di Ugo Bellesi
Più volte, affrontando i temi della ricostruzione post sisma, abbiamo denunciato che in Italia manca un protocollo che fissi una volta per tutte i criteri e i tempi in cui si deve intervenire. Tale esigenza è sentita non nell’immediatezza del terremoto, quando ovviamente intervengono i mezzi di soccorso, la protezione civile con i vigili del fuoco, le forze dell’ordine e tantissimi volontari. Quello è il momento in cui si debbono soccorrere i feriti, mettere al sicuro i terremotati. Esaurita questa fase, che è la più terribile, viene nominato un commissario che spesso non sa nulla di terremoti e prende i primi provvedimenti senza avere a disposizione appunto neppure un protocollo degli interventi da eseguire nell’immediatezza.
Per esaminare questa problematica abbiamo ritenuto opportuno ascoltare il parere di un esperto del settore, l’ingegnere civitanovese Giorgio Medori, il quale, da studente al Politecnico di Milano, aveva come docente l’ingegnere Grandoni, che era il massimo esperto di antisismica. Da allora ha cominciato a studiare i fenomeni sismici italiani e le contromisure tecniche. Studi poi continuati all’Università di Ancona e anche come tutor nei corsi di aggiornamento post sisma del 1997, svoltisi a Treia e Ancona, organizzati dalla Regione per soli ingegneri.
Secondo lei può essere presa ad esempio la ricostruzione post sisma del Friuli?
«Dopo il terremoto del 1976 sicuramente in Friuli si realizzò la migliore esperienza di ricostruzione post sisma, sia nei tempi e forse anche negli interventi appropriati. Purtroppo non è stata più seguita né presa a base di un protocollo post sisma. Infatti la legislazione in materia succedutasi nel tempo non è stata più all’altezza, visto quanto si è verificato dopo la sequenza dei terremoti nelle nostre terre. Il che è confermato dai sentimenti di dolore e di delusione che si respira tra la gente che vive ancora nelle nostre terre colpite dal terremoto del 2016»
Da cosa dipende il fatto che non si tiene mai conto degli errori commessi nei precedenti fenomeni sismici e ci si ritrova sempre davanti alla stessa situazione?
«La colpa dei fatti verificatisi in Italia risiede nella presunzione di chi governa di pensare che la soluzione da lui scelta sia migliore di quella adottata da chi governava prima di lui. Ecco perché non si è mai proceduto alla creazione di un protocollo nazionale, prima politico (per i fondi da destinare alla ricostruzione) e poi tecnico, e sottolineo “squisitamente tecnico”. Protocollo che possa eventualmente essere anche migliorato in base alle nuove esperienze in campo sismico»
Quali proposte lei ha da consigliare per i futuri eventi sismici?
«E’ lapalissiano che nella nostra regione i terremoti seri hanno una sequenza ventennale. E’ proprio per questo che occorre fare una “ricostruzione intelligente” e non accontentarsi di miglioramenti irrisori in edifici di nessun valore storico, come si è fatto fino ad oggi. Frequentemente si è ricostruito in modo inadeguato e, alla prova dei fatti, oggi è tutto da ricostruire».
E per quanto riguarda gli edifici storici si è agito in maniera adeguata?
«Per gli edifici storici le norme hanno fatto passi da gigante anche perchè noi siamo sicuramente primi al mondo per il nostro patrimonio storico e quindi possiamo essere soddisfatti, vedi l’esempio della basilica di San Francesco in Assisi, capolavoro di restauro assoluto. Debbo poi aggiungere che è assurdo (molto spesso) lo sperpero di denaro pubblico per realizzare le opere provvisionali in legno per la messa in sicurezza, esclusi i casi eclatanti. Questo testimonia un inspiegabile e assurdo immobilismo. In passato la sequenza delle centinaia di ordinanze in merito alla ricostruzione testimonia la volontà di rimandare il recupero dei luoghi. In un paese più efficiente e pragmatico si sarebbe dovuta attivare subito una seria e più veloce ricostruzione. Dai dati rilevati per le ricostruzioni effettuate in passato si parla di un miliardo e mezzo o due ogni anno per la durata di 15/20 anni. Di questo passo la ricostruzione sarà completata in tempi dilatati con conseguente spopolamento del nostro entroterra».
Lei non vede nessuna luce all’orizzonte?
«Ora finalmente si è capito, con il ‘sisma bonus’, cosa sia logico fare in edifici di nessun valore storico. Cioè demolire e ricostruire con le norme sismiche, dove la legge lo permette. E’ benvenuta quindi la semplificazione del commissario Legnini. Non resta che fare in modo che gli interventi siano innovativi ed abbiano una filosofia pragmatica».
Quale potrebbe essere un toccasana perché gli errori del passato non si ripetano più?
«La mia speranza è che si crei un Dipartimento presso il Ministero delle infrastrutture (Protocollo sisma) che non dipenda dalla politica ma dalla scienza sismica italiane ed Ordini competenti (come negli Stati Uniti) per realizzare un protocollo su scala nazionale aggiornato in base a realtà tecniche indiscusse».
Usciamo per un attimo dai problemi del post terremoto e approfittiamo delle sue competenze per chiederle un parere sull’incendio disastroso del grattacielo “Torre del Moro” in via Antonini a Milano che ha creato grande impressione in tutta Italia.
«Innanzitutto va sottolineato che per “saper costruire” è fondamentale aver appreso l’importanza dell’esame in ingegneria civile ‘tecnologia dei materiali’ e tutto ciò che comprende la messa in opera dei materiali edili e loro durabilità. La moda del cappotto termico introdotta con il “super bonus 110%” sembra contraddire tutta la tecnologia acquisita nei secoli in Italia. Il principio ispiratore del risparmio del consumo energetico è sicuramente valido, ma applicare il cappotto (di 10/12 cm), cioè materiale tipo polistirene, polistirolo o succedanei (di origine plastica) di nessuna consistenza, anche come pelle esterna, accoppiato con intonaco ad edifici esistenti, a mio avviso al 90% dei casi è completamente errato. Un crimine utilizzarlo in edifici nei centri storici, in facciate di pregio».
Quali i motivi di questo suo giudizio negativo contro il cappotto termico?
«Spesso la messa in opera di questa pelle termica è maldestra perché non ancorata adeguatamente o addirittura incollata. L’esecuzione perfetta deve seguire un ferreo protocollo per non avere in futuro danni enormi come muffe, distaccamenti ecc. A mio giudizio il cappotto deve essere interno. Infatti i vantaggi contro la dispersione termica sono limitati con il cappotto esterno e si avranno grandissimi problemi alle costruzioni in futuro. Le facciate delle nostre costruzioni sono principalmente in muratura, sia a vista sia intonacate, perché la manutenzione a 20/25 anni risulta più facile e sicura. In altri paesi, come gli Stati Uniti, l’edilizia abitativa non intensiva si costruisce con metodologie diverse (legno, cartongesso) perché la vita media dei fabbricati è di 50 anni. L’edilizia tradizionale italiana mal digerisce questa nuova moda, a mio avviso insensata, proprio per le teorie della scienza della “Tecnologia dei materiali” (specifica per la messa in opera dei materiali edili e loro durabilità)».
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