di Gabriele Vecchioni
(con la collaborazione di Narciso Galiè)
Qualche tempo fa abbiamo avuto modo di occuparci del Castellano (leggi qui l’articolo), il principale affluente dei destra (orografica) del Tronto, il fiume di Ascoli: la città picena è nata su un’area pianeggiante creata proprio dal “lavoro” dei due fiumi suddetti.
Il Castellano è un fiume “storico”: è stato, nel corso dei secoli, confine naturale tra lo Stato Pontificio e il Regno borbonico, le sue acque hanno mosso le macchine della Cartiera Pontificia e sono state usate come mezzo di trasporto per il legname (con la fluitazione. In questo pezzo andremo ad analizzare l’utilizzazione delle sue acque come fonte di produzione di energia elettrica, grazie alle opere di sbarramento costruite lungo il suo percorso per la creazione di bacini idrici utilizzati a tale scopo.
I Monti della Laga e il Castellano. Il Castellano nasce dai Monti della Laga: è opportuno, quindi, spendere qualche frase per questa magnifica area. La Laga è compresa all’interno del perimetro del Parco Nazionale Gran Sasso-Laga, che riunisce due zone molto diverse tra loro: i calcari del Gran Sasso d’Italia – la cima più alta dell’intera catena appenninica – e le arenarie della Laga. In realtà, c’è una terza zona compresa all’interno del perimetro dell’area protetta: i Monti Gemelli, dei quali ci siamo occupati più volte.
Il territorio del Parco Nazionale si sviluppa dal crinale appenninico principale fino all’area collinare e presenta una grande varietà di esposizioni e una morfologia tormentata: tali caratteristiche hanno originato diversi ambienti, dalle fredde e denudate “terre alte” alle foreste e alle aree alto-collinari, che ospitano gli insediamenti umani più significativi. La combinazione “ambiente naturale-ambiente antropizzato” ha generato il mosaico di paesaggi del Parco, uno dei più interessanti tra i 25 parchi italiani.
La caratteristica principale dei Monti della Laga è l’abbondanza d’acqua: l’oronimo deriva proprio dal latino laca, plurale del neutro lacum, inteso come grande quantità di acqua. La ricchezza d’acqua ha contribuito allo sviluppo dei boschi che coprono gran parte del territorio: le estese formazioni arboree sono una delle peculiarità della Laga.
A differenza di gran parte dei gruppi montuosi dell’Appennino Centrale, costituiti da rocce calcaree, sulla Laga è la roccia arenaria a dominare: si tratta di una roccia non permeabile che provoca lo scorrimento superficiale dell’acqua, con la formazione di numerosi, spettacolari salti d’acqua e di un collettore principale, il Castellano.
Gli impianti nel bacino idrografico del Tronto (che comprende anche il Castellano). All’interno del bacino del Tronto ci sono il Lago di Scandarello, vicino ad Amatrice (Rieti); un piccolo bacino sul Fosso di Capodacqua; un altro poco prima di Trisungo, nell’Arquatano; quello di Venamartello ad Acquasanta Terme e l’invaso di Capodimonte, a Mozzano. Il Castellano ha la grande diga del Lago di Talvacchia e quella di Casette di Castel Trosino.
La diga di Talvacchia è una delle più grandi delle Marche anche se, amministrativamente, il bacino è equamente diviso tra le regioni Marche e Abruzzo. La struttura più vicina alla città è, però, quella di Casette, anch’essa facente parte di un sistema di impianti idroelettrici costruiti nelle valli del Tronto e del Castellano.
Questo breve lavoro si occuperà dei principali laghi artificiali – opere legate alla produzione di energia elettrica – creati lungo il corso del Castellano. In realtà, lungo l’asta fluviale, oltre ai due sbarramenti già citati (che saranno esaminati nel prosieguo dell’articolo), ci sono diverse altre opere di ingegneria idraulica: sono le soglie idrauliche (le cosiddette “cascate”) costruite durante il periodo fascista per la regimazione della portata idrica: costituiscono l’insieme degli interventi tecnici messi in atto per la regolazione del deflusso della massa idrica del fiume senza comprometterne la portata. Di queste opere ci siamo già occupati in un altro lavoro, dove era scritto che «Negli anni ’30 furono ultimate le opere di regimazione che hanno causato, tra l’altro, una sensibile uniformità morfologica dell’alveo del fiume: esso si presenta come una successione di ampie buche, con acque profonde e ben ossigenate in corrispondenza dei salti, e di veloci ghiareti tra una soglia idraulica e l’altra».
Prima di analizzare la realtà attuale, una curiosità. Anni fa, nel corso di un’escursione lungo le rive del torrente, scostando i rami di un albero, apparve, murata sulla spalla destra del salto della cascata, un segno del passato prossimo: una lapide commemorativa risalente al 1934 (l’incisione sulla pietra recava, infatti, la scritta A. XII° E. F., 12° anno dell’era fascista). Del reperto, asportato da ignoti nostalgici, rimane testimonianza fotografica.
Ma torniamo all’argomento del pezzo, quello delle opere idrauliche di sbarramento lungo il corso del Castellano che, come già visto più volte nel corso degli articoli, è l’affluente principale del Tronto.
La diga di Talvacchia. Il lago artificiale di Talvacchia è nato negli anni ’60 del Novecento (il secolo scorso!) grazie all’omonima diga (un’imponente opera in cemento armato, con un’altezza massima di poco superiore a 77 m) che sbarra il corso del Castellano e prende il nome del borgo che lo domina dal versante marchigiano della valle. Talvacchia è una frazione di Ascoli Piceno a circa 700 m di altitudine, un grumo di case appollaiate sulla cresta che divide le valli del Tronto e del Castellano. Il nome stesso, retaggio del passaggio dei Longobardi (secc. VI-VII) e derivato dal germanico Thal (valle) e Wache (guardia) spiega il motivo della sua posizione panoramica sulla valle, ormai invasa dall’acqua.
La diga fu costruita nel 1955, su progetto del prof. Filippo Arredi, secondo i dettàmi del razionalismo architettonico. Le acque di questo serbatoio idrico sono trasportate sull’altro versante montano e vanno ad alimentare la centrale di Capodiponte, in località Palmaretta, a pochi chilometri dalla città picena.
Per gli amanti delle statistiche, il bacino è lungo 3 chilometri e mezzo, ha una superficie di mezzo kmq e una profondità massima di circa 70 m. Il volume d’acqua contenuto dal bacino è pari a svariati miliardi (1,355 ×1010) di litri.
Il lago è un lago di confine, situato a cavaliere delle regioni Marche e Abruzzo (la linea di confine passa proprio in mezzo allo specchio d’acqua). Il bacino idrico, nei pressi di Cesano, si allunga nella valle del Castellano tra i ripidi pendii dei Monti della Laga, in un contesto paesaggistico incontaminato; a primavera, il lago è un’apprezzata mèta per gli appassionati di pesca sportiva.
La qualità ambientale e paesaggistica di questo lago (siamo vicini al Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga) e l’interesse costruttivo dell’alta diga muraria ad arco-gravità possono costituire una mèta interessante.
La diga di Casette. Ai piedi della rupe strapiombante sulla quale sorge il borgo di Castel Trosino, una strada sterrata costeggia il Lago di Casette, un invaso artificiale creato negli anni Venti (1925-27) da una diga per la produzione di energia elettrica. La centrale per la produzione di energia elettrica era prevista a Porta Cartara ma fu costruita, nel 1927 e “a forma di castello”, più a monte; nel giugno 1944, la centrale fu distrutta dalle truppe tedesche in ritirata e ricostruita nel 1947.
L’impianto sul Castellano è costituito dallo sbarramento e dalle opere di presa necessarie per formare il bacino che raccoglie le acque del fiume. Le rive dell’invaso sono in via di ricoprimento da parte di essenze arboree per il rimboschimento spontaneo, tipico delle aree lasciate libere dalle coltivazioni: si può prevedere, quindi, una sua rapida (ri)naturalizzazione.
Quello di Casette è un bacino alimentato da diverse sorgenti presenti all’interno dell’invaso, ha una capacità di 100 000 mc e crea un salto nominale di circa 120 m con il punto di produzione di Porta Romana, alla periferia ovest della città di Ascoli Piceno. L’Enel riferisce che, attualmente, è rimasto un solo gruppo alimentato dalle acque del Castellano (400 l/sec), per la diminuzione del volume di acqua disponibile, a causa della costruzione di sbarramenti lungo il corso. La centrale di Ascoli Piceno è alimentata da quella di Capodiponte e dal torrente Fluvione; Capodiponte è alimentata dalla centrale di Venamartello, sul Tronto, e da Talvacchia, sul Castellano. Lo scarico di Casette di Castel Trosino arriva ad Ascoli Piceno.
Note conclusive. Il lago creatosi a Casette ha ricoperto parzialmente le risorgive di acqua sulfurea (le cosiddette “sorgenti salmacine”) conosciute fin dall’antichità, citate in opere di Plinio il Vecchio. Le polle (conosciute dai locali come l’ “acqua puzza” a motivo del caratteristico odore pungente, dànno al bacino formato dalle acque del Castellano il caratteristico colore turchese.
Dopo Castel Trosino, il Castellano arriva ad Ascoli con una portata limitata e con l’alveo modificato dai già citati artefatti (cascate, muri, scivoli e briglie), realizzati a partire dagli anni ‘30 del secolo scorso, per la regimazione delle acque; è difficile credere che per secoli (dal 1400 al 1920 circa) esso ha costituito un’importante fonte di energia per i mulini e per gli opifici situati nel complesso della Cartiera papale (articolo precedente, leggilo qui) e che le sue acque venivano utilizzate per la fluitazione, cioè per il trasporto del legname (articolo precedente, leggilo qui).
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