foto e testo di Walter Luzi
I giovani della delegazione Fai di Ascoli hanno rimesso in funzione per l’occasione anche la vecchia sirena dello stabilimento. La stessa che ha scandito le giornate lavorative di tre generazioni dei suoi operai per quasi un secolo. Riaprono, eccezionalmente, per le tradizionali due giornate di primavera del Fai, i cancelli dello storico stabilimento Elettrocarbonium. Erano chiusi dal 2007, dopo lo spegnimento dell’ultimo forno e la definitiva cessazione della produzione di elettrodi grafitati industriali. Un’altra eccellenza ascolana. La metà del fabbisogno mondiale era uscita, per un ventennio almeno, da quei cancelli di via Piemonte. Prodotti di altissima qualità, frutto di elevate professionalità, e durissime fatiche dei suoi tanti operai. Quasi un migliaio nel periodo di massimo fulgore. I meglio pagati della provincia intera, i più orgogliosi di appartenere a quell’azienda. Amicizie vere le loro, nate e cementate dal lavoro quotidiano, fianco a fianco, in condizioni non certo facili. Fra montagne di pece, antrace e carbone. Con la sua polvere che ti annerisce la tuta e ti entra nella pelle. Il rumore assordante e il calore dei forni di cottura degli elettrodi che accompagnano, riempiono, sovrastano, ogni minuto del tuo turno di lavoro. Ora in quei grandi capannoni dismessi c’è solo silenzio. Spogliati di tutto, ma non della loro gloriosa storia. Luccicano gli occhi dei vecchi operai nel guardare il grande vuoto di oggi fra quelle mura nere.
L’emozione è palpabile. Il nodo in gola inevitabile. Qui dentro, loro, o i loro padri, hanno speso le energie gli anni migliori. Senza risparmiarsi. Con forza, coraggio e unità di intenti. Qui dentro hanno provato, tutti insieme, la soddisfazione impagabile del saper fare bene. La gratificazione, che non è solo quella economica per il ricco salario che ti sostenta, ma, soprattutto morale, per il duro lavoro che ti nobilita. Suona ancora la sirena, che li riporta, per un magico, malinconico e commuovente istante, indietro nel tempo. Ma oggi quella stessa sirena annuncia solo la partenza di un altro gruppo di visitatori guidato dai giovani ciceroni del Fai, che si sono preparati al meglio a questo appuntamento. Per farci questa sorpresa, questo regalo. Tutta questa gente dentro l’Elettrocarbonium non se l’aspettavano neppure loro.
Una affluenza massiccia che appare un po’ come l’omaggio postumo della città ad una realtà economica, sociale, sportiva, ad una eccellenza ascolana criminalizzata oltremodo, e lasciata morire senza scrupoli. La tardiva vergogna di aver sputato nel piatto dove si è mangiato per un secolo. Ma a metà degli anni Ottanta nessuno è disposto a tollerare più niente. Anche se le emissioni nell’atmosfera ora sono davvero minime, perché l’azienda non è stata mai inadempiente in questo campo. Anche se, dopo la crescita vertiginosa degli anni Settanta, il settore non conosce certo crisi. Ma quella fabbrica nel cuore della città non la sopporta proprio più nessuno adesso. La sua storia non conta più nulla. Sono gli anni del delirio di onnipotenza craxiano, dell’edonismo reganiano, della Milano da bere, della ricerca affannosa del bello e dell’effimero, dell’individualismo più egoista. L’avvento funesto della televisione commerciale alimenta il consumismo, dipinge il nuovo mondo virtuale, perfetto e finto, nei suoi spot pubblicitari che creano moderni e falsi bisogni. Che non prevedono quelle brutte ciminiere nere.
Partiti politici, istituzioni, amministrazioni pubbliche, sindacati, giornali, speculatori e cittadinanza, o meglio sarebbe dire la parte più intransigente e rumorosa di essa, si ritrovano tutti uniti nel cavalcare le irrefrenabili pulsioni ecologiste di provincia. Che partoriscono psicosi, sulla base di dati dei livelli di inquinamento, e delle conseguenti incidenze di gravi patologie, sempre allarmanti, e sempre contrastanti. Mai trasparenti, reali, autorevoli. Troppo spesso farlocchi. L’azienda dal canto suo, sola contro tutti, comincia a farsi due conti dopo l’uscita dell’ascolano dai benefici economici della Cassa per il Mezzogiorno. Anche la disponibilità di grossi quantitativi di energia a basso costo, che, grazie alla straordinaria e visionaria intraprendenza dell’ingegner Giovanni Tofani, ne aveva favorito l’insediamento settant’anni prima, inizia a sospingerla ora verso nuove frontiere più redditizie e e meno ostili. Si chiuderà dunque. Prima o poi. Il suo destino è segnato. Il Comune, solerte come non mai nel presunto pubblico interesse, ha già presentato, nel 1980, lo sfratto con un preavviso di venticinque anni.
La lenta agonia senza speranza dello stabilimento, in un clima di intolleranza esterna, e disorientamento interno delle maestranze, crescenti durerà poco di più. La scelta è quella drammatica di sempre fra lavoro salute. In questo deprimente clima di smobilitazione paga per primo l’uomo simbolo della grande Elettrocarbonium che fu. Giuseppe Mascetti. Assunto come ragioniere era arrivato, grazie alle sue straordinarie capacità, a diventarne il direttore, oltre che lo storico presidente dell’omonimo, glorioso, gruppo sportivo. La sua integrità morale, la sua illuminata visione del mondo, il suo costante, grandioso e disinteressato impegno sempre prestato al servizio del Bene Comune, cozzano contro le nuove, superiori e ineludibili direttive aziendali.
Pippo Mascetti viene estromesso nel 1988 senza un minimo di rispetto né per la persona e né per il suo passato. La sua creatura, il Gruppo Sportivo Elettrocarbonium, la scuola di sport e di vita più grande d’Italia, smantellata. Aveva permesso a due generazioni di giovani ascolani di poter fare sport, gratis, e nell’ambiente più sano e formativo che si potesse desiderare. Un’altra voce di passività per il territorio, sociale stavolta, dopo quella, pesantissima, economica, sottovalutata, snobbata, quando, a furor di popolo, l’Elettrocarbonium viene costretta a morire. Lì, dove era nata. Circondata da terreni coltivati, e non dalle troppe case di una città che, abbracciandola, ha smesso di amarla.
Elettrocarbonium, la commozione del figlio di un ex dipendente (Il video)
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