di Tonino Armata
(coordinatore Osservatorio permanente infanzia e adolescenza Comune San Benedetto)
Come coordinatore dell’Osservatorio permanente infanzia e adolescenza del Comune di San Benedetto desidero fare un appello ai dirigenti delle scuole di San Benedetto di assumere la prospettiva per cui, qualunque sia il livello di diffusione del contagio, non c’è alternativa a una scuola in presenza, in sicurezza e attrezzata per colmare i deficit cognitivi, di motivazione, relazionali, emotivi che hanno un’origine più lontana della pandemia e della Dad, ma che questa ha fatto esplodere, allargando disuguaglianze che già prima avrebbero richiesto di essere affrontate.
I risultati dei test invalsi, con la parzialità e i limiti di tutti i test, ne sono un indizio drammatico. Ma lo erano anche quelli degli anni precedenti, che già mostravano come le disuguaglianze negli esiti si sovrapponessero a quelle nella distribuzione della povertà e del disagio sociale, non solo a livello nazionale, ma anche infra regionale, infra cittadino e persino entro la stessa scuola, tra le classi, suggerendo come, accanto alle classi pollaio, ci siano, in barba ai regolamenti, anche le classi ghetto.
Le disuguaglianze nelle opportunità di sviluppo delle capacità e la diffusione della povertà educativa sono un dato ahimè strutturale nel nostro Paese, documentato da innumerevoli ricerche, non solo dai test Invalsi. Esse hanno origine per lo più fuori dalla scuola, ma questa, invece di compensarle, troppo spesso le cristallizza, anche se ci sono splendidi esempi del contrario.
Ci siamo così abituati che la scuola e i diritti degli studenti sono tornati ad essere sacrificabili sull’altare delle priorità di tipo economico. Che si stia giocando con il destino delle generazioni più giovani sembra meno importante dell’apertura delle palestre, delle discoteche e, naturalmente, degli stadi.
La richiesta che sia assicurata la scuola in presenza, dal nido alle scuole secondarie di secondo grado non equivale ad una richiesta di ritorno alla normalità pre-pandemica, se questa voleva dire classi troppo numerose, classi ghetto, scarsa attenzione per i meccanismi di cristallizzazione delle disuguaglianze e di scoraggiamento delle e degli alunni più vulnerabili.
Vanno sì innanzitutto messe in atto tutte le iniziative necessarie per mettere la scuola in sicurezza dal punto di vista del contagio, cercando gli spazi e assumendo il personale necessari per avere classi più piccole non solo per i primi tre mesi, ma in un’ottica di medio periodo.
Va affrontata la questione dei trasporti e degli orari, scuola per scuola, sentendo tutti i soggetti coinvolti e responsabili.
Da questo punto di vista è sconcertante che, a due anni dall’inizio della pandemia e dai problemi che ha creato per la scuola, ci si avvii al terzo anno scolastico ancora più impreparati dello scorso anno. Non si sente parlare né di accordi per i trasporti né di spazi da recuperare per alleggerire e distanziare le classi.
Si punta tutto come è ovvio sulle vaccinazioni di docenti e studenti. Le vaccinazioni sono certo necessarie, persino doverose, ma non sufficienti.
È impensabile che la maggior parte non solo degli insegnanti, ma anche degli studenti sia vaccinata con due dosi all’inizio dell’anno scolastico, stante che per i 12-17enni le vaccinazioni sono iniziate da poco e non ci sono abbastanza vaccini, per non parlare delle resistenze dei genitori, specie dei ragazzini più piccoli, che vanno persuasi con pazienza, correttezza e chiarezza dell’informazione, con il coinvolgimento dei pediatri.
Ma non basta tornare a scuola in sicurezza. Occorre cogliere l’occasione della necessaria riorganizzazione, e delle alleanze e collaborazioni che richiede, per mettere a punto soluzioni non puramente emergenziali e temporanee ai problemi strutturali della scuola. Solo in questo modo sarà credibile l’affermazione del ministro e del presidente del Consiglio secondo cui la scuola è al centro delle loro preoccupazioni perché è in essa che si gioca in buona parte il destino di San Benedetto e della provincia di Ascoli Piceno, delle Marche e dell’Italia intera.
SUI VACCINI – C’è stata una ripresa della circolazione del virus, con la variante Delta, in particolare tra le ragazze e i ragazzi e questo mi preoccupa, perché c’è scarsa consapevolezza tra loro di quanto sia grave il Covid.
E se dai medici parte la campagna per convincere i loro pazienti più giovani, dai 12 ai 19 anni, a fare la puntura in vista del nuovo anno scolastico, la Regione Marche dovrà fare i conti sui professori e i bidelli vaccinati e non.
Confidiamo che il passa parola tra pari sia più efficace.
Nei discorsi tra mamme in spiaggia si sente dire: meglio aspettare. Ma cosa? Attendere vuol dire iniziare la scuola con gran parte della popolazione non vaccinata. Punto per punto, in questo appello, vengono demolite le fake (“i vaccini contro il covid non hanno alcuna influenza sulla fertilità né possono causare effetti collaterali su sviluppo o crescita”) e fugati i dubbi: finora nessuno degli adolescenti che si è vaccinato è stato ricoverato per Covid; i problemi cardiaci che si sarebbero verificati in alcuni ragazzi vaccinati negli Stati Uniti e in Israele sono stati rarissimi e si sono sempre risolti senza problemi.
Pertanto, è necessaria la priorità della didattica in presenza. Ma anche promuovere la vaccinazione nelle scuole, tanto del personale scolastico (docente e non docente), quanto degli studenti. Si ricorda quanto detto dal Comitato nazionale per la Bioetica, “appare eticamente doverosa la vaccinazione del personale scolastico, non escludendo l’obbligatorietà”. E’ necessario raccomandare la vaccinazione degli studenti dai 12 anni in su.
SUL GREEN PASS – Auguro a tutte e tutti felicità. Una parola che la pandemia ha reso stonata, ma che dobbiamo ricordare. Per ricominciare. La felicità si costruisce stando insieme. E con questo appello dico alle studentesse, agli studenti, alle professoresse, ai professori, ai dirigenti e a tutti gli operatori di ogni ordine e grado delle scuole di San Benedetto che: il Green pass è libertà.
Tenere a distanza chi non vuole vaccinarsi non ha nulla di discriminatorio, è una misura elementare minima di difesa della libertà (e vita) degli altri.
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