di Andrea Braconi
Insieme ad amici e familiari sta smontando tutto quello ha acquistato: dal bancone alla cucina, dalla lavastoviglie alla friggitrice.
La voce di Katia Cesari al telefono è in precario equilibrio tra sconcerto e disperazione.
Sconcerto perché quella delibera, la numero 26 del Comune di Montefortino, datata 8 aprile 2021, non se l’aspettava proprio.
Disperazione perché dentro e fuori il Rifugio Rubbiano aveva investito soldi e tempo, rilanciando in pochissimi mesi una struttura chiusa dal dopo terremoto.
E questo nonostante una pandemia che l’aveva costretta ad attendere il primo giugno 2020 per spalancare le porte di quel rifugio adiacente al Grande Anello dei Sibillini e a pochissimi chilometri dalle Gole dell’Infernaccio.
Ma cosa ha spinto l’Amministrazione comunale guidata da Domenico Ciaffaroni ad una simile decisione?
Nella delibera è riportato testualmente come Cesari sia responsabile di “una grave inadempienza contrattuale, con conseguente risoluzione legale (di diritto) del contratto, per clausola risolutiva espressa ai sensi degli articoli 15 e 18 del contratto di locazione”.
Articoli 15 e 18 che sono il fulcro di questa diatriba e cioè, a detta del Comune, la mancanza di una “polizza a garanzia della copertura dei danni dell’immobile e dei beni mobili oggetto della locazione a copertura del rischio di incendio, danneggiamento, furto e vandalismo, per il massimale di euro 60.000” e di un’altra “polizza assicurativa RCT a copertura della responsabilità civile verso terzi per rischi derivanti dall’attività oggetto di affidamento, valida per l’intera durata della locazione, per il massimale almeno di euro 1.500.000”.
Accuse che, in parte, la donna respinge al mittente.
«Non è assolutamente vero quanto sostenuto dal Comune poiché le polizze assicurative che il contratto prevedeva sono state da me regolarmente stipulate e consegnate al Comune, come peraltro mi è stato richiesto il 22 febbraio 2021 poiché il Comune aveva smarrito quelle che già avevo presentato all’epoca».
Altro nodo irrisolto la caldaia. «Quando abbiamo preso la gestione c’era la caldaia rotta, venne fatto un preventivo e mi fu assicurato dal Comune, proprietario della struttura, che sarebbe stata cambiata.
Nel frattempo ho iniziato a fare i lavori a spese mie, prendendo un mutuo di 30.000 euro: qui abbiamo buttato l’anima, tinteggiando tutto, passando l’impregnante al legno, rifacendo una staccionata e portando via 2 camion con tutto lo sporco che c’era, materiale ferroso compreso.
Era un luogo abbandonato che noi abbiamo fatto rinascere e in pochissimo tempo».
Ad un anno e mezzo dalla sistemazione su quella caldaia, però, ancora nessuna novità.
«Nel gennaio scorso, considerata la zona gialla, si poteva ripartire e ho richiamato il sindaco, dicendo che se il Comune aveva problemi a mettere la caldaia, potevo farlo io.
Ho fatto anche scrivere una pec dal mio commercialista evidenziando che pur essendo una manutenzione spettante al Comune intanto potevo procedere io, in modo da rendere il rifugio vivibile e soprattutto utilizzabile.
Per fare questo da contratto ci serviva l’autorizzazione, ma non abbiamo mai ricevuto risposta.
Eppure a Natale come affittacamere avremmo potuto lavorare, avevamo le prenotazioni ma senza caldaia non abbiamo potuto prenderle. E considera che di ristori dallo Stato non abbiamo preso nulla».
Dopo un’altra pec Cesari ha ricominciato a telefonare, si è rivolta anche al vice sindaco senza però alcun esito. Disperata, ha fatto scrivere dal proprio avvocato nel mese di febbraio 2021 per contestare l’inadempimento del Comune (a cui compete la manutenzione straordinaria del rifugio), ma da lì la situazione è giunta fino alla revoca della gestione.
A detta del Comune una mancanza contrattuale di natura assicurativa, che, al momento parrebbe aver interrotto bruscamente un sogno.
«Noi pensavamo di fare qualcosa di importante, di stare qui per diversi anni.
Per questo abbiamo fatto tutto quello che ci spettava ma mai avremmo pensato che dopo aver lavorato complessivamente solo 4 mesi il Comune poteva arrivare a tanto.
Sicuramente non mi arrenderò facilmente sia per il bene del mio paese che degli amanti di questo territorio».
Una notizia triste, per l’area montana, al di là delle rispettive motivazioni tecniche e legali.
Triste perché una struttura ricettiva funzionante, dopo il dramma del sisma e nell’attesa che la pandemia inizi a scemare, rappresenta un fiore all’occhiello che non può e non deve mai appassire. Soprattutto in quel meraviglioso contesto di Rubbiano, che rappresenta la porta ad uno dei luoghi più suggestivi del centro Italia e che, in uno scenario di ripresa, potrebbe rappresentare una carta fondamentale per l’intero sistema turistico regionale.
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