di Maria Nerina Galiè
Un incontro, promosso dalle organizzazioni sindacali della funzione pubblica, per illustrare la situazione della Sanità picena, vittima, secondo i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil, di una “mala” organizzazione a livello regionale e che dura da anni.
A fare il quadro, parte prima (la seconda nel corso di un altro appuntamento), Giorgio Cipollini, Paolo Villa e Francesco Massari per la Cisl, Viola Rossi, Roberto Fioravanti e Caterina Fiori per la Cgil.
Assente il collega della Uil per impegni sopraggiunti, «ma la voce è univoca» tengono a precisare i presenti.
«Vogliamo denunciare il completo fallimento della mission dell’Asur, nata proprio per armonizzare il servizio a livello regionale ed eliminare sperequazioni tra le 16.000 unità di cui si compone il personale. E la politica regionale deve prenderne atto – ha tuonato Cipollini, per tutti – e la pandemia ha fatto emergere disfunzioni soprattutto in questo territorio già penalizzato. Il 95% dei problemi degli ospedali del Piceno deriva da una cattiva gestione da parte della Sanità regionale. E ve lo dimostreremo».
«Eravamo in dubbio se promuovere un’iniziativa mobilitazione generale – hanno affermato i sindacalisti – ma questa potrebbe far comodo per affrettare cambio di guardia sia a livello locale che regionale. E non è questo il nostro obiettivo».
Promettono però battaglia i sindacalisti del comparto sanità e «con forza – sono ancora le parole di Cipollini – chiediamo alla politica di prendere in mano situazione e restituire dignità al territorio che sta mostrando tutti i suoi limiti. E ci rattrista vedere che la Sanità privata ogni giorno fa passi in avanti».
«E, cosa ancora più grave, gli operatori sanitari che vivono in un simile contesto, sono ormai esasperati, preoccupati e manifestano disaffezione all’attività lavorativa», continuano i sindacalisti.
Uno sguardo, con il relativo auspicio alle mosse future «manifestate dalla direzione regionale Asur, quella di restituire personalità giuridica alle Aree Vaste che al momento si trovano a lavorare con fondi gestiti da altri».
«Il nostro primo destinatario della lettera, inviata nei giorni scorsi ed alla quale non è stata ottenuta risposta, è l’Asur, non l’Area Vasta 5. Perché è evidente uno scollamento tra chi decide e chi ha funzioni per gestire con risorse di altri», ha sottolineato la Rossi.
Diversi gli aspetti presi in esame. Dal diverso trattamento economico dei dipendenti di Area Vasta 5, rispetto ai colleghi di altre province, al mancato riconoscimento per la mobilità attiva.
E’ Fioravanti a spiegare cosa avviene il tal senso, facendo eco alla premessa di Cipollini.
«L’attuale sistema pro capite, sulla cui base si calcola la ripartizione dei fondi, non fa equità in regione – sono le parole di Cipollini -. Nell’Area Vasta 5 la mobilità attiva, proveniente da Abruzzo, soprattutto, ma anche Umbria e Lazio, fa registrare 15, 17 milioni di euro che, con l’attuale sistema finiscono nel calderone regionale, per ripianare disavanzo di carattere generale. Anzi, ci chiedono anche di ricoprire il budget che abbiamo sforato».
«Il budget – è la volta di Fioravanti – viene calcolato sulla base di 1.714 euro per cittadino residente. In realtà la nostra posizione come terra di confine cambia radicalmente il panorama.
L’Area Vasta 5 non elargisce servizi a 211.000 residenti, quali siamo, e che danno diritto a 360 milioni di euro. Ma si devono aggiungere, ad esempio, i 13.000 cittadini di Martinsicuro che curiamo noi e i turisti che affollano le nostre coste da maggio a ottobre. Si arriva così a 250.000 utenti.
Le maggiori spese? Scaturiscono appunto dal fatto che curiamo molte più persone».
Il risultato, dalla disamina dei sindacalisti: il reddito pro capite si abbassa sfiorando i 1.000 euro, nessuno pensa di reinvestire le maggiori entrate della mobilità attiva sul territorio.
«Restiamo quindi con la nostra strumentazione tecnologica obsoleta vantaggio dei privati», sottolineano.
Altra battaglia che vede i sindacalisti intenzionati a non fermarsi, la dotazione organica «che si basa ancora sui minuti di assistenza, come negli anni ‘80. L’intensità dell’assistenza – continuano i rappresentanti dei lavoratori – non si può misurare oggi in minuti, ma con i bisogni.
Su questi presupporti, quello economico e di calcolo per determinare il numero dei dipendenti, l’Area Vasta 5 è in difetto per la carenza di personale».
«E’ stato rimpolpato con contratti a termine – interviene Villa – per completare i turni durante la pandemia. Ma anche qui, sono emerse numerose criticità: nella prima ondata, quando è stato rispettato il piano pandemico, si sono infettati 4 operatori tra gli ospedali di Ascoli e San Benedetto. Ben 600 nella seconda, quando i percorsi si sono mescolati tra i due ospedali».
LA SPEREQUAZIONE ECONOMICA – «Già 4 anni fa – sono sempre i sindacalisti a parlare – la Regione Marche ha dovuto riconoscere differenze macroscopiche di trattamento economica tra le Aree Vaste, tanto da emanare una legge (numero 8 del 2017) contenente “linee di indirizzo finalizzate a superare le disparità relative al trattamento economico accessorio per il personale che svolge le medesime attività”.
Ad oggi, non è ancora stato fatto nulla, anzi le disparità economiche si sono accentuate, con dirigenti che vedono nella loro busta paga fino a 1.000 in meno al mese rispetto ai loro colleghi del nord delle Marche. Meno pesante la differenza con il comparto, che però si sente ugualmente».
TEMPI DI VESTIZIONE E SVESTIZIONE – «A distanza di tre anni dall’entrata in vigore Contratto Nazionale di Lavoro, l’Asur non ha ancora riconosciuto tale diritto. Questo comporta che il personale lavora 20 minuti in più, ancora non riconosciuti, ma che lo saranno per forza, con una spesa che si aggirerà sui 35 milioni di euro».
Altro nodo cruciale, le premialità Covid: «Hanno definito il personale sanitario, in prima linea nella lotta al Coronavirus, angeli, eroi, ma ancora non sono visti i 1.000 euro di premialità.
Lo stesso lavoro straordinario, prestato con grande sacrificio dai dipendenti, in un momento di forte criticità, non viene liquidato agli operatori sanitari ai quali, indebitamente, vengono imposti riposi compensativi, tra l’altro di quasi impossibile realizzazione nonostante che detti dipendenti mettano a repentaglio la propria incolumità per salvaguardare quella collettiva».
La Sanità privata: «Pesa oltre 50% sulla sanità regional, perché si insedia dove c’è bassa concorrenza ed servizi pubblici sono meno appetibili. La sanità pubblica non è in grado opporre concorrenza: è strategia o disattenzione?», è la domanda della Rossi, in accordo con i colleghi.
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