facebook rss

Quando lo sport è di tutti,
Barbara Alesi e la kickboxing:
«Mi ha dato più sicurezza
in me stessa»

ASCOLI - Esistono discipline maschili e femminili? Quanti pensano che una ragazza che ne pratichi una definita maschile annulli la sua femminilità e sia da considerare “maschiaccio”? Continua la nostra serie di interviste con la 25enne laureata in Scienze della Formazione e la sua passione per i guantoni
...

 

di Marzia Vecchioni 

 

Esistono sport maschili e sport femminili? Quanti pensano che una ragazza che pratichi uno sport considerato maschile annulli la sua femminilità e sia da considerare “maschiaccio”?

Barbara Alesi

Fin da piccoli ci viene inculcato che il maschio deve fare calcio e la femmina danza, ma non è così. È una visione limitata e limitante, piena di pregiudizi e stereotipi. È l’imposizione di una società retrograda che vuole confinare in ruoli predefiniti uomini e donne, anche nel loro tempo libero.

Continua la nostra serie di interviste sul tema. Oggi tocca a Barbara Alesi, 25 anni, ascolana, studentessa e lavoratrice. Laureata in Scienze della Formazione, e attualmente iscritta alla Magistrale di Pedagogia. Lavora come educatrice scolastica e domiciliare con bambini e ragazzi con disabilità. Nel tempo libero pratica kickboxing.

Quando hai iniziato questo sport?

«Diversi anni fa, quando frequentavo il terzo superiore.  L’ho iniziato grazie al fratello di una mia amica che a quel tempo lo praticava. Sentendone parlare, di come fosse strutturato l’allenamento, del fatto che si trattasse di un gruppo misto, e che si allenassero quattro volte a settimana, mi sono sentita di iniziare subito coinvolgendo anche altre mie amiche. È uno sport che fa scaricare moltissimo lo stress. Nel periodo delle superiori avevo bisogno di sfogare la tensione accumulata e avere tempo da dedicare a me stessa. Per tutto il periodo scolastico l’ho praticato. Quando ho iniziato a fare l’università, vivendo a Macerata, ho interrotto gli allenamenti, ma ogni volta che ritornavo qui ad Ascoli andavo al palazzetto per non dimenticare le competenze e le tecniche che avevo acquisito.  Avevo pensato di praticare la kickboxing anche a Macerata ma avevo poco tempo a disposizione e la posizione della palestra nella città universitaria non era facilmente raggiungibile da me studentessa. Ho vissuto l’idea di dover abbandonare lo sport in questi anni universitari, in maniera serena. Ammetto, però, che mi sono mancate la costanza e la quotidianità dell’allenarmi, la possibilità di buttare fuori tutto quello che accumulavo stando sui libri e dovendo dare gli esami. Iniziata la magistrale, però, ho deciso di riprendere a pieno regime. Ho scelto di non gareggiare perché non ha importanza per me. Mi è stato proposto dal maestro Nepi ma frequento questo sport esclusivamente perché mi fa svagare e mi consente di liberarmi sia fisicamente sia mentalmente. Non vedo la necessità di farlo a livello agonistico».

Sei stata sostenuta e accompagnata in questo percorso?

«Il mio maestro Remo Nepi mi ha aiutata. Il nostro gruppo sportivo è molto vario e ha al suo interno persone che hanno raggiunto diverse categorie. Il maestro, quando viene qualche persona nuova, tende a suddividere il gruppo che si va formando in due parti: chi ha già consolidato la pratica e chi invece deve cominciare da capo. Lui dedica molto tempo ai nuovi arrivati durante gli allenamenti della settimana, spiegando di volta in volta quali sono per esempio le tecniche, la postura da assumere ecc… per iniziare a praticare al meglio questo sport. Il percorso di avviamento è ottimo. Se si parte con un solido bagaglio di tecniche tutti riescono a raggiungere un buon livello. La kickboxing è caratterizzata anche dal lavoro di squadra; prevede esercizi a due a due poiché si fanno gli sparring (forma di allenamento sportivo praticata dall’atleta con un partner), gli esercizi con il pao (momento in cui una persona tiene i cuscini e l’altro atleta tira i colpi). Si ha un rapporto di coppia: se si è allo stesso livello, quindi, si può praticare lo sport in maniera completa».

Col maestro Remo Nepi

Hai mai avuto discriminazioni di genere?

«No, di nessun tipo. Quando ho iniziato in terzo superiore non ho subito alcun tipo di presa in giro o altre forme di bullismo. Esprimevo con gioia la mia passione e nessuno mi ha mai detto nulla a riguardo. Essendo un gruppo misto, una decina di ragazze e una quindicina di ragazzi, non c’era nessun tipo di discriminazione. C’è sempre stato e c’è ancora lo stupore negli occhi delle persone quando affermo di praticarlo, uno stupore positivo, non negativo; viene dettato, secondo me, dal fatto che si tratti di uno sport di combattimento che accosta quindi un aspetto umano tipicamente maschile ad un corpo femminile. Si fa fatica ad immaginare una donna che combatte, e che prende a calci e a pugni. Uno sport, quindi, ancora legato a qualche stereotipo di genere. Credo, tuttavia, che stiamo andando nella direzione giusta, in quanto sempre più ragazze e donne stanno abbattendo quegli stessi stereotipi a forza di Ganci e Middle Kick. Attualmente il gruppo di allenamento è eterogeneo; sono presenti uomini e donne di tutte le età. Quello che per me conta davvero è che il nostro maestro durante l’allenamento, ci spinga proprio a mischiarci in modo che le donne non lavorino solo con le donne e viceversa. È una disciplina che dà la stessa parità e uguaglianza sia al genere femminile sia al genere maschile».

Quali strumenti potrebbero essere utilizzati per favorire la visibilità di questo sport?

«Penso che nel nostro mondo attuale siano i social, unico strumento a cui tutti possono accedere in maniera molto semplice. Io stessa seguo sul social atlete che con i loro post e le loro storie mostrano momenti di allenamento e i risultati che raggiungono».

Il giorno della laurea

È difficile gestire lavoro e sport?

«Lavoro tutto il giorno ma il mio maestro ha stabilito un orario in chiusura di giornata che mi ha permesso di organizzarmi al meglio».

Cosa diresti a una ragazza che volesse intraprendere il tuo stesso percorso ma ha paura dello stigma sociale?

«Se una ragazza dovesse dirmi di provare timore pensando di praticare la kickboxing per colpa delle prese in giro che potrebbe subire, cercherei sicuramente di rassicurarla e incentivarla, a maggior ragione, a praticare questo sport. Innanzitutto le direi che per come è strutturato, porta ad acquisire una maggiore sicurezza di sé, autostima e forza. Perché quando sferri un calcio o dai un diretto è come se prendessi a cazzotti quello che non ti piace, imparando a distruggerlo. E le prese in giro, possono essere distrutte solo se non ci si tira indietro e ci si mostra più forti. Inoltre, da ragazza posso dire che essendo un’attività completa, che allena tutto il corpo e mantiene anche una bella flessibilità, permette di mantenersi davvero in forma. Altro che maschiaccio!».

Perchè praticare kickboxing?

«Un discorso che mi preme molto è la motivazione per la quale ho scelto di fare questo sport. Penso che praticarlo sia molto importante e permetta di avere una forma e una condizione fisica migliore rispetto a chi non lo pratichi. La kickboxing è davvero completa perché mantiene in forma tutto il corpo. Si praticano allenamenti di potenziamento, di resistenza e si pratica molto stretching e a noi donne dà una marcia in più, perché per tirare calci serve una grande flessibilità a livello di arti inferiori, e noi siamo più avvantaggiate e riusciamo a tirare meglio alcune tipologie di calcio, come per esempio “head kick” (calcio alla testa). Da pedagogista penso anche che sia utile durante la crescita praticarlo per la disciplina e l’educazione che insegna, e può aiutare i ragazzi che hanno bisogno di essere rieducati e riabilitati. È uno sport da combattimento e a differenza di quello che si potrebbe pensare trasmette una disciplina ferrea, perché ci sono regole che devono essere rispettate e mantenute, come per esempio, non utilizzare le tecniche apprese in fase di allenamento, al di fuori dello sport, al fine di recare dolore. Insegna valori molto importati come il rispetto nei confronti dell’altro, ad utilizzare le tecniche per difenderti e a praticare lo sport in maniera corretta ma sempre da utilizzare nella massima correttezza e nei luoghi idonei. Si deve essere concentrati sulle tecniche e sull’apprendimento, non va preso alla leggera, non si ride né si scherza in fase di allenamento. Se non ci si concentra sull’evoluzione delle tecniche, è impossibile crescere».

Un altro aspetto utile è l’autodifesa…

«Questo sport mi ha reso più sicura di me. Ha fatto sì che fossi in grado di ribattere a parole quando ascolto qualcosa che non mi trova d’accordo. Vivo ad Ascoli e ho vissuto in un’altra città, e come tutte le donne ho paura di andare in giro da sola di notte, perché temo che qualcuno possa importunarmi. Ho subito catcalling. Non ho subito nessun tipo di violenza fisica ma questo sport mi ha permesso di acquisire tecniche che so di poter utilizzare nel caso mi trovassi nella necessità. Ognuno è fatto a modo suo e bisogna sempre scegliere in base alle proprie passioni, a quello che si vuole ottenere e rincorrere. Spingo tutti a provare e a vedere come va e poi scegliere di conseguenza».

Quando lo sport è di tutti, Fabiola Berardi racconta l’hockey: «Sui pattini mi sento libera»

Quando lo sport è di tutti Maria Francesca, giocatrice e arbitro: «Rugby, un mondo inclusivo»

Quando lo sport è di tutti Aida Xhaxho si racconta: «È il futsal che ha scelto me»

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna alla home page


Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati




X