Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto. Oltre alla rivalità sportiva, talvolta becera, c’è di più. Ci sono realtà figlie di passati gloriosi, che ai due centri hanno conferito prestigio. Ci sono state persone, popoli, storie e culture diverse, di pari dignità, separate solo da una manciata di chilometri, da conoscere, raccontare e tramandare. Accomunate, tutte, da un “eroismo” straordinario, che nessun astio, fazioso e municipalistico, può e deve cancellare. Di cui andare, tutti insieme, indistintamente, orgogliosi. L’amore cieco e sordo per il proprio campanile, il fanatismo che, in ogni campo, tutto avvelena, rischiano di farci ignorare, sia sotto il Torrione che in Piazza del Popolo, il meglio che, su entrambe le sponde, nei più diversi campi, con valore, sacrificio e abnegazione, durante lo scorrere degli ultimi secoli le nostre genti sono riuscite a costruire. A puntate, su Cronache Picene, racconteremo senza presunzione la Storia dei due centri. Sportiva e non. Scritta dai grandi personaggi del passato, soprattutto quelli meno celebri, da tramandare ai più giovani, e ai posteri, spesso ignari. Attraverso le glorie e le infamie, i fasti e le tragedie. Le pagine più esaltanti e i giorni più neri. Senza partigianerie e autoincensamenti di sorta. Senza sconti, che la Storia non può concedere a nessuno. Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto. Non più cugine invidiose e malevoli. Ma sorelle unite. E regine, entrambe, del Piceno e delle Marche. Non solo sui campi di calcio.
PUNTATA n. 13
A San Benedetto tutti lo salutano ancora, per la strada, chiamandolo capitano. Perchè Paolo Beni sarà il capitano per sempre. 415 presenze e 22 gol in tredici anni di ininterrotta militanza. Un primato difficile da battere. Ha saltato solo qualche partita per squalifica, maturata, ci tiene a sottolineare lui, sempre per somma di ammonizioni. Mai per una espulsione. Toscano di Firenze, ha ventitrè anni quando arriva dalla dalla Rondinella in serie D. Alla Sambenedettese, già in serie B, diventerà presto un leader.
«Quando sono arrivato, nel 1960, le gradinate nord e sud del “Ballarin” erano fatte con i tubi Innocenti e tavoloni di legno. Gli spogliatoi erano sotto la tribuna ovest, ma sembravano più cantine, sottoscala. I più alti si spogliavano verso l’esterno dove l’altezza era maggiore, e i più bassi dall’altra parte così nessuno sbatteva la testa sugli spigoli del soffitto. Si accedeva dal terreno di gioco attraverso un passaggio in mezzo al pubblico. Un cancello si apriva, all’occorrenza, per permettere il passaggio di noi giocatori, e, contemporaneamente, sbarrarlo a quello del pubblico, ma se qualche spettatore voleva allungarti uno scappellotto, dall’alto poteva riuscirci benissimo. Le panchine erano incassate nel parterre, riparate, ma a contatto diretto con gli spettatori. Nonostante queste condizioni comunque, non è mai successo nulla di grave. A quei tempi le tifoserie non erano organizzate. Non si andava allo stadio con il coltello in tasca e il passamontagna calato sul volto. Se al campo ci scappava la scazzottata, finiva lì. Alla vigilia dei derby i tifosi andavano a fare le scritte sui muri dello stadio avversario. Qui i tifosi organizzavano ronde notturne per vigilare, e prevenire l’affronto. Ricordo ancora una scritta fuori dallo stadio di Ascoli prima di un derby, che riguardava anche me: Eliani fallito e Beni cornuto».
«Al bar che avevo aperto a San Benedetto arrivavano spesso telefonate di sfottò. Sul momento no, ma ripensandoci oggi mi fanno sorridere. Se guardi le vecchie foto del pubblico del “Ballarin”, in tribuna gli spettatori avevano tutti la cravatta e il vestito buono. Tutti i pescherecci rientravano per il giorno della partita. Per i derby anche dalle battute di pesca in Oceano. Perchè la partita era una festa. Una cosa favolosa. I tifosi, ma spesso anche i dirigenti, si ritrovavano al bar “Chicco d’Oro” in centro, oppure, successivamente al “Bar Samb”, vicino alla scuola “Moretti”. Ma avevamo, allora, tifosi affezionati anche ad Acquasanta, presso il “Bar Sport”, e ad Amatrice, da dove, all’epoca, venir giù la domenica per guardare la partita, non era proprio così agevole. Noi giocatori con i tifosi in settimana si andava a cena insieme, o si giocava al biliardo la sera. Ma la domenica poi in campo dovevi dare tutto, sennò non ti perdonavano nulla. Se giocavi male o bene importava poco, ma l’impegno massimo doveva esserci sempre. Il calore del pubblico è stato sempre determinante a San Benedetto».
«Sia in serie B che in serie C abbiamo conosciuto lunghi periodi imbattibilità interna. Per più di un anno e mezzo, da giugno 1969 a febbraio 1971, in casa non subimmo mai una rete. Anche l’anno della retrocessione in C, in casa non perdemmo, comunque, mai. Una volta, nella mia Firenze, incontrai Maraschi insieme ad altri giocatori della Fiorentina. Lo avevo affrontato tempo prima con la Lazio al “Ballarin”, e lui mi fa: ma a voi che vi danno qualcosa prima della partita? Ecco. Se ne accorgevano bene gli avversari, ma quel “qualcosa”, era solo quella carica in più che il nostro pubblico sapeva sempre darci. Si è discusso molto sulla sorte del vecchio “Ballarin”. E’ un pò come per i campi di sterminio nazisti. Stanno morendo tutti quelli che possono raccontarlo. Ma quel campo di calcio ha portato beneficio enorme alla città, quando qui non c’era ancora nulla. Era già un tempio, una attrazione, pur con tutti i suoi limiti. Non aveva l’erba, ma terra battuta, che veniva rastrellata e irrigata con una autobotte prima di ogni partita e durante l’intervallo, per spegnere la polvere».
«Fra la gradinata est e il mare non c’era nulla, solo un campo dove i pescatori filavano le funi. Mi innamorai di questa cittadina così bellina, e ci sono rimasto per sempre. Il presidente Roncarolo era una persona seria, squisita. Anche se in sede era molto più presente l’ingegner Gaetani, il suo braccio destro, Roncarolo era la Samb. Ricordo con piacere anche il presidente in serie C Di Lorenzo, il suo più stretto collaboratore Duilio Testa, e il segretario Giancarlo Tacconi. In società era già presente in società l’attuale segretario, allora giovanissimo, Nazzareno Marchionni. Bei tempi segnati dalla pagina più nera. Il giorno della morte in campo di Roberto Strulli. Una volta la tradizionale amichevole estiva contro l’Ascoli era abituale. E non succedeva mai nulla. L’anno che arrivai e seppi di questa amichevole precampionato in programma, chiesi ai dirigenti di questa “Del Duca”, perchè non la conoscevo. Mi dissero che era una squadretta dell’interno, che era stata riammessa in serie C solo perchè di un capoluogo di provincia».
(continua)
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