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La Marineria sambenedettese

SETTIMA puntata della rubrica di Cronache Picene "Ascoli e Sambenedettese, un secolo di rivalità". Storie di sport, ma non solo
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Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto. Oltre alla rivalità sportiva, talvolta becera, c’è di più. Ci sono realtà figlie di passati gloriosi, che ai due centri hanno conferito prestigio. Ci sono state persone, popoli, storie e culture diverse, di pari dignità, separate solo da una manciata di chilometri, da conoscere, raccontare e tramandare. Accomunate, tutte, da un “eroismo” straordinario, che nessun astio, fazioso e municipalistico, può e deve cancellare. Di cui andare, tutti insieme, indistintamente, orgogliosi. L’amore cieco e sordo per il proprio campanile, il fanatismo che, in ogni campo, tutto avvelena, rischiano di farci ignorare, sia sotto il Torrione che in Piazza del Popolo, il meglio che, su entrambe le sponde, nei più diversi campi, con valore, sacrificio e abnegazione, durante lo scorrere degli ultimi secoli le nostre genti sono riuscite a costruire. A puntate, su Cronache Picene, racconteremo senza presunzione la Storia dei due centri. Sportiva e non. Scritta dai grandi personaggi del passato, soprattutto quelli meno celebri, da tramandare ai più giovani, e ai posteri, spesso ignari. Attraverso le glorie e le infamie, i fasti e le tragedie. Le pagine più esaltanti e i giorni più neri. Senza partigianerie e autoincensamenti di sorta. Senza sconti, che la Storia non può concedere a nessuno. Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto. Non più cugine invidiose e malevoli. Ma sorelle unite. E regine, entrambe, del Piceno e delle Marche. Non solo sui campi di calcio.

 

PUNTATA n. 7

 

Il figlio primogenito del patriota ascolano di cui abbiamo già parlato, Candido Augusto Vecchi, si chiama Vittorio Augusto. Più noto come Jack la Bolina, uomo di mare e scrittore, incrocerà invece la sua vita con San Benedetto. Cadetto nella Reale scuola di Marina di Genova, partecipò come sottufficiale anche alla battaglia navale di Lissa. Cofondatore del Reale Yatch Club italiano, primo circolo velico del Mediterraneo, e della Lega Navale Italiana nel 1894.

Augusto Vittorio Vecchi

Nella sua brillante carriera di scrittore, con lo lo pseudonimo di Jack la Bolina, oltre a romanzi di avventura pubblicò anche molteplici studi sulla marineria italiana, che gli valsero una medaglia d’oro dal competente Ministero. Proprio in uno dei suoi tanti studi parlerà diffusamente delle flotte pescherecce in Adriatico, plaudendo a figure del calibro di don Sciocchetti, e auspicando l’avvento “…di una nuova generazione marinaresca, che attraverso la scuola, abbia affinato il cervello mercè l’istruzione e l’educazione…superando l’ostacolo dell’ossequio servile alla tradizione appoggiato all’ignoranza supina…”. Una esortazione la sua raccolta, come vedremo, da alcuni illuminati sambenedettesi.

Inizieranno in effetti nel 1936 i primi corsi della locale scuola di avviamento marinaro riservata a ragazzi dagli undici ai quattordici anni. Poco più che bambini. Ma già spesso imbarcati e operativi, sottomessi a bordo, da gerarchie rigidissime, insensibili alla loro giovane età. La flotta peschereccia sambenedettese si fa già valere in Adriatico e Mediterraneo. Sei anni prima, nel 1930, si è ampliato il porto, e si è costruito un mercato ittico all’altezza. Un notevole impulso alle attività marinare lo aveva dato, nel 1923, la famiglia Merlini, fondando la S.A.P.R.I. (Società Anonima di Pesca e Reti Italiana). Con la sua flottiglia peschereccia, già nel 1926, aveva varcato lo stretto di Gibilterra, spostando il suo raggio d’azione dall’Adriatico e Mediterraneo fino all’Atlantico e, nel 1938, fino ai Mari del Nord, lungo le coste della Groenlandia.

Il professor Augusto Capriotti ad un convegno sulla pesca del 1968

Filippo Merlini in primis fu dunque fra i pionieri della pesca atlantica maggiormente distintisi nella modernizzazione della flotta peschereccia sambenedettese. Una crescita che la porterà negli anni Cinquanta a primeggiare in Adriatico, e seconda solo a quella siciliana di Mazara del Vallo, a livello nazionale. Ed è già iniziata la sua espansione verso la nuova frontiera, la pesca oceanica. Una nuova, impegnativa, sfida, in mancanza, come quasi sempre, da sempre, nel nostro Paese, di una visione, un progetto organico, una organizzazione a livello nazionale, governativo e ministeriale, che coordini, favorisca ed assista, sotto ogni aspetto, le flotte pescherecce italiane. L’iniziativa è lasciata così tutta sulle spalle dell’impresa privata. Con onori, e più spesso oneri, soprattutto con tutti i rischi e le criticità che questo comporta. Anche San Benedetto, ovviamente, è lasciata al suo destino, quando le sue navi da pesca oceanica iniziano a salpare verso le lontanissime coste atlantiche occidentali dell’Africa.

Il preside Antonio Guastaferro, napoletano, classe 1921, istituisce al locale I.P.S.I.A., fra il 1959 e 1961, i primi corsi professionali, di prima e seconda classe, per padrone marittimo, meccanico ed elettricista di bordo. Negli stessi anni anche il professor Augusto Capriotti, tenta di mettere la sua straordinaria esperienza internazionale nel settore al servizio della marineria della sua città. Non riuscirà nel suo sogno: creare subito, a San Benedetto, un centro di Microbiologia marina mirato allo sviluppo dell’industria ittica su basi interdisciplinari e scientifiche. Un peccato che finirà per costerà caro alla redditività e allo sviluppo organico sul lungo termine, della locale marineria, e, in generale, all’Economia nazionale tutta, incapace di reggere la concorrenza delle meglio organizzate flotte pescherecce internazionali e, di conseguenza, la competitività sui mercati. Oggi resta solo il ricordo di quella epopea. E la Memoria di tutti i sambenedettesi che in mare hanno perso la vita.

Le lapidi dei Caduti in mare al molo

Al porto, sul muro lungo il molo nord, ci sono le tante lapidi che li ricordano tutti. Scriverà Pier Cesare Gobbi in un suo libro: “Questa città è nata, è stata fecondata dalla vita e dalla morte in mare dei pescatori”. Nella seconda metà degli anni Sessanta si verificano le tragedie del mare più dolorose. Il 20 febbraio 1966 affonda il “Pinguino” durante una battuta di pesca davanti alle coste africane della Mauritania. Quattordici i marittimi imbarcati che vi periscono, fra cui nove sambenedettesi. Poco meno di quattro anni dopo, all’alba del 23 dicembre 1970, a poche miglia a nord dal porto di San Benedetto naufraga invece il “Rodi”. Dieci le vittime.

La marineria sambenedettese, unica, grande ricchezza della città negli anni ‘50 e ‘60, avrà, in ogni caso, il grande merito di diventare la principale sostenitrice economica della locale squadra di calcio, arrivando ad autotassare a lungo i propri ricavi con una percentuale fissa da devolvere a favore delle anemiche casse sociali rossoblu. Risultando così fra i primi, determinanti, artefici dei successi di quegli anni.

(continua)

 

Quello che resta della flottiglia peschereccia sambenedettese

Il Rodi naufragò all’alba del 23 dicembre 1970

Il pesce appena issato a bordo

Il molo del porto di San Benedetto


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