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Da Ascoli a Kiev in auto per riprendere la mamma: odissea ma anche staffetta di solidarietà 

GUERRA - Protagonista dell'avventura, finita nel migliore dei modi, Maia Antonenko che vive da 6 anni in città, insieme con il compagno Giuseppe Forti: «Il mio eroe». Determinante anche la telefonata con Pariboni,  collaboratore di Cronache Picene. L'ha distolta dall'idea di arrivare dal confine alla capitale Ucraina con l'auto: «Le strade sono distrutte»
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Maia Antonenko con la mamma Valentina Gherasimciuk, durante il viaggio di ritorno in Italia, quando si sono fermate per mezz’ora a Balaton (Ungheria)

 

di Maria Nerina Galiè

 

Una staffetta di solidarietà quella che si è attivata per riportare ad Ascoli, da Kiev, la signora Valentina Gherasimciuk, 86 anni. Ma nulla avrebbe fermato la figlia Maia Antonenko e Giuseppe Forti, ascolano, suo compagno da 6 anni e con cui vive all’ombra delle cento torri, dal metterla in salvo dalla distruzione e dalla guerra. Missione riuscita, tra varie peripezie, risolte  grazie al prezioso aiuto di due sacerdoti ucraini e di Gunther Pariboni, reporter collaboratore di Cronache Picene e che ora si trova proprio sui luoghi del conflitto.

Nella serata del 6 marzo, Maia, Giuseppe e la signora Valentina hanno varcato i confini italiani. Tra un paio di giorni saranno ad Ascoli.

 

Giuseppe Forti con la signora Valentina

Maia e Giuseppe si sono conosciuti a Mantova, dove lei aveva vissuto dopo il matrimonio con un italiano e dal quale si era separata, nel 2007. Per rifarsi una vita era torna nella sua città natale, a Kiev. «Non avevo molte possibilità in Italia – ricorda la donna – se non fare la badante, ma io sono ingegnere ed ho trovato lavoro in Ucraina, in un’azienda italiana.

Mia figlia era tornata a Mantova nel 2014, all’epoca della crisi che stava riguardando il mio Paese, per stare con il padre, con il quale ho mantenuto ottimi rapporti. Io, anche per motivi di lavoro, facevo la spola tra l’Italia e Kiev. Poi il mio ex marito è deceduto. E proprio a Mantova, per caso, ho conosciuto Giuseppe ed abbiamo scelto di essere compagni di vita, trasferendomi con lui ad Ascoli». Uno spaccato di vita per spiegare come Maya sia diventata ascolana d’adozione. Ed è qui che tornerà , insieme con la mamma e Giuseppe, tra un paio di giorni.

 

Già una settimana prima del lancio delle prime bombe sulla capitale ucraina, Maya – che collabora anche con la sezione Avis di Ascoli – chiedeva alla mamma di imbarcarsi su un aereo per venire in Italia. Ma lei, ex ingegnere di frigoriferi industriali e automazione, non voleva lasciare la sua terra, la sua casa. Poi, in fondo, come tanti non pensava si sarebbe mai arrivati a tanto.

Poi è accaduto. E dalla mattina del 24 febbraio, per Maya, un solo pensiero: riabbracciare la mamma.

«E’ stato Giuseppe a dirmi, di punto in bianco, partiamo, andiamo a prendere tua madre», racconta Maya che con un sospiro carico di amore e gratitudine afferma: «Non vuole sentirsi dire grazie. Ha detto di averlo fatto per mia madre che aveva avuto modo di conoscere. Ma… può dire ciò che vuole: lui è il mio eroe».

 

Giuseppe, giovedì 3 marzo, è partito da Ascoli dopo il lavoro, è andato a Mantova dove si trovava Maia in quel momento e si sono subito avviati in direzione Kiev, determinati a  tornare in tre.

Dopo quasi 24 ore di viaggio, dormendo solo due ore in auto, e attraversando la Slovenia e l’Ungheria, sono arrivati  a 20 chilometri da Cop, nella regione di Užhorod, in Ucraina al confine tra Slovacchia e l’Ungheria.

 

Pariboni in un rifugio antiaereo a Kiev

«Conosco bene Gunther Pariboni – continua Maia – e sapevo che era da quelle parti. Era stato lui a dirmelo prima di partire, per chiedermi se avevo bisogno di qualcosa. Per fortuna l’ho chiamato prima di varcare il confine ucraino.

 

Gli ho chiesto se potevo raggiungere Kiev in macchina. Mi da detto: ” assolutamente no, le strade sono distrutte ed è pericolosissimo”. E mi ha dato il nome di un sacerdote ucraino che aiuta la popolazione a raggiungere Leopoli, al confine con la Polonia.  Ci siamo sentiti con il sacerdote e mi ha dato piena disponibilità ad accogliere mia madre, appena sarebbe arrivata con un treno da Kiev a Leopoli.

Nel frattempo – sono sempre le parole di Maia – arrivavano notizie sul fatto che, per varcare il confine con la Polonia, si dovevano fare tre giorni di fila. Ho pensato che per mia madre sarebbe stato insopportabile. Invece, se fosse arrivata a Cop, sarebbe stato tutto più facile per lei.

Ho richiamato il religioso e mi ha messo in contatto con un suo collega, il quale faceva accoglienza proprio a Cop, dove inoltre arrivava pure un treno diretto da Kiev».

 

La frontiera di Čop

Ma non si sono risolti tutti i problemi: come far arrivare alla stazione ferroviaria e far prendere il treno ad una donna anziana, da sola? «I taxi, che riempivano le strade prima della guerra, – spiega Maia – sono tutti fermi a causa della mancanza di carburante. Ed inoltre mamma aveva paura di muoversi da casa. Mi diceva: “Domani, non oggi. Ho visto i razzi che illuminavano a giorno la notte”. Come biasimarla? Ma temevo che le bombe potessero distruggere anche la ferrovia, da un momento all’altro. Ed allora sì, che sarebbero stati problemi grossi. 

 

Determinante un suo ex collega ma più giovane: l’ha accompagnata alla stazione. Durante il viaggio siamo rimaste sempre collegate via whatsapp. E, seppure con 6 ore di ritardo, finalmente è arrivata, alle 4 di notte a Cop,  dove il sacerdote l’ha presa e portata da lui. L’ha fatta riposare e tenuta lì fino al mio arrivo, quando finalmente ci siamo riabbracciate».

Sei ore di coda per varcare il confine in uscita dall’Ucraina«nulla in confronto a tre giorni», sottolinea Maya – e di nuovo un lungo viaggio, fino a Mantova, poi ad Ascoli.

Ma ormai il peggio è passato. Ora Giuseppe, Maia e mamma Valentina sono insieme ed al sicuro, in terra di pace.

 

 

 


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