testo e foto di Gabriele Vecchioni
Monteprandone è un borgo della bassa valle del Tronto nato, come altri centri simili della valle truentina, all’epoca dell’incastellamento, quando la popolazione, per ragioni sociali (migliori opportunità di difesa) e sanitarie (il fiume spesso esondava e impaludava le golene), “si radunò” in altura, attorno al castello. Il paese vecchio mantiene ancora l’atmosfera dei vecchi incasati di origine medievale, con diverse opere monumentali interessanti.
Davanti all’abitato, isolato su un’area pianeggiante, sorge il monastero dedicato a Santa Maria delle Grazie, fondato dal San Giacomo della Marca, eminente figura di francescano osservante, nato in questo piccolo borgo: grande predicatore e consigliere di papi e di re. Il suo corpo incorrotto, custodito per secoli presso la chiesa di Santa Maria La Nova della città partenopea, ha fatto definitivo ritorno a Monteprandone nel 2004, dove è mèta di pellegrinaggi.
La figura del Santo. Il futuro San Giacomo nacque nel borgo piceno nel 1393, come Domenico Galgani, ultimo di diciotto (!) figli e morì a Napoli nel 1476, ultraottantenne. Il francescano fu canonizzato nel 1726 da Papa Benedetto XIII, 250 anni dopo la sua morte; già qualche decennio dopo il trapasso, però, la devozione popolare lo aveva “nominato” santo (quando ancora era in vita, si usava per lui l’aggettivo “beato”): aveva luoghi e altari dedicati, la stessa sua casa natale era stata trasformata in oratorio e munita di campane.
Giacomo fu accompagnato, ancora in vita, da manifestazioni di affetto un po’ dovunque: il santo stesso si lamentò che a Padova, dopo le prediche, la gente lo seguiva e «chi me tira la capa [il cappuccio], chi me tocha i zocoli!», concludendo umilmente: «Chi chredete vuoi che io sia?». Nel Museo conventuale è esposto il mantello originale, dal quale i fedeli tagliavano piccoli lembi da conservare come reliquie.
Della vita del Santo hanno scritto in tanti ed è facile trovare (anche in Rete) notizie relative alle sue molteplici attività, come insegnante, predicatore, legato pontificio, consigliere, pacificatore e altro (fondò diversi Monti di Pietà e lottò contro la superstizione, ai suoi tempi largamente diffusa); a lui sono attribuiti diversi miracoli. A proposito di questi ultimi, il segretario e biografo, Fra’ Venanzio da Foligno, scrisse – esagerando – che «ne compì almeno centomila».
Uno dei suoi meriti fu quello della costituzione dei già citati Monti di Pietà, dove i poveri potevano impegnare loro averi a tassi minimi, liberandosi così dalla soffocante morsa degli usurai.
Riguardo alle diverse attività del santo, Giulio Gabrielli scrisse (1882) «del francescano S. Giacomo detto della Marca, il quale nelle discordie civili del secolo XV correva qua e là per l’Italia, e colla sua autorità ed eloquenza, encomiata anche dal Sannazzaro [l’umanista Jacopo, secc. XV-XVI], valse molte volte a risparmiare il sangue cittadino e a fondare pie istituzioni di beneficienza».
Qui ci limiteremo a ricordare che San Giacomo ha goduto di fama ininterrotta dalla sua morte ai nostri giorni, come santo intercessore e protettore dell’infanzia [aveva fondato diversi orfanotrofi], ed è compatrono di diverse città, tra le quali Napoli e Mantova.
Il convento. La primitiva costruzione del Santuario risale al sec. XV (l’autorizzazione di Papa Niccolò V è del 1449). L’edificio fu completato in pochissimo tempo, e lo stesso Papa Nicolò V, morto nel 1455, e il successore Callisto III nel 1456 concessero diverse indulgenze ai fedeli che lo avessero visitato, poi cumulate il giorno della festa dell’Assunta, il 15 agosto (il convento fu dedicato alla Madonna delle Grazie mentre la chiesa era dedicata all’Assunta). San Giacomo lasciò alla chiesa l’immagine in terracotta della Madonna col Bambino, avuta in dono dal Cardinale Della Rovere e alla quale è attribuito un fatto miracoloso (la Vergine avrebbe mosso il busto, per confermare la sua approvazione alle parole di San Giacomo). L’icona è ancora presente in una cappella laterale della chiesa, contigua a quella dove è conservato il corpo del Santo.
Il “conventino”, ampliato già nel 1500 perché insufficiente, «Venne costruito alle falde di un delizioso colle, distante dal paese un miglio e due dal Tronto, con vasti orti da una parte e bellissimo querceto dall’altra… (Don G. Caselli, 1937)». Il bosco che lo circondava era la “Selva di S. Giacomo”, della quale rimase solo una reliquia. L’Amministrazione comunale, nel 1897, vendette le circa tremila piante della selva; si salvò solo la cosiddetta “quercia di S. Giacomo”; nel 1973 una tempesta di vento abbatté il tronco vetusto (di un’età presunta di circa 500 anni). A questo proposito, in un suo scritto, Umberto Picciafuoco racconta un aneddoto relativo a questo albero: la quercia si sarebbe sviluppata dal bastone di San Giacomo, dimenticato tra i rovi. Il bastone (o la canna) è uno degli elementi dell’iconografia del Santo che aiuta a riconoscerlo nelle raffigurazioni pittoriche.
La chiesa. Insieme al convento originario (il già citato “conventino”) fu costruita una piccola chiesa, dedicata alla Madonna delle Grazie. Nel ‘500 e, successivamente nel ‘700, l’edificio fu ampliato per far fronte alle esigenze dei monaci e dei fedeli, aumentati a dismisura. Dell’edifico primitivo rimane l’affresco, a sinistra di chi entra, con i Santi Bernardino da Siena e San Sebastiano. Delle principali opere che decoravano la chiesa nel sec. XVI sono presenti due pale d’altare di Vincenzo Pagani e Durante Nobili. Dietro all’altare, uno splendido tabernacolo ligneo (sec. XVII) e, sulla parete in fondo al coro, un monumentale crocifisso ligneo, ai lati del quale sono posizionate due tavole sagomate e dipinte (i personaggi raffigurati sono la Maddalena e San Giovanni), attribuite a Cola dell’Amatrice. La storica dell’Arte Daniela Ferriani assegna però queste opere al Pagani, contemporaneo e “rivale” del Filotesio.
Una cappella laterale, decorata da tempere di fra’ Arturo Cicchi, ospita la terracotta policroma già citata; in un’altra, più ampia, è esposta l’urna con il corpo del Santo. L’arco e le colonne di pietra sono quelli dell’edificio cinquecentesco.
Il Museo di Arte Sacra è sistemato all’interno del chiostro conventuale; le venticinque lunette sono state dipinte, con gusto popolare, da «Emidio Tegli di Ascoli, [che] inventava e dipingeva le gesta del glorioso San Giacomo di questo Comune a cura dei firmati devoti l’anno del Salvatore 1848», come riporta Luigi Dania (1993). Nelle sale del Museo si entra oltrepassando la porta lignea del vecchio convento; nelle sale sono esposte diverse opere d’arte, oggetti e capi di vestiario appartenuti al San Giacomo. Oltre al suo calice (sec. XIV), ai suoi abiti, a sigilli (tra i quali quello caratteristico del Santo) e manoscritti che rivestono un notevole valore cultuale (e culturale), è possibile ammirare un bellissimo trittico – in realtà, si tratta di un “altare portatile” – con intarsi in legno e avorio (Bottega degli Embriachi, inizi del sec. XV); una splendida figura lignea, un busto-reliquiario di San Giacomo, dorato e dipinto, opera realistica degli inizi del sec. XVII, spesso portata in processione; una Via Crucis del primo Settecento proveniente dalla chiesa francescana; oggetti di provenienza cinese (paramenti liturgici in seta e una cassapanca in legno intagliato), importate da missionari francescani agli inizi del secolo XX. Diverse vetrine sono dedicate ad abiti del Santo, tra i quali il più antico lavoro a tombolo conosciuto, la tonaca e il mantello del quale si scrive in altra parte dell’articolo.
Ultima acquisizione del Museo è la tunica originale del Santo, ritrovata recentemente nel convento all’interno di una cassetta di legno, dietro indicazione di una fedele che ha dichiarato di aver ricevuto l’informazione in sogno.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati