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Epatite C, un “mostro” sommerso
ma che oggi si può curare:
il progetto del Sert ha tracciato la via

ASCOLI - Presentati i risultati dell’iniziativa (che ha previsto screening, diagnosi e cura) portata avanti dal Servizio Territoriale Dipendenze Patologiche, diretto dal dottor Marco Quercia insieme con la responsabile di Malattie infettive del “Mazzoni” Sonia Petroni, la psichiatra Fabiana Faiella e la sociologa Luana Sansoni. «Un modello per estendere il target ad altre categorie» 
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Fabiana Faiella, Luana Sansoni, Marco Quercia, Sonia Petroni

di Maria Nerina Galiè

Il Covid non è l’unico virus contagioso e capace di minacciare la salute pubblica: è allarme epatite C, da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità – che punta ad eliminare il pericolo entro il 2030 – e del Ministero della Salute con un recentissimo invito (risale a luglio) alle Regioni di fare uno screening su determinate categorie: tossicodipendenti, detenuti e persone nate tra il 1969 ed il 1989.

Marco Quercia

«Adesso ci sono i farmaci efficaci al 98, 99% e terapie brevi, quindi l’allarme diventa appello a far emergere il sommerso e curarlo, partendo dalle categorie più a rischio», lo ha detto la dottoressa Sonia Petroni che, in seno al Servizio Territoriale Dipendenze Patologiche di Ascoli e quindi sotto l’egida del dottor Marco Quercia, ed insieme con la psichiatra Fabiana Faiella e della sociologa libero professionista Luana Sansoni, ha costituito un gruppo di lavoro anticipando i tempi.

«Un doveroso ricordo e ringraziamento vanno al dottor Luciano Giorgi, uno dei più attivi collaboratori del progetto e che abbiamo perso di recente», hanno puntualizzato per tutti la dottoressa Faiella.

Il progetto si chiama “Etnorac”: Caronte, il traghettatore dell’infermo, letto al contrario.
E’ il dottor Quercia a spiegarne lo spirito: «Era importante avere informazioni relative alla diffusione dell’Hcv in alcune categorie, come tra i pazienti in carico al Sert».

«La maggiore diffusione del virus avviene attraverso il sangue, per l’utilizzo di strumenti infetti e, in minima parte, con rapporti sessuali prevalentemente omosessuali», la precisazione dell’infettivologa.

Sonia Petroni

«Chiedevamo gli esami ematici – ha continuato il dottor Quercia – ma i risultati non tornavano indietro. Abbiamo capito che lo screening doveva essere interno».

«L’occasioneè sempre il direttore del Stdp di Ascoli che parlaè stato un bando regionale del 2018 a cui il servizi ha risposto e che è stato ritenuto meritevole del finanziamento. E’ stato pertanto costituito un gruppo di lavoro con la specialista di malattie infettive, la psichiatra ma anche una figura di raccordo con l’utenza. Il traghettatore appunto, che aprisse facesse breccia nella sensibilità degli utenti. Questo ruolo è stato ricoperto dalla sociologa».

Le parole della dottoressa Sansoni: «L’approccio con il paziente, non facile da gestire, per convincerlo a sottoporsi al test è stato il momento in cui veniva al Sert per ritirare i farmaci. E’ stata adesione di massa soprattutto perché in tanti pensavano che non si potesse guarire dall’Hcv».

Luana Sansoni

E qui è andato un plauso da tutti i professionisti «al personale infermieristico che ha effettuato i prelievi tra mille difficoltà legate alla tipologia di pazienti ma anche di trovare gli accessi». 

Il risultato: su 164 screening eseguiti su pazienti in carico al Sert, 74 sono risultati positivi all’Hcv. La cura è durata circa tre mesi. Il 100% di loro è guarito. In soli due casi c’è stata una ricaduta ma seguita da guarigione. 

«Oltre ad aver eliminato 74 potenziali fonti di contagio – hanno evidenziato Quercia e Sansoni – il grande risultato ottenuto è stato quello di aver fatto acquisite ai pazienti una maggiore consapevolezza di se. Ora, nei loro comportamenti sono più attenti».

«L’obiettivo – hanno affermato tutti i professionisti – è adesso di estendere il modello, sperimentato con successo, ad altre categorie di cittadini,  per debellare il virus.

Ma prima di questo è necessario che la popolazione sia consapevole di quanto sia dannoso questo virus, spesso foriero di problemi molto gravi, fino a rendere necessario il trapianto del fegato, e irreversibili.

Fabiana Faiella

Devono sapere che invece si può guarire dall’Hcv e senza conseguenze. I medici di medicina generale possono sensibilizzare».

«Non dobbiamo aspettare un bando regionale per uno screening così utile – ha rincarato il dottor Quercia – chi gestisce la Sanità pubblica deve tener conto dei costi, elevatissimi, di chi si ammala per colpa dell’Hcv».

«E ritenere utile – è stata la volta della Petroni – rimpolpare l’organico di Malattie Infettive, al momento decisamente ridotto all’osso. Del resto la pandemia ha riportato in auge il ruolo di questo servizio». 

L’emergenza sanitaria ha fermato di un anno l’inizio di “Etnorac”. «Siamo partiti poi in piena pandemia ed abbiamo ottenuto due grandi risultati. Non ci possiamo fermare», hanno detto ancora all’unisono i medici promotori dell’iniziativa.

«E’ stato un lavoro di squadra – ha commentato la dottoressa Faiella – un network operativo che ha aperto la strada per far emergere il virus e curarlo. Tutto in un solo percorso, creando un modello che può aiutare a far avvicinare i cittadini che la pandemia ha allontanato da esami e terapie».

 

 


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