di Gabriele Vecchioni
Castel di Lama è un popoloso centro della bassa valle del Tronto. Il toponimo è legato al torrente Lama, affluente di sinistra del Tronto, e al castello che dalla collina controllava l’importante via di comunicazione, la Salaria. Il territorio del comune è diviso in due centri urbani distinti: Villa Piattoni, alta su un rilievo collinare, e Villa Sant’Antonio (un’area divisa con il comune limitrofo di Ascoli Piceno), nella zona pianeggiante di fondovalle.
Altre contrade completano il territorio comunale, come Villa Chiarini, dove c’è la chiesa di Santa Maria degli Angeli (secolo XVII). Resti dell’antichità romana sono ancora rinvenibili nel comprensorio (due cippi miliari a Villa Sant’Antonio e una cisterna romana in opus coementitium in via Colle Cese).
Centro d’altura dopo l’incastellamento (condizione comune alla maggior parte dei centri della vallata truentina), nel medioevo diventò feudo degli Odoardi, importante famiglia ascolana proprietaria della struttura militare sui resti della quale fu costruita, nel Settecento, la dimora storica conosciuta come Villa Seghetti-Panichi.
In una vasta area pianeggiante nei pressi del cimitero comunale, tra le ville di Piattoni e Forcella, si tiene ogni anno una delle più grandi fiere del Piceno, la Fiera del Santissimo Crocifisso, un evento di risonanza interregionale. La Fiera – occasione di incontro e di socializzazione per gli abitanti dei territori marchigiano e abruzzese – si tiene alla fine dell’estate (agosto-settembre) ed è una grande manifestazione agricolo-pastorale, arricchita da eventi diversi (stand gastronomici, conferenze, esposizioni e giochi popolari).
La chiesa di Santa Maria in Mignano. Il territorio comunale è arricchito da diverse opere architettoniche; tra queste, a Villa Piattoni, c’è la chiesa di Santa Maria in Mignano (già Santa Maria in Lama), più volte rimaneggiata nel corso dei secoli. La chiesa, lesionata dal terremoto del 2016 (ma già segnata dal precedente sisma, quello che bel 2009 ha danneggiato la città de L’Aquila, per intenderci) è dismessa al culto per ragioni di sicurezza.
Qualche riga sul nome del luogo, Mignano, che nei primi documenti appare anche come Mongiano: la desinenza (dal latino –anus) sembra indicare un prediale – termine che denotava la proprietà terriera – di origine romana. Un’altra ipotesi vuole che il toponimo derivi da maenianum, termine che nell’architettura romana individuava un balcone aggettante. Dal Seicento, il nome fu sostituito dall’attuale Piattoni.
A Mignano sorgeva, probabilmente, Castrum Sexti, la fortificazione di controllo del territorio; il nome deriva da Ad sextum lapidem, per la distanza da Ascoli; l’attuale Colli del Tronto era Ad octavum). Un’altra fortificazione (castrum) era posizionata più in basso, alla confluenza tra il Lama e il Tronto, per controllare il guado del corso d’acqua. Quanti fossero interessati a informazioni più pregnanti sulla storia antica di Castel di Lama possono trovarle in letteratura.
La storia. La costruzione della chiesa di Santa Maria a Mignano, in un’area pianeggiante della panoramica balconata sulla valletta del torrente Lama inizia nel 1506 con il contributo del comune di Ascoli, dov’era già un edificio sacro (sec. XII), alzato su costruzioni romane e altomedievali. La chiesa, diventata parrocchia nel 1199, era legata al monastero ascolano di Sant’Angelo Magno e su di essa esistevano diversi juspatronati (dei Miliani e poi degli Odoardi); Santa Maria era la chiesa di riferimento del centro prima descritto dove, vicino alla chiesa, fu costruito (nel 1841) il Palazzo comunale. Come scrive il Marucci, il centro di Sesto decadde nel tempo e la parrocchia perse il titolo a favore della pieve di San Felice al Tronto, sotto l’area di Cartofano, antico sito di culto pagano. Successivamente acquistò importanza l’abbazia di San Pietro di Cerreto al Cartofano. Dalla fine del sec. XIV e per tutto il Quattrocento, la chiesa di Santa Maria in Mignano venne praticamente abbandonata, dopo essere stata declassata a chiesa rurale.
L’edificio ecclesiastico. La rinascita comincia all’inizio del sec. XVI, sotto la spinta popolare: l’assemblea aveva il potere di designare il parroco, la nomina del quale doveva essere ratificata dal vescovo. La chiesa era il punto di riferimento sociale ed ecclesiastico della comunità della Lama, ordinata in centri sparsi (negli Statuti del 1545 sono le Ville) su un territorio in gran parte rurale. Giannino Gagliardi ricorda (2008) «la parrocchiale di S. Maria in Mignano che nella prima metà del XVI secolo ospitò le prime riunioni del popolo della Lama»; a tale proposito, riporta un atto consiliare del 1535.
Il Marucci ricorda poi che i lamensi partecipavano in massa ai festeggiamenti per i loro patroni (i santi Bordone e Macchario e, più tardi, Sant’Atanasio): ben dodici sacerdoti celebravano dodici messe.
Santa Maria in Mignano ebbe un ampliamento cinquant’anni dopo (1554) perché intorno alla chiesa c’era stato un notevole sviluppo urbanistico; due secoli dopo (sec. XVIII), per far fronte alle esigenze dovute all’aumento demografico, subì un rimaneggiamento e assunse l’aspetto definitivo: oggi presenta un’immagine neoclassica, con forme del tardo barocco.
L’edificio, al lato del quale è addossata la casa parrocchiale, è attualmente inutilizzato a causa dei danni subìti dal terremoto. Sull’elegante facciata che termina con due ampie lesène angolari lisce, sopra la cornice del portale, spicca l’immagine della Vergine col Bambino (mosaico moderno, ricordo dell’Anno Mariano 1987-88). Il semplice portale presenta un timpano in cotto, curvo ad arco incompleto, richiamato da quello, di minori dimensioni, che “protegge” l’immagine sacra in alto.
All’interno, l’aula nuda appare elegante nella sua essenzialità, senza statue nelle nicchie, quadri e decorazioni mobili (tra i quali due reliquiari, uno ligneo del sec. XVI e l’altro del sec. XVII), per via della situazione descritta in precedenza; solo l’organo a canne (dell’ascolano Vincenzo Paci, 1871) è ancora al suo posto, nella cantorìa. Al centro del transetto, l’altare e l’ambone sembrano attendere il ripristino della situazione quo ante del sisma, illuminati dalla luce proveniente da un oculo al centro della cupola semisferica.
Sempre all’interno, prima che le pratiche devozionali venissero sospese, era custodita una croce astìle (processionale) in rame dorato su un supporto ligneo, di scuola marchigiana (sec. XVI).
Durante lavori di restauro, nel 1970, furono rinvenuti due affreschi cinquecenteschi in cattive condizioni di conservazione raffiguranti Santi e una madonna col Bambino.
L’elemento che contraddistingue la costruzione è l’alto campanile, che termina con una torretta dalla forma caratteristica, ora coperta dalla struttura che la mette in sicurezza. Sul terrazzo sommitale che chiude la cella campanaria della torre si alza un cilindro che termina con una cuspide in laterizio, dalla forma “a bulbo”, non comune nelle nostre zone. L’opera, coeva al rifacimento settecentesco, richiama certe strutture orientali e fu costruita su disegno del mastro ascolano Angelo Fogliardi.
Conclusioni. Dopo il recente terremoto (e la sua messa in sicurezza) la chiesa di Santa Maria in Mignano è stata “sostituita” dalla moderna chiesa del Santissimo Crocifisso (nel 2019, leggi qui), accelerando il processo di costruzione, iniziato dieci anni prima, con la posa della prima pietra.
Anche se le esigenze cultuali e spirituali della comunità lamense sono state salvaguardate, è opportuno spendere qualche riga per la storica chiesa di Santa Maria in Mignano. Il suo restauro, dopo la messa in sicurezza, è auspicabile, oltre che per restituire al culto e alla devozione popolare una storica sede, anche per motivi culturali.
Rileggiamo una frase già utilizzata in un precedente articolo relativo a una piccola chiesa rurale dell’Ascolano, anch’essa bisognosa di interventi di recupero: «[…] è arrivato il momento di acquistare compiuta coscienza dell’importanza di ogni reliquia, alla quale provvedere per la sua conservazione […] acquisire coscienza politica della straordinaria identità culturale dell’Italia la cui vocazione alla bellezza è un bene primario che non si può consentire di disperdere (V. Sgarbi (2008)».
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