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Sisma, 5 anni di lancette all’indietro:
quando la tragedia si accanì sulle anime

TERREMOTO - Non c'è anniversario che tenga, non ci sono orologi da riposizionare con l'ora legale né una giornata che sembra molto simile a quella maledetta domenica mattina di 5 anni fa, quando l'aria sapeva di castagne, vino cotto, amicizia, umanità. La sveglia più brutta di sempre (6,5 di magnitudo) incatenò il centro Italia all'incubo
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di Luca Capponi 

 

Trovarsi inseguiti davanti a un vicolo cieco, senza sapere esattamente dove andare. Ci sentivamo così quella sera del 26 ottobre. Fuori di casa, da cui eravamo usciti di corsa, al buio, sotto una pioggia battente. Prima la scossa intorno alle 19,10 (5,4 di magnitudo), poi quella di 5,9 un paio di ore dopo. L’abitazione non più come riparo, ma come pericolo. Una ferita che non si cicatrizza. Anzi, brucia più di prima. La notte in auto, nel parcheggio dello stadio.

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Forse poteva bastare così. E invece no. Solo quattro giorni dopo il sisma si accaniva nuovamente sul centro Italia già stremato e impaurito.

Il giorno prima di quel 30 ottobre 2016 provavamo, con molta fatica, a distrarci. Nonostante tutto, stavano arrivando momenti di festa da vivere col sorriso. E invece diventa tutto un ricordo indelebile. Un altro. Un sabato di festa e bevute, l’orologio da rimettere un’ora indietro, dai che domani usciamo ancora, poi sul calendario è rosso, si sta insieme, e Dio sa quanto ne abbiamo bisogno. E invece ecco la sveglia più brutta di sempre: 6,5 di magnitudo, stavolta. Era domenica.

Il terremoto ce l’ha con noi. Alzi la mano chi non l’ha pensato. La sveglia più brutta di sempre che non ti sveglia dall’incubo. Anzi. Ti ci incatena. E allora via di nuovo di casa, col mal di testa della sera prima e un copione che conosci fin troppo bene. Solo che stavolta, di notte, fa più freddo che ad agosto. Ormai quel posto nel piazzale dello stadio “Del Duca” lo riconosci quasi familiare. C’è la Protezione Civile che passa tra le auto, sono tante, a offrire una merendina e una bibita calda. Un gesto in apparenza semplice, ma che ritempra.

Finirà prima o poi, ti dici. Poi pensi a chi ha sofferto di più, a chi non ha più nulla. Sono loro le vere vittime di questo accanimento terapeutico dell’anima. Quindi basta piagnistei. Dobbiamo tenere duro anche per loro. Pure dopo 5 anni. Dovremmo farlo sempre. Fare forza a chi non ha quasi più forza per lottare.

E allora non c’è anniversario che tenga, non ci sono lancette da rimettere indietro né una giornata che sembra molto simile a quella maledetta domenica mattina, quando l’aria sapeva di castagne, vino cotto, amicizia, vicinanza, umanità. Il terremoto era ieri. È oggi. E sarà anche domani. Chi vive nel martoriato cuore d’Italia, lo sa. Ma continua a lottare.


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