di Gabriele Vecchioni
(dove non specificato le foto sono dell’autore del testo)
Gran parte del fascino della città di Ascoli Piceno è dovuto, oltre che alla bellezza intrinseca delle costruzioni e dell’impianto urbanistico del centro storico, al fatto che le piazze e i palazzi cittadini sono stati edificati, nel corso dei secoli, utilizzando quasi esclusivamente la pietra locale, il travertino. Più volte è stata ribadita questa sua caratteristica, riportando frasi e commenti di scrittori e cronisti che la esaltavano; una per tutte, quella di Riccardo Gabrielli, direttore della Pinacoteca civica: riferendosi alla città picena, scrisse (1948) che «… il tempo l’ha patinata di quel color bruno-fulvo che tanta austera bellezza conferisce alle nostre antiche e superbe opere monumentali».
Un riassunto delle espressioni si trova nel sito istituzionale del comune piceno, dove si legge: «Il centro storico di Ascoli deve il suo aspetto così armonico e compatto al travertino che, fin dalle origini, è stato il materiale principale nella costruzione degli edifici di ogni genere. Dalle semplici abitazioni ai palazzi del potere e a quelli signorili, alle chiese, alle pavimentazioni delle piazze, questa pietra per duemila anni e senza interruzione, pur con lo scorrere della storia e degli stili, ha costituito il tessuto urbano della città, rendendola così unica e particolare».
La monumentalità austera ma elegante degli edifici cittadini del centro storico, la splendida morfologia dei portali, l’atmosfera particolare delle sue piazze devono, infatti, gran parte del loro fascino alle tonalità grigio-chiare della pietra. Il travertino veniva lavorato con abilità dai magistri de pietra, maestri lapicidi locali, citati già nei primi Statuti cittadini. Il geologo Alessandro Martelli, in una monografia sul travertino di Ascoli Piceno (1908) scrisse che «II travertino ascolano rappresenta, nella regione picena, il principe dei materiali da costruzione, e a giustificarne l’alto pregio nell’edilizia, più ancora dei ricchi edifici moderni in travertino dei quali Ascoli si abbella, stanno le mura robuste e le torri, i ponti, i templi e i monumenti tutti dell’epoca romana e medievale, mirabilmente conservati nella capitale del Piceno attraverso il volger dei secoli».
In queste brevi note, alla stesura delle quali ha collaborato l’amico Narciso Galiè, si vuole approfondire l’aspetto geografico (e naturalistico) dell’assunto, tralasciando quello storico-urbanistico, ampiamente trattato in diverse sedi da studiosi ed esperti.
Il nome e le caratteristiche. Il travertino deve il nome ai Romani, che avevano denominato lapis tiburtinus (la “pietra di Tivoli”) la roccia con la quale realizzarono, fin dal sec. I AC, molte loro costruzioni (tra gli edifici monumentali innalzati con questa pietra, il più noto è sicuramente il Colosseo), i muri di sostegno e il basolato della Via Salaria. Oltre che per la peculiare bellezza della pietra, essa fu ampiamente utilizzata per la sua lavorabilità (in particolare, la segabilità) e per la resistenza agli agenti atmosferici. L’estrazione, in apposite cave (almeno fino a qualche decennio fa) è stata incentivata per l’uso come materiale di rivestimento e per la costruzione di barriere frangiflutto lungo la costa adriatica.
La geologia. Il travertino è una roccia sedimentaria [di deposito] calcarea di origine chimica, formatasi in tempi geologici recenti in un ambiente di tipo continentale (tecnicamente, si tratta di un sistema deposizionale riferito alle aree emerse), per la precipitazione di carbonati di calcio in acque calde sovrassature, ricche di carbonato di calcio.
Apriamo una breve parentesi per spiegare il significato dei termini. Una soluzione sovrassatura è quella in cui il solvente (in questo caso l’acqua) ha il soluto (qui, il carbonato di calcio) in una concentrazione maggiore rispetto a quella di equilibrio termodinamico. Sono soluzioni metastabili (sono, cioè, in pseudoequilibrio) e la precipitazione del soluto, dal momento in cui inizia, è molto rapida.
In particolare, il travertino si forma in presenza di acque agitate (come quelle di cascate e sorgenti) e di vegetazione, in ambienti tali da favorire la sottrazione dell’anidride carbonica, con conseguente precipitazione di carbonato di calcio insolubile. La pietra si presenta spesso vacuolare, per l’asportazione dei residui putrefatti di vegetali inclusi nella roccia; il colore va dal bianco al bruno, come nel caso del pregiato travertino oniciato di Rosara. A questo proposito, i depositi travertinosi di Rosara si sono originati dalle acque fuoriuscite dalle risorgive del versante occidentale della Montagna dei Fiori (linea di faglia); hanno un andamento caratteristico a cupole, fino alla sede stradale della Via Salaria («… da una grande frattura (faglia) dalla quale emersero le calde acque carbonatiche che si depositarono nei travertini dei San Marco e di Rosara», G. Mancini, 1997).
I luoghi del travertino. In tutta la regione Marche il travertino si trova solo in poche zone: le Gole del Furlo, nel Fabrianese, e quelle della Rossa, nello Jesino; nell’Ascolano, le aree interessate sono tutte all’interno del bacino imbrifero del fiume Tronto. La zona più nota è quella di Acquasanta Terme; la seconda area, situata nella valle del Castellano, comprende le località di Castel Trosino e di Rosara, il Colle San Marco (col Monte Giammatura e il Monte Vena Rossa) e San Vito di Valle Castellana. I depositi di travertino compaiono spesso sotto forma di piastroni cuneiformi con pareti a picco, isolati o a gradoni. In aree limitrofe, un affioramento di travertino è quello della collina di Civitella del Tronto, sfruttata per la costruzione dell’imponente Fortezza borbonica.
Per quanto riguarda l’origine dei travertini “ascolani”, «Le acque ricche di carbonati che fuoriuscivano dal margine settentrionale del rilievo della Montagna dei Fiori scorrevano sui materiali alluvionali depositati dal fiume Tronto, che aveva l’alveo ubicato all’altezza del Monte Vena Rossa. I depositi di travertino poggiano proprio sui conglomerati poligenici dei terrazzi fluviali. In particolare, i travertini del Colle San Marco sono posizionati in bancate situate a quote vieppiù inferiori, legate all’abbassamento, nel tempo, dell’alveo del Tronto e della migrazione del fiume verso nord (G. Mancini, 1997)».
Nella nostra zona, i massi di travertino costituiscono parte integrante e significativa del paesaggio. Basti pensare all’ampio tavolato del Pianoro di Colle San Marco che domina la città; al “masso” isolato di Castel Trosino che chiude la stretta depressione del Castellano, tipica valle torrentizia di erosione con profilo a V, limitata a settentrione da una scarpata poligenica; alla rupe di Rosara e, nelle immediate vicinanze (in territorio abruzzese), alle rocce sulle quali sorge la già citata Fortezza di Civitella del Tronto.
In realtà, «Un’immensa massa travertinosa – che poggia su strati di calcari arenacei – costeggia tutta la fascia meridionale dell’alta valle del Tronto, a partire da Acquasanta, fino ad Ascoli, inglobando l’imponente Colle San Marco. Sono veri e propri giacimenti di un travertino dalla colorazione che varia dal bianco niveo al color giallo-cenere… (F. Quinterio, Ianua picena, 2004)».
L’area travertinifera più vicina alla città è quella del Colle San Marco, autentica muraglia che sovrasta la città da un’altitudine di circa 600-700 m. Il rilievo è costituito da calcari marnosi del Mesozoico che coprono una formazione di travertino di colore grigio e di notevole spessore; il deposito di San Marco ha una forma a cuneo, è largo più di 1 km ed ha un’altezza di circa 100 metri, di cui 60 metri in parete verticale esterna.
Il territorio di Castel Trosino e di alcune aree limitrofe presenta giacimenti lapidei usati, in passato, come cave di estrazione. Come esposto in precedenza, il travertino è un materiale facilmente lavorabile, spesso utilizzato nell’industria edile; le caratteristiche di questa roccia calcarea e la presenza di estesi depositi hanno favorito lo sviluppo dell’attività estrattiva, che occupava manodopera locale (i cavatori – un mestiere diffuso tra gli abitanti della frazione di Castel Trosino – che in quel duro lavoro trovavano una importante fonte di reddito).
I siti di estrazione di Colle San Marco che, scoprendo il colore della roccia, mettevano a nudo l’anima bianca del territorio, si raggiungevano con la cosiddetta “strada dei cavatori”. Lungo la sterrata si incontrano le cave storiche che, nel corso dei secoli, hanno fornito le pietre con le quali sono stati costruiti i palazzi, le chiese, le piazze di Ascoli Piceno, la “città di travertino”; in tempi a noi più vicini, il travertino di Colle San Marco è servito per la costruzione delle scogliere frangiflutto del litorale adriatico sambenedettese. L’area delle cave di travertino, ormai dismesse, è piuttosto vasta e il profilo del rilievo risulta modificato dalle opere di sbancamento e dalle strade di servizio. Una di queste è la malridotta strada sterrata che si snoda in un rado querceto e, con ripidi tornanti, arriva fino al Pianoro di Colle San Marco, straordinario balcone panoramico sui Monti della Laga e i Sibillini. Lungo il percorso, il segno dell’uomo è evidente, sotto forma di recinzioni, costruzioni e aree si manovra.
Una precisazione. Nell’articolo si fa solo una breve menzione di un’area travertinifera non-lontana dalla città, quella di Acquasanta Terme, geologicamente importante e dove le cave di travertino hanno costituito una fonte importante per l’economia locale. Le cave di Aquasanta sono ancora visibili, come ferite aperte sul territorio, e sono parte integrante del paesaggio (basti pensare a Castel di Luco, eretto su una cupola di travertino). Al travertino di Acquasanta (e alle acque sulfuree delle sue Terme, conosciute già in epoca romana) sono stati dedicati numerosi lavori, facilmente reperibili in rete, ai quali si rimanda.
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