di Maria Nerina Galiè
Cambiano le abitudini, le belle e le brutte. Queste ultime spesso vanno a braccetto con l’eccesso di quelle che nascono come momenti felici, di divertimento e aggregazione. Ed ecco che alle dipendenze “classiche” – che pure richiedono un grosso impegno da parte del sistema sanitario – a mettere a repentaglio la sicurezza e la salute delle persone ora si aggiunge “lo sballo del fine settimana”. E’ questo uno dei nuovi “mali” sociali, che ha preso piede negli ultimi anni, riguardando prevalentemente i giovanissimi.
Tutto quanto sopra esposto emerge dall’esperienza sul campo del dottor Marco Quercia, direttore Servizio Territoriale Dipendenze Patologiche (Sert) del Distretto Sanitario di Ascoli, che evidenzia una netta distinzione tra il “classico tossicodipendente”, il Sert di Ascoli ne segue circa 400 l’anno, e gli utenti che vogliono, o devono, seguire il percorso di valutazione ed eventuale cura per altri motivi.
«Il tossicodipendente, chiamiamolo “tradizionale”, manifesta assuefazione, dipendenza, astinenza, in maniera “esclusiva” nei confronti di eroina, cocaina o alcol, di cui fa uso quotidiano. Anni fa era riconducibile a determinate categorie sociali o contesti familiari e ambientali difficili.
Adesso, oltre ad essersi abbassata l’età media di chi fa uso di sostanze stupefacenti, la fascia di popolazione interessata si è allargata a tutte le categorie. Inoltre si parla di “poliabuso”, cioè uso di sostanze diverse a seconda dei contesti in cui il cittadino si trova.
E’ il caso di qualche giovanissimo, che perde la testa per aver bevuto troppo un sabato sera, magari accompagnando il bicchiere con qualche pasticca: si sente male, al limite del coma etilico, oppure si lascia andare a comportamenti violenti e aggressivi ai danni di altri, o finisce vittima di incidenti stradali.
Oggi, rispetto ai danni della dipendenza patologica cronica, sono più pericolosi e frequenti gli “effetti in acuto”, dell’utilizzo improprio di sostanze stupefacenti, droga ma anche l’alcol lo è, spesso usati insieme. Si può tranquillamente definire una nuova minaccia per la popolazione».
E’ appropriato, in questi casi, parlare di dipendenza, dottor Quercia?
«No, questi ragazzi durante la settimana non bevono. La dipendenza patologica ti fa andare alla ricerca della sostanza tutti i giorni, non solo weekend. Eppure l’abuso, anche se limitato ad episodi sporadici, può provocare danni immani a chi lo pratica ed agli altri».
A cosa attribuisce la diffusione del fenomeno?
«Uno dei motivi è il cambiamento di abitudini anche nel divertimento. L’aperitivo ad esempio, che in alcun modo voglio demonizzare, sia chiaro.
Ora non c’è una conversazione, tra amici o conoscenti, che non termina con: “Una di queste sere andiamo a farci l’aperitivo”. Prima si diceva: “Andiamo a mangiarci una pizza”.
Noi mediterranei amiamo il vino da sempre. E ben venga il bicchiere che accompagna il pasto. Al ristorante o in pizzeria il cameriere, prende l’ordinazione del cibo poi chiede: “Che vi porto da bere?” L’aperitivo ha ribaltato il processo, in quanto il cameriere dice: “Volete qualcosa da stuzzicare per accompagnare la bevuta?” Sembra una cosa di poco conto, ma non lo è. L’alcol è stato messo al centro della serata».
Le conseguenze, soprattutto in una utenza molto giovane?
«Punto primo, sotto i 12 anni non si deve bere. Non lo vieta la legge, ma la scienza: l’essere umano non ha ancora un patrimonio enzimatico adatto a metabolizzare l’alcol. Per le donne l’età si alza a 16 anni, ma anche dopo risultano meno predisposte a metabolizzare.
Punto secondo, lo “stordimento” provocato dall’alcol aumenta la disinibizione, spingendo verso l’utilizzo, la prova, di altre sostanze. La serata può così sfociare in episodi di violenza, ritiro di patenti o incidenti, appunto.
Negli ultimi tempi – sono sempre le parole del direttore del Sert – abbiamo assistito all’aumento del numero di minorenni inviati alla nostra struttura dal Tribunale dei minori per segnalazioni abuso di alcol».
«Il principio attivo – precisa il dottor Quercia – è 50 volte superiore nei cannabinoidi sintetici rispetto a quello contenuto nei “naturali”. Quindi sì, gli effetti sono molto più potenti.
Negli ultimi tempi di registra anche un aumento dell’utilizzo di farmaci psico attivi nei giovani. Parliamo di medicinali che si possono trovare normalmente a casa, come il Tavor, utilizzato su prescrizione medica da molte donne e anziani».
In merito alle dipendenze, un primato in ascesa lo registrano quelle verso il gioco d’azzardo, cioè quelle senza uso di sostanza. Al Sert si rivolgono molte famiglie, messe in ginocchio e disperate per il comportamento di un componente. Persone che devono curare la patologia che si cela dietro al “vizio”.
«Nel Distretto di Ascoli – sono ancora le parole del dottor Marco Quercia – ci sono 5 sportelli di ascolto per famiglie e pazienti e gruppi di “auto mutuo terapia”. Come per le altre dipendenze, la patologia è cronica e richiede anni di terapia. Durante le chiusure per Covid si è passati dalle sale da gioco all’online, con la pericolosa conseguenza che, davanti ad uno schermo che bombarda con effetti audiovisivi, si entra in una sorta di trance, perdendo più facilmente il controllo e la dimensione del tempo».
La prevenzione, in tutto questo, gioca un ruolo importante dottor Quercia?
«Senz’altro. Ma mette anche in evidenza tutte le incoerenze delle regole del sistema.
L’alcolismo è una delle dipendenze più radicate nella nostra società, in quanto il prodotto è facile da reperire, a buon mercato e meglio accettato culturalmente rispetto alle droghe. Ecco, lo Stato spende un milione di euro in iniziative di prevenzione, mentre si permette che le aziende investano 500 milioni per pubblicizzare l’alcol. Vogliamo parlare del gioco d’azzardo, regolato proprio dallo Stato che pubblicizza vincite milionarie pronte a cambiarti la vita? Poi si grida all’allarme dipendenza patologica e si creano percorsi di prevenzione con una minima parte del guadagno ricavato».
Che ne pensa, dottore, della legalizzazione dei cannabinoidi?
«Se si tratta di ridurre gli introiti della malavita può essere giusto, ma è un discorso che lascio ad altri. Io posso riferire la mia posizione da medico: trattandosi di sostanze che alterano l’equilibrio psicofisico, non posso essere d’accordo ad una diffusione legalizzata».
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