di Maria Nerina Galiè
(fotoservizio di Gunther Pariboni)
«Il rumore assomiglia a quello di un porta sbattuta con violenza, ma dopo che l’hai sentito una volta, lo riconosci subito: lo scoppio di un missile è la buonanotte che ci offre Odessa, in Ucraina». Così il 43enne reporter ascolano d’adozione, Gunther Pariboni, collaboratore di Cronache Picene, racconta cosa accade intorno a lui e alla troupe con cui sta affrontando questa esperienza, inviato dalla Xentex.
E’ lì da giorni, prima al confine per poi avvicinarsi sempre di più ai luoghi “caldi” della guerra.
«Seppure le fasi sono diventate più “bollenti” – afferma Pariboni – nessuno ci ha obbligato a venire qui. Ma per dovere, verso una professione che ci impone di testimoniare la realtà, abbiamo passato la frontiera con la Moldavia per entrare in Ucraina». E lo hanno fatto a piedi, per 4 chilometri, bauli e attrezzature in spalla, prima di incontrare un tassista di Odessa.
Pariboni poi condivide con noi alcuni momenti: «Abbiamo incontrato un militare ucraino dall’aspetto poco rassicurante. Si è avvicinato ai bambini tenendo nascosto qualcosa dietro alla schiena. Erano caramelle che regalava loro».
E ci parla delle persone, di un popolo in ginocchio ma che esprime grande dignità: «La gente ha un grande senso di patria. Il nostro fixer è un ingegnere che parla italiano e non vuole neanche che gli offriamo il pranzo perché, continua a dire, lavora gratis per noi, per la madre Ucraina».
Il freddo, un nemico implacabile: a -7 gradi è difficile anche trovare acqua che non sia congelata.
«Sulle spiagge di Odessa – continua il reporter – abbiamo visto gente sfidare il freddo e la stanchezza per preparare i sacchi di sabbia. Ma quando abbiamo acceso la telecamera, le persone subito sono diventate sorridenti e forti. Ci hanno offerto il tè, fino a che uno di loro ha intonato “O sole mio”, che sembra sia stata scritta proprio in quella città. Con la pala in mano, a cantare, era il baritono dell’opera di Odessa». Il video di Pariboni è stato inviato al Tg1, per cui la Xentex realizza servizi.
Delle foto della città, colpisce la barriera colorata che sembra fatta di pezzi di tessuto. Pariboni: «Sono coperture per nascondere i sacchi di sabbia, posti per tentare di fermare l’avanzata dei carri russi. Si tratta effettivamente pezzi di stoffa, ricavati strappando abiti. Questo è un lavoro che tocca principalmente a donne e bambini».
Non sono mancati momenti di paura: «A sera, stavamo chiudendo il pezzo quando sentiamo una voce all’altoparlante che ci invitava a lasciare subito la struttura dove stavamo montando i servizi. In meno di 2 minuti abbiamo preso l’attrezzatura e siamo corsi al bunker. Paura? Certo che ce l’abbiamo. Ma è la paura che ti permette di essere vigile e non sottovalutare un rischio.
Non è facile dover scegliere se scappare, e metterci al sicuro, o fare un “ottimo lavoro”».
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