struttura si alza poderosa con il suo alto campanile, in un’area rurale, a ridosso di altri edifici. La costruzione risale al XII–XIII secolo e ha subìto diversi interventi di ristrutturazione, per danni conseguenti a terremoti.
L’impianto è analogo a quello di altre chiese rurali abruzzesi costruite intorno al Mille, con linee architettoniche semplici: un’aula rettangolare a una sola navata con capriate a vista e il presbiterio absidato, con la semicupola del catino coperta da lastre di pietra. L’area presbiteriale è separata da quella riservata ai fedeli da un grande arco a sesto acuto; nella chiesa era custodito un trittico dell’Alemanno, poi trasferito al Museo di Arte sacra dell’Aquila.
Il campanile, più antico dell’edificio, è stato realizzato sfruttando una antica torre di avvistamento (come quella di San Vito, anch’essa inglobata nell’edificio sacro) per il controllo e la difesa dei territori dipendenti dalla potente abbazia benedettina di Farfa.
È interessante analizzare, in parallelo, le due chiese, quella di San Vito (sec. XII, dedicata a Santa Maria Assunta) e quella di Santa Rufina (più antica, ma rimaneggiata anch’essa nel sec. XII), che si stagliano nel paesaggio circostante con l’inconfondibile, alto campanile, quasi sproporzionato rispetto alle costruzioni. Nella chiesa di San Vito, la torre campanaria era in asse con la navata e addossata al lato opposto all’abside; per entrare nel tempio, si doveva passare attraverso la sua base, prima dei rifacimenti dei primi decenni del Novecento; a Santa Rufina, invece, la torre, con la base rinforzata da una robusta scarpa, è situata a lato dell’area absidale.
Entrambe le strutture presentano motivi stilistici riconducibili al modello del Westwerk, la cosiddetta “opera occidentale” di età carolingia, un termine che indica il corpo a ovest di una chiesa (a più piani e posto dalla parte della facciata, poiché l’altare e l’abside erano rivolti ad oriente). Il Westwerk, diffuso nell’area del Reno e della Mosa, era concepito per un tempio consacrato al doppio “culto”, religioso e dell’Imperatore, con due torri scalari (cioè munite di scale) laterali. Successivamente, in area francese, questo modello fu ridotto a una torre al centro della facciata, con funzione di difesa e articolata in diversi ambienti sovrapposti. In Italia, con un’ulteriore semplificazione, assunse la fisionomia di una torre campanaria con prevalente funzione tutelare. Queste caratteristiche dell’architettura ecclesiale furono introdotte dai benedettini dell’Abbazia di Farfa che, all’epoca, rappresentava un importante centro politico e culturale; esse si ritrovano in diverse chiese farfensi ma sono rare nella nostra zona.
Nelle chiese in oggetto, la costruzione aveva sicuramente finalità difensive (più evidenti nel caso di Santa Rufina): il campanile dell’edificio religioso, infatti, è alto in maniera eccessiva per essere una semplice torre campanaria e assomiglia più a una torre di controllo del territorio, funzione che probabilmente aveva. Il campanile di Santa Rufina ha, per buona parte della sua estensione verticale, la struttura chiusa (quasi senza aperture, solo alcune buche pontaie) di una torre di difesa; più in alto, sotto la cella campanaria con monofore ad arco a tutto sesto, presenta quattro bifore di modeste dimensioni. Il fatto, poi, che sia quasi staccato dal resto dell’edificio e munito del rinforzo di una scarpa, fa pensare che sia stato riconvertito al nuovo compito solo in un secondo tempo, dopo la costruzione della chiesa.
La torre campanaria di Santa Rufina era, molto probabilmente, una turris speculatrix, una “torre di massimo avvistamento” che aveva, in origine, finalità di controllo della zona. Era un manufatto in collegamento visivo con altre strutture simili (come la torre di San Giorgio sotto Monte di Rosara), parte integrante di un sistema difensivo del territorio (il tema sarà argomento di un successivo articolo).
Tornando alla chiesa, sull’architrave di una finestra è presente il monogramma gesuitico (la sigla IHS con la croce innestata, presente anche nel bacino lapideo dell’acquasantiera, all’interno) e la data 1743, testimone di un importante intervento sull’edificio (la costruzione della navata dell’edificio attuale).
Sul muro di una casa adiacente al fabbricato è applicata una lapide (1958) che ricorda un episodio drammatico qui avvenuto e descritto dal testo inciso, riportato qui di seguito: «Il 3 ottobre 1943, mentre su queste montagne infuriava l’attacco sferrato dai tedeschi contro i partigiani della pace, fui scoperto e circondato con altri sette giovani e sarei certamente caduto sotto il fuoco delle armi automatiche avversarie, se l’invocazione di soccorso che, in quel frangente, intensa si levò dal mio cuore non fosse stata maternamente raccolta dalla Vergine Santa Onnipotente Regina del Cielo. E proprio quando la mia vita e quella dei miei amici stava per essere troncata, un terremoto di straordinaria violenza scosse così fortemente la terra, che grossi macigni rotolarono, e s’ingenerò un tal panico nei soldati tedeschi che, abbandonata ogni cosa, fuggirono precipitosamente a valle./ Memore e devotamente grato, ho voluto che del fatto prodigioso restasse il ricordo in questo luogo dove proprio in quel 3 ottobre celebravasi la festa del S. Rosario./ Cesano, 3 ottobre 1958/ Luigi Ambrosi – Avvocato in Ascoli Piceno».
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati