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Elezioni, malumori nel Pd
dopo la mancata coalizione
Marini: «Serviva più coraggio»

SAN BENEDETTO - Il segretario del locale circolo nord manifesta la sua delusione per il fallimento dell’alleanza di centrosinistra. Oltre a Paolo Canducci, leader dei Verdi che con la sua assenza ha fatto saltare il banco delle trattative, a finire nel mirino del democratico sono il segretario comunale Claudio Benigni e i dissidenti del partito, pronti a convergere attorno sullo stesso Canducci
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di Federico Ameli

 

Dopo il nulla di fatto della grande coalizione progressista da affidare alla responsabile regionale di Legambiente Francesca Pulcini, per il centrosinistra sambenedettese è tempo di raccogliere i cocci di un’intesa mai realmente raggiunta e di riprendere il cammino verso l’appuntamento elettorale del 3 e 4 ottobre.

Nonostante l’appello congiunto dei rappresentanti nazionali del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle, Paolo Canducci – il terzo polo della potenziale alleanza – non ha risposto presente alla scadenza fissata per la serata dello scorso lunedì 16 agosto, con dem e pentastellati costretti a rivedere i loro piani per il futuro in vista di una corsa in solitaria che rischia inevitabilmente di compromettere le chance del centrosinistra al cospetto della nutrita coalizione di Pasqualino Piunti.

Francesca Pulcini

Se i 5 Stelle, tramite il senatore Giorgio Fede, hanno già ribadito il massimo sostegno a Serafino Angelini, portavoce e leader designato ben prima che spuntasse la candidatura di Francesca Pulcini, in casa Pd le acque sembrano un po’ più agitate, con alcuni rappresentanti locali dei democratici pronti a puntare il dito contro la segreteria comunale sulla base di una scarsa volontà di condivisione emersa in questi mesi di colloqui tra le parti rivelatisi poi decisamente poco fruttuosi.

È il caso, tra gli altri, di Alessandro Marini, segretario del circolo nord di San Benedetto, che all’indomani del mancato accordo evidenzia le problematiche alla base di un fallimento che, a conti fatti, restituisce alla città un centrosinistra frammentato favorendo così il blocco di centrodestra guidato da Piunti in vista della volata finale del prossimo autunno.

«La bravura di una classe dirigente – esordisce Marini – si misura dalla lucidità con cui affronta le situazioni più delicate. Era del tutto evidente che la candidatura unitaria di Francesca Pulcini fosse una strada stretta da intraprendere, ma certo a mancare è stato il coraggio. Questo mi sarei aspettato dalla segreteria comunale del mio partito: un gesto forte, da dirigente vero di una forza grande.

E invece, come in una mediocre telenovela qualsiasi, il finale è stato quello più scontato. Dopo mesi di chiacchiere inutili e prove muscolari ancora più inutili, nonostante l’impegno di tanti, fino all’ultimo secondo, per provare ad unire le forze del centrosinistra superando antipatie e personalismi, abbiamo avuto la triste conferma che a questa classe dirigente di San Benedetto non importa un bel nulla.

Claudio Benigni

Hanno avuto gioco sin troppo facile il segretario dell’Unione comunale del Pd Claudio Benigni, ndr – e i suoi alleati a far saltare il banco di fronte all’assenza di Risorgimarche, nostrano Godot che tutti aspettano ma che non arriva mai, all’incontro decisivo per convergere su Francesca Pulcini, così come chiesto dai vertici nazionali del Pd in accordo con i nostri alleati di governo del Movimento 5 Stelle».

Eppure, sulla scia di quanto già visto su scala nazionale, un’alleanza tra democratici e 5 Stelle avrebbe senza dubbio giovato al centrosinistra sambenedettese. D’altra parte, come confermato peraltro dallo stesso Serafino Angelini, più che un programma politico – già condiviso a grandi linee nei tanti incontri andati in scena negli ultimi mesi – a mancare è stato soprattutto una figura di raccordo sui cui convergere idee e progetti.

«Ricordo bene – prosegue Marini – quando nell’estate di due anni fa in un batter d’occhio è nato il Governo Conte bis: tanti erano perplessi, e invece alla fine abbiamo trovato una formula politica in grado di guidare il paese in situazioni difficilissime come la pandemia globale di Covid. A San Benedetto è mancata la lungimiranza: uniti si poteva battere la destra terrificante di Pasqualino Piunti e dei suoi alleati.

La destra che ha trovato la vasca esterna della piscina comunale chiusa e alla fine ha chiuso pure quella interna; la destra delle varianti urbanistiche un tanto al chilo; la destra della non amministrazione, dei problemi rinviati e mai risolti; la destra che sta riducendo San Benedetto a un borghetto sporco e avvilito, preda di mercatini e iniziative prive di spessore; la destra che sta facendo del male a questa città.

La colpa storica della classe dirigente locale di questo centrosinistra sarà quella di non aver nemmeno provato a fermare questo disastro. Sarebbe bastato mettersi a sedere seriamente, oltre i bluff e i tatticismi e trovare una soluzione. Si è preferito non farlo, si è preferito non ascoltare le tante voci che invocavano l’unità del centrosinistra. A prevalere sono stati l’egoismo, l’ottusità, gli interessi piccoli piccoli, l’autoreferenzialità. Tutto alla faccia dei sambenedettesi».

Paolo Canducci

Con un Partito Democratico evidentemente disunito e alle prese con una rincorsa elettorale che ora si fa tutt’altro che semplice, le accuse di Marini non sono rivolte solo ai vertici del partito, ma anche allo stesso Canducci e a chi, abbandonando seppur temporaneamente la nave Pd, ha giurato fedeltà al leader dei Verdi, come l’ex segretaria Sabrina Gregori, pronta a raccogliere attorno a sé una lista di “Democratici per Canducci”.

«Se il comportamento del Pd locale è stato ai limiti dell’assurdità – attacca Marini – altrettanto si deve dire nei confronti di Paolo Canducci e dei suoi. Il suo rimpiattino, giocato tutto sul filo dell’ambiguità, di certo non ha contribuito a creare lo spirito unitario che sarebbe servito.

Assurdo, poi, che ci sia anche chi nel Pd pare intenzionato a combattere questa battaglia spaccando l’unità del partito: è l’esatto opposto di quello che serve in questo momento e servirà ancora di più nel futuro. Il tutto per favorire chi, più o meno consapevolmente, vuole la disgregazione del Partito Democratico.

A questo punto – conclude – l’esigenza è che con le elezioni del prossimo ottobre nasca una nuova classe dirigente in grado finalmente di seppellire le divisioni che ci hanno portato fino a questo punto. Visto che gli errori di cinque anni fa sembrano non aver insegnato nulla, a nessuno».

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