di Walter Luzi
La benedizione degli Zanni. A Pozza e Umito di Acquasanta ieri, 26 febbraio, sabato di Carnevale, ha nevicato a cielo aperto. E’ il secondo anno, segnato pure questo dalla pandemia, che l’iniziativa viene sospesa.
Così i caratteristici, variopinti, copricapi di carta velina non si sono bagnati. Da queste parti ci credono. Sono gli Zanni a mandarla giù tutta questa neve, in questi due ultimi sabati di Carnevale un po’ più tristi e silenziosi, bruciati, comunque, dall’emergenza Covid, che cancella per il secondo anno i Carnevali storici del Piceno. Quello di Pozza e Umito è entrato a far parte ufficialmente del club di recente, solo nel 2011, dopo quelli, più conosciuti e celebrati, di Ascoli, Offida e Castignano.
Ma non soffre certo, per questo, di complessi di inferiorità. Anzi. Le montagne dell’acquasantano, ricche di risorse e bellezze naturali, che ne hanno causato per millenni l’isolamento, ne hanno custodito, in compenso, quassù, il fascino, l’unicità e l’orgoglio. Per generazioni. E’ il Carnevale degli Zanni di Pozza e Umito. Una festa in famiglia, una tradizione riservata ai soli residenti, per secoli. Un unicum. Come alcuni tipi di castagne, che crescono solo qui, e le cascate più belle della regione, che scivolano sulla roccia arenaria di questi monti. Zanni era un personaggio del teatro comico dell’antica Roma, poi diventata maschera della Commedia dell’Arte nel quindicesimo secolo. Anche Dario Fo riteneva la maschera di Arlecchino e delle altre italiane più conosciute, Brighella e Pulcinella, come dirette discendenti di quella di Zanni.
Un nome che altre correnti di pensiero vorrebbero invece mutato da Zuan (Gianni), nome molto diffuso nelle campagne del Triveneto, ed importato, sostiene qualcuno, alle nostre latitudini dai maestri scalpellini nordisti calati nell’ascolano a caccia di travertino. Molto più credibile invece, vista anche la vicinanza con Roma, far risalire le origini del Carnevale degli Zanni direttamente agli arcaici riti propiziatori pagani dei “carmina arvalia” che affondano le radici nel primo regno di Romolo. Vere e proprie liturgie dedicate al culto di Dia, dea della Natura, delle terre coltivate e delle messi, dai monaci Arvali. Nel Carnevale degli Zanni il Bene e il Male si fronteggiano.
Il primo, nei panni di una guardia, cerca, a stento, di tenerlo alla catena, di arginarne le malvagità. Il secondo, incarnato da un diavolo, armato di forcone, insofferente e insensibile ai pacifici aneliti degli uomini, mai stanco di infondere loro nuove paure. Contrapposizioni basiche, vecchie come il mondo, trite e ritrite, ma sempre di puntuale, e sempre più sconfortante, attualità, udendo il grido di dolore, il più vicino e recente di un coro infinito, che si sta levando, proprio in questi ultimi giorni, dalla terra ucraina. Il Bene e il Male. Sono le entità che decidono i nostri destini, quelle che animano il Carnevale degli Zanni. Come la coppia di sposi, che sta a significare invece la fiducia nel futuro, nonostante tutto, la gioia di vivere, la fertilità, la famiglia, l’amore per la vita e per il Creato. Simbologia legata all’auspicio di un raccolto abbondante per tutti, allora. Ad un benessere globale, lontanissimo ancora oggi. Senza guerre e nuove pestilenze. Quelle che non riusciamo proprio a farci mancare nemmeno adesso, nella nostra comoda e malata modernità.
I costumi degli Zanni sono variopinti, guanti e calzettoni bianche ornati da pon-pon, lo scialle frangiato sulle spalle è una sorta di onorevole vessillo di famiglia che passa di padre in figlio.
Si è partito, negli ultimi anni, a Umito, dal Laga Nord di Ascenzio Santini, custode e cultore del territorio, con la sua azienda agricola e agrituristica, luogo simbolo della rinascita di queste zone montane. Il suonatore di organetto è un’altra delle figure-guida del festoso, colorato e rumoroso corteo. Trasmette allegria, contagia lo spettatore, lo invita alla danza propiziatrice collettiva. Fatta di piccoli salti, come nel tradizionale, folkoristico saltarello marchigiano, ma, questa, in cerchio, come facevano i monaci Arvali per proteggere i campi dagli influssi maligni, renderli fertili e propiziare raccolti abbondanti. Accompagna anche il tamburello, unico strumento, un tempo, a scandire i tempi della liturgia, mentre la piccola, vociante comitiva, lentamente, avanza fra le vechie case in direzione di Pozza.
Lungo la strada l’unica sosta obbligata è al camposanto, per salutare gli avi che hanno vestito, in passato anche loro i panni degli Zanni. Non è cambiata questa usanza nemmeno dopo che quel piccolo cimitero è diventato un sacrario partigiano internazionale. Dove riposano, fianco a fianco, i trentasette martiri di cinque nazionalità, partigiani valorosi e civili inermi, trucidati dai fascisti locali e dai nazisti la notte fra il dieci e l’undici marzo 1944. Si è scritta anche la pagina più eroica e dolorosa della Resistenza picena su queste montagne dell’acquasantano. A Pozza, come ad Umito, tavole imbandite all’aperto attendono figuranti e pubblico, con vino e i tradizionali ravioli di castagne offerti dai paesani a tutti. E’ quella condivisione del cibo, usuale nelle Comunanze, le più attente a custodire lo spirito e le tradizioni del passato.
In origine il copricapo a cono dei giovani Zanni era solennemente bianco e sormontato dall’immagine ideale della donna desiderata. Strada facendo le aspiranti mogli vi apponevano poi un fiocco colorato per avanzare la propria… candidatura. Le coccarde, come vengono anche chiamate, degli zanni di oggi sono invece subito ornati da centinaia di strisce di carta multicolori, che li rendono così caratteristici, e, forse, anche al passo con … l’evoluzione di certi costumi sociali. In mano, questa sorta di sacerdoti pagani, hanno la “staiola”. Non è una spada, un’arma da brandire, ma un pacifico strumento arcaico di misura per sacerdoti vigilanti anche sui confini delle terre. La staiola come sottomultiplo dello stadium romano, unità di misura equivalente a 185 dei nostri metri lineari. Un pezzo di legno con tacche intagliate impreziosito, con il passare degli anni, dai paesani di Pozza e Umito con motivi, pitturati o intagliati con altri tipi di legno di diverso colore incastonati sulle due facce. Simboli del Bene e del Male che ritornano. Il cordone ombelicale, la vita, le uova, l’azzurro del cielo da un lato.
L’oro, il fuoco, il buio del diavolo dall’altro. Piccole opere d’arte artigiana di cui uno dei maestri, fra gli altri, è Alberto Ciampini. La pregiata staiola di Ascenzio Santini è rimasta a Montreal, in Canada, in dono all’Alma, l’associazione lauretana dei marchigiani all’estero, al termine di una trasferta del Carnevale degli Zanni, qualche anno fa. Un omaggio gradito, ricambiato da qualche lacrima di commozione. Guidavano quella spedizione il vicesindaco Luigi Capriotti e il presidente del Bim Luigi Contisciani. Perchè in quella città ci sono più acquasantani che ad Acquasanta.
Tantissimi emigranti che qui vivono e lavorano fin dai primi anni del dopoguerra, e che hanno trasmesso ai loro discendenti l’amore per le loro radici e per le loro tradizioni. Il buon vino, i ravioli di castagna, le marmellate fatte in casa, con l’orticello coltivato, spesso dietro al villone con piscina. E il Carnevale degli Zanni, che ha lo stesso sapore delle cose buone di un tempo.
A Pozza e Umito, incastonate come antichi monili nella selvaggia valle del Garrafo, la prima strada rotabile è arrivata solo negli anni Trenta. Prima era problematico arrivarci anche in sella ad un cavallo. Il lungo isolamento geografico ed orografico dei Monti della Laga, emersi del fondo dell’oceano su blocchi di arenaria, ne hanno fatto, da un lato, anche la fortuna. Unicità botaniche, naturalistiche, geologiche e culturali ne fanno fra le mete più frequentate del Parco Nazionale Gran Sasso-Laga. Per la prossima estate la locale, attivissima, Comunanza Agraria sta meditando la maniera migliore per inaugurare la nuova sede. Si pensa alla prima, speciale, edizione estiva del Carnevale degli Zanni. Si conta anche sui loro benefici influssi per lasciarsi finalmente alle spalle, e definitivamente, l’incubo della pandemia.
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