di Claudio Maria Maffei*
Si sente parlare spesso del Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) come di una occasione storica per il nostro Paese e quindi per la nostra regione. Alla sanità, che è la Missione 6 del Pnrr, andranno complessivamente circa 24 miliardi di euro. Alla sanità delle Marche sono stati assegnati i primi 183 milioni, ma sul loro utilizzo ancora nessuno fuori delle segrete stanze sa niente. Questo ritardo preoccupa molto perché la Regione al Ministero deve presentare i suoi progetti sulla sanità entro il 28 febbraio 2022. Il rischio che queste risorse le Marche le spenda male o che addirittura non venga autorizzata a spenderle si fa sempre più alto. Cerchiamo di capire perché.
Dei 183 milioni destinati alla nostra Regione circa 72 sono destinati ai servizi territoriali. La gran parte parte è destinata a 29 Case della Comunità (42,5 milioni) e a 9 Ospedali di Comunità. Si tratta in entrambi i casi di strutture finalizzate a ridurre il ricorso all’Ospedale. Le Case della Comunità dovrebbero fornire tutti i servizi sanitari di base grazie alla presenza di equipe formate da Medici di Medicina Generale e Pediatri, medici specialisti, psicologi, infermieri (tra cui gli infermieri di comunità e di famiglia), fisioterapisti, logopedisti e assistenti sociali. Gli Ospedali di Comunità non saranno veri e propri ospedali, ma strutture residenziali sanitarie destinate a pazienti che necessitano di interventi sanitari a media/bassa intensità clinica e per degenze di breve durata. Avranno tra 20 e 40 posti letto e dovranno essere a gestione prevalentemente infermieristica. Essi serviranno soprattutto a facilitare il passaggio dei pazienti dalle strutture ospedaliere al proprio domicilio.
Perché i fondi per queste strutture vengano utilizzati la Regione Marche dovrà innanzitutto decidere dove costruire o adeguare gli edifici, ma soprattutto dovrà trovare il personale che le farà funzionare. Che oggi come tutti sanno non c’è e quel poco che c’è se si riesce a trovare viene mandato in ospedale. La Regione inoltre dovrà formare gli infermieri di famiglia e di comunità e mettersi d’accordo con i Medici di famiglia per farli lavorare in equipe dentro le nuove strutture.
Di quei primi 183 milioni che il Pnrr assegna alla sanità delle Marche, una quota consistente andrà poi agli ospedali. Sono previsti infatti fondi per la loro digitalizzazione (33,6), per il rinnovo del parco tecnologico delle grandi apparecchiature (27,6 milioni) e per gli adeguamenti antisismici (33,6). Questi fondi dovrebbero essere destinati soprattutto alle strutture ospedaliere di primo e secondo (e quindi rispettivamente con Dea di primo e secondo livello).
La Regione è chiamata dunque entro il 28 febbraio 2022 a fare scelte importanti e a farlo in modo trasparente e partecipato. La prima e più importante decisione riguarda la classificazione degli ospedali e la individuazione di quelli di primo e secondo livello.
Questa decisione è fondamentale per due motivi: serve a decidere su quali ospedali investire le risorse del Pnrr e a fare in modo che i troppi ospedali e soprattutto i troppi ospedali di primo livello non si soffochino tra loro e non soffochino i servizi territoriali. La Regione Marche con il suo programma di edilizia sanitaria continua a far finta di due cose (vedi la sua copertina nella foto). Che si possano continuare a chiamare ospedali anche le vecchie piccole strutture riconvertite e che possano rimanere nelle Marche gli attuali dodici ospedali di primo/secondo livello (che diventeranno tredici quando sarà completato il nuovo Inrca/Osimo), quando si sa che più di dieci non ci stanno in base ai parametri di legge. E se anche ce li vuole far stare per forza (ammesso che lo stato lo consenta) le Marche continueranno a nominare primari per reparti in cui non si troverà né abbastanza personale medico né sufficiente personale infermieristico. La spiegazione è semplice.
Due ospedali di primo livello vicini si soffocano perché in tutte e due debbono essere attivi nelle 24 ore moltissimi reparti e servizi il che equivale a dire che buona parte dell’orario di lavoro finisce per essere utilizzato per la copertura (doppia nello stesso territorio) dei turni notturni e festivi. Questo vale ad esempio per: la medicina d’urgenza, la radiologia, il blocco operatorio, la chirurgia generale, la medicina generale, la terapia intensiva, la cardiologia, l’ortopedia, la pediatria, la ginecologia-ostetricia, la neurologia, la urologia, ecc. Succede così che nelle strutture pubbliche manca il personale per le attività programmate creando liste di attesa per i cittadini e frustrazione tra i professionisti.
Un esempio classico è quello di Ortopedia: sei case di cura private fanno nelle Marche più chirurgia protesica di dodici ortopedie pubbliche. Nel 2020 nell’Area Vasta di Macerata, che è una di quelle messe meglio grazie alla qualità dei suoi professionisti, Villa dei Pini ha fatto 424 interventi di protesi d’anca e di ginocchio e le tre strutture pubbliche di Macerata, Civitanova e Camerino con molto più personale perché chiamate a gestire le urgenze sommate tra loro 451. Poi se gli ortopedici scelgono di andare a lavorare nel privato e i cittadini li seguono non ci lamentiamo.
Di tutto questo Giunta e assessore dovrebbero parlare coi territori e non parlare di un nuovo Piano Sociosanitario che non ha finanziamenti e che non ha scadenze. Il Pnrr ha tutti e due e forse bisogna cominciare a tenerne conto.
* medico e dirigente sanitario in pensione
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