testo e foto di Gabriele Vecchioni
«Il bisogno che ha la psiche di bellezza è fondamentale. […] Quando il soddisfacimento di quel pressante bisogno di bellezza viene situato nella natura, e la natura è minacciata di distruzione, l’essere umano avverte una perdita d’anima (James Hillmann, Politica della bellezza, 2000)»
Premessa. L’articolo 9 della Costituzione Italiana recita che «La Repubblica… Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». I troppi approcci negativi e la nefasta azione dell’uomo lasciano qualche dubbio sulla reale applicazione di questo dettato costituzionale; la speranza di un ravvedimento della società civile e di un “cambio di rotta” nella protezione reale di questo patrimonio comune permettono però di occuparsi con serenità dell’argomento di questo articolo, lo studio del paesaggio.
L’osservazione del paesaggio, per la sua natura polisemica, è materia ideale per formare nelle persone il senso critico e il senso di appartenenza. Esaminare i diversi componenti con occhio valutativo, provare emozioni e comprendere la diacronicità (la dinamica e l’evoluzione) del paesaggio significa studiarne la storia, la cultura popolare, l’economia… e immaginarne il futuro.
Il naturalista e geologo Frederick Bradley ha scritto (2011) che «Tutto ciò che osserviamo in un paesaggio ha un preciso significato; interpretare questo significato vuol dire leggere il paesaggio». La lettura del paesaggio può sembrare una forma snobistica di turismo culturale ma non è così: farlo significa avere la corretta visione del rapporto uomo-territorio, indirizzare le proprie scelte (queste sì, culturali) e, in ultima analisi, migliorare la qualità della vita.
Il paesaggio come patrimonio. Una delle ricchezze del nostro territorio è costituita dal paesaggio, nato dall’interazione tra l’uomo e la natura nel corso del tempo: la grande varietà di ambienti, le bellezze naturalistiche, artistiche e culturali sono una delle sue risorse identitarie. Herman Hesse, nel suo Dall’Italia e racconti italiani (1907), riferendosi all’Umbria, scrisse che «… il paesaggio, verde e luminoso, rinchiuso entro una possente cerchia di alti monti ancora innevati. Vicino o lontano, non c’è sguardo che non sfiori una località antica, celebre, sacra…». Usando le sue parole, si può estendere il lusinghiero giudizio allo scenario piceno, simile a quello descritto dallo scrittore e altrettanto ricco di realtà storico-architettoniche e paesaggistiche.
Dopo diversi articoli relativi ad aspetti interessanti del nostro territorio, in questo pezzo saranno analizzati brevemente i criteri usati per “leggere” il paesaggio, cercando di sintetizzare la complessa materia dell’analisi paesaggistica in poche linee generali, scusandomi per il didascalismo dell’esposizione.
Leggere il paesaggio per comprenderne le caratteristiche è un’operazione che ciascuno di noi compie, in modo più o meno cosciente e con sistemi di lettura diversi, in funzione dei propri interessi e della propria cultura (nel 2012, Tiziano Fratus, nel suo Il sussurro degli alberi, ha scritto: «Mi immergo nel paesaggio e lo decifro col mio personale alfabeto…»).
Condizione propedeutica per poter interpretare il paesaggio è la conoscenza del significato di alcuni termini che, spesso, vengono considerati sinonimi e come tali, utilizzati.
L’ambiente (dal latino ambire, circondare) indica l’insieme dei luoghi dove si vive e della relazione tra elementi fisici, biologici e antropici. Il territorio (voce medievale dal latino terra) individua l’insieme dei luoghi soggetti a giurisdizione (p. es., del comune). La voce paesaggio viene dal francese paysage (dal latino pagus, villaggio); è una parte ridotta del territorio ma l’osservatore, spesso, lo identifica con il territorio stesso. Il paesaggio non va confuso con il panorama, «rappresentazione scenica del territorio».
Il paesaggio «è un fenomeno principalmente estetico, più vicino all’occhio che alla ragione, più apparentato alla sensibilità e alle sue disposizioni che all’intelletto (Michael Jakob, 2009)». Davide Ronconi, poeta e scrittore, in Luoghi dell’infinito (2018) ha spiegato che «non esiste il paesaggio, ma un uomo che guarda un luogo».
Il paesaggio comprende elementi naturali e fisici (l’acqua, le rocce, le piante…) ed elementi antropici (le case, le strade…). È il risultato dell’interazione tra le dinamiche della natura e della società umana, delle trasformazioni storiche della Terra e della sua modificazione operata dall’uomo.
L’analisi (di tipo descrittivo) del paesaggio si sviluppa in tre tappe. La prima consiste nell’individuazione degli elementi strutturanti, come l’orografia e la distribuzione della vegetazione (la cosiddetta naturalità). Il secondo step è il riconoscimento dei singoli elementi del paesaggio, gli iconemi o “unità elementari della percezione”: il pilone dell’alta tensione, l’albero isolato, i terrazzamenti, la texture delle parcelle agricole, il paesino con la chiesa, ecc. Vediamo di chiarire il concetto con le parole dell’ “inventore” del termine, il geografo Eugenio Turri (1998): «La percezione di un paese avviene attraverso una serie di elementi costitutivi del territorio che impressionano per la loro evidenza, bellezza, grandiosità, singolarità, o perché magari si ripetono, come leitmotiv caratteristici e inconfondibili. Questi elementi visivi, rilevabili nel paesaggio (fiumi, ville, piazze, castelli, santuari…), parte integrante della storia e della cultura degli abitanti, possono essere chiamati con il termine di iconemi».
Il terzo passo è la definizione di aree omogenee (il fondovalle urbanizzato, la zona industriale, il nucleo antico del borgo, il quartiere residenziale periurbano…). Alla fine della “lettura”, i diversi elementi si combinano per dare l’organizzazione complessiva.
La comprensione del paesaggio è mediata da diversi fattori, in particolare dal punto di vista, dalla facilità della visione e dalla coerenza tra i segni. È possibile introdurre elementi di discontinuità ma il controllo incompleto del loro impatto scenico e l’ormai loro alta frequenza producono una “stonatura”, un disturbo visivo che, spesso, si traduce in un disagio psicologico (alcune immagini a corredo dell’articolo chiariscono proprio quest’aspetto percettivo).
Un esempio di lettura non-facile del paesaggio è riportato in una delle immagini a corredo dell’articolo: nella foto della bassa valle del Tronto vista da uno dei sentieri escursionistici del versante orientale della Montagna dei Fiori si evidenzia un paesaggio con diversi elementi da considerare. La complessa immagine della valle e delle zone limitrofe, in uno spazio limitato, vede concentrati una molteplicità di segni diversi. Alle basse quote, la profondità delle visuali è limitata dalla vicinanza dei crinali, con l’alternarsi dei paesaggi locali; è possibile apprezzare “vedute” più ampie salendo di quota. Le zone di fondovalle, dove si trova la maggior parte degli insediamenti produttivi (artigianali e industriali), sono di medie estensioni e acquistano i caratteri di frangia urbana. Il passaggio dalle zone edificate industriali alle aree coltivate e a quelle “naturali” avviene senza elementi di filtro che potrebbero attenuare il disagio generato da componenti spesso incoerenti fra loro.
Il segno dell’uomo. L’attività antropica costituisce uno dei fattori principali di modellamento del territorio: le modifiche apportate dall’uomo in circa tremila anni di “attività” sono state profonde e hanno determinato l’attuale paesaggio del nostro Paese che ha perso, ormai in gran parte, le caratteristiche naturali e appare come il prodotto di stratificazioni diverse, nelle quali l’attività umana, espressione dei vari momenti storici, prevale sulle altre forze modellatrici. Volendo cogliere l’aspetto positivo, si possono ricordare le parole di Victor Hugo che, riflettendo sul significato dei monumenti, sottolineò (1831) l’insostituibile valore di ogni segno impresso sulla costruzione (ma la riflessione vale anche per il paesaggio): «…ogni lato, ogni pietra… è una pagina della storia… Ogni ondata del tempo vi sovrappone un’alluvione, ogni razza vi aggiunge una stratificazione, ogni individuo vi apporta la sua pietra… Il tempo è l’architetto, il popolo il muratore…».
L’azione antropica sul paesaggio si estrinseca, principalmente, in quattro modi: la creazione ex novo di strutture estranee al contesto naturale (urbanizzazione); la sostituzione delle essenze vegetali originarie con altre funzionali ai bisogni dell’uomo (agricoltura); la rimozione di porzioni di territorio (cave); la surrogazione della vegetazione originaria per cause diverse (colonizzazione di coltivi abbandonati o di aree percorse da incendi). Le prime due azioni sono quelle che hanno contribuito, più di altre, alla creazione del paesaggio.
Le medesime azioni che hanno generato il paesaggio stanno ora alienandone l’immagine, a favore di un nuovo modello che tende all’omologazione. Nel nostro caso, l’urbanizzazione del fondovalle della «smeraldina valle del Tronto» (così fu definita, a fine Ottocento, dall’ascolano Giulio Gabrielli) la sta trasformando in una enorme periferia, non dissimile da quelle delle città metropolitane (i palazzoni delle periferie di Roma e di Milano sono simili a quelli di Ascoli). Ricordiamo che la valle truentina è «un’area a forte densità demografica (tra Ascoli e Porto d’Ascoli – meno di 30 km – ci sono circa 100 000 abitanti, su un
totale di 210 000 dell’intera provincia)».
Sulla percezione del paesaggio influiscono in maniera negativa diversi elementi: l’eterogeneità e le dimensioni della segnaletica stradale (cartelli e cartelloni), la varietà degli arredi urbani, il carattere della rete viaria (rotatorie e aree di parcheggio), la presenza di linee elettriche aeree e di antenne per le telecomunicazioni, le caratteristiche della vegetazione dei giardini privati, spesso costituita da specie esotiche.
Il buon senso vorrebbe che i valori scenici del paesaggio venissero conservati, tenendo in considerazione e/o reinterpretandone in modo attento le caratteristiche, i caratteri dominanti quali i fattori di scala (evitando edifici troppo grandi), le orditure dei materiali (sia vegetali sia quelli del costruito), i colori degli elementi presenti nelle visuali.
Si può concludere ricordando un concetto di Gregory Bateson, biologo inglese assertore della funzione ecologica della bellezza: «Tutti i luoghi hanno una valenza estetica (…) il che, ovviamente, non significa che qualsiasi luogo ci piaccia e ci soddisfi, ma che anche la reazione che proviamo di fronte a paesaggi devastati, dissonanti o manomessi è una reazione estetica, che spesso connòta e identifica quei luoghi più efficacemente dei dati ambientali o sociologici».
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