di Maria Nerina Galiè
Che cosa sta succedendo in Area Vasta 5, tra poco orfana di direttore generale, Cesare Milani
schiacciato da una valutazione molto negativa sugli obiettivi da raggiungere, a cui avrebbe fatto seguito una lettera di richiamo da parte dei vertici regionali?
Sindacati, anche quelli che si sono dimostrati collaborativi in passato, sono sul piede di guerra e pronti alla manifestazione. La colpa, lo hanno detto chiaramente, non è di Milani. Ma di una gestione generale che non tiene conto delle esigenze, delle criticità e del potenziale della Sanità Picena, tra le loro principali rimostranze. E, soprattutto, del Covid.
Nella sola giornata di oggi, altre due organizzazioni sindacali hanno lanciato l’allarme sulle condizioni di lavoro al Pronto Soccorso del “Mazzoni” di Ascoli. Ed hanno chiesto a gran voce la riapertura della Pneumo Covid o di una struttura idonea, denunciando l’assenza di un piano per fronteggiare l’emergenza. Ma in realtà il piano c’è, è regionale, segue step precisi tenendo anche conto delle esigenze dell’intera rete delle Marche ed i vertici della Sanità picena hanno sempre detto di essere pronti a riattivarlo, in qualsiasi momento.
Ed il momento sembra che sia arrivato. E’ in programma per la prossima settimana, dopo che sono state avanzate, ma poi scartate, le ipotesi di adibire a reparto Covid la nuova Murg del terzo piano – pronta da gennaio scorso – e la possibilità di realizzare 6, 8 posti per pazienti contagiati al piano terra del Pronto Soccorso.
Sono diversi i positivi che richiedono le cure mediche ed ospedaliere. Alcuni, i più gravi, vengono assorbiti dalle strutture attrezzate, per primo il “Madonna del Soccorso” di San Benedetto. Uno di loro è stato intubato la notte scorsa. Ma se non c’è posto, vengono dirottati altrove oppure restano in attesa. Così come i pazienti in ricovero ordinario. E’ così per gli ospedali del Piceno come nel resto della regione.
Domani, 16 dicembre, ad Ascoli è attesa Nadia Storti, il direttore generale dell’Asur Marche, che prenderà il posto di Milani in attesa della nomina del suo successore. In quella sede saranno prese decisioni che però non potranno andare molto al di là del piano pandemico regionale e delle risorse a disposizione della struttura.
In molti però potranno dire di essere stati artefici della decisione, questa o un’altra. Mentre Milani passerà per colui che non ha saputo gestire? Difficile da credere.
Negli ambienti sanitari della provincia, sono in tanti ad esprimere solidarietà nei confronti di un direttore che non ha mai voltato le spalle a nessuno, in particolare nei difficili anni dell’emergenza Covid.
Non ha mai fatto mancare presidi, farmaci e macchinari, sempre nei limiti del possibile. Ha aperto la porta alla collaborazione con i primari, medici di medicina generale e territori per offrire un servizio adeguato alle necessità dell’utenza, con pochi mezzi, materiali e di organico.
Ha preso decisioni a volte scomode, ma sono state innumerevoli le difficoltà. E’ stato un generale, ma troppo spesso con le armi spuntate. Ai già pochi infermieri o medici, ci si sono rimesse anche le sospensioni per legge, 29 al momento in Area Vasta 5, di non vaccinati che per questo hanno dovuto lasciare il posto di lavoro. Più, le legittime ferie, maternità, congedi parentali e malattie (alcune forse politiche come fu il caso di 6 operatori della Dialisi del “Mazzoni”) ed il contagio che ha colpito a volte i reparti. Difficoltà nel coprire i turni, quindi, con conseguente malcontento di chi è rimasto e deve sopperire.
Si parla di stanchezza del personale sanitario, ci mancherebbe. Chi al loro posto non lo sarebbe: stanco e pure stressato dalle mille attenzioni che comporta il difendersi dal contagio e dal rischio di contagiare.
Si cercavano un nome ed un cognome da “incolpare” per la carenza di personale, i soldi che scarseggiano, le Aree Vaste da rimodulare? E, nel caso, si doveva fare proprio in un momento come questo, quando i cittadini hanno più bisogno di certezze che di terremoti in fatto di Sanità?
La scelta di Milani non è stata facile. Se avesse davvero potuto scegliere, non avrebbe lasciato la barca durante la tempesta – la pandemia – che ancora non intende lasciare il Piceno.
In due giorni ha applicato il piano pandemico regionale nella prima ondata, svuotando l’ospedale di San Benedetto, per trasformarlo in ospedale Covid. Critiche a non finire. Stessa cosa nella seconda ondata, per non aver separato gli ospedali tra “sporco” e “pulito”. E per non aver interrotto visite ed esami diagnostici come nell’anno precedente. Ma non esiste solo il Coronavirus a minare la salute dei cittadini.
Resta, in ogni casi, il fatto che il Piceno, rispetto alle altre province marchigiane, non ha registrato primati in fatto di numero di contagi, in particolare in ambienti ospedalieri e nelle strutture sanitarie, e di decessi.
Poi, la terza ondata e la campagna vaccinale, della quale Milani è stato fin da subito un accanito sostenitore. Domenica scorsa, il giorno prima dell’annuncio delle dimissioni, c’era lui con la dottoressa Aurora Luciani del Sisp ed il testimonial Ossini a rispondere ai dubbi dei cittadini, ad Ascoli, nell’ambito della campagna informativa voluta dalla Regione.
Non sarà facile sostituire Cesare Milani e chiunque guiderà la nave, adesso, dovrà prepararsi ad affrontare una sfida impegnativa. L’auspicio è che, come Milani, sia pronto a battersi ed a sacrificarsi per il bene dei cittadini e per quello di coloro che lavorano per garantire a tutti il diritto alla salute.
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