di Luca Capponi
“Ci vai domenica alla partita?”.
“Non so, vorrei, ma devo vedere se ci sono ancora i biglietti…”
Eravamo ragazzi, ci ritroviamo di colpo uomini. Con uno scambio di frasi che porta direttamente indietro, ai tempi andati. E invece eccoci, di nuovo. Quel sapore di stadio pieno che sembrava perso. Il “Del Duca” che ribolle. In curva o ai distinti col panino, ore prima dell’inizio della partita. Milan, Roma, Juventus, Inter. Baggio, Totti, Del Piero, Kakà, Shevchenko. Maradona, Vialli, Mancini, Matthäus, Baresi, Gullit e Van Basten. Liste di nomi per forza di cose incomplete, ma che rendono l’idea. E danno ugualmente i brividi.
Quando chi non trovava il fantomatico lasciapassare per il match se ne andava sulla “collinetta”, in sella al motorino, a vedere i giocatori piccoli piccoli, restando però parte dell’evento. Quando si provava a scorgere qualcosa dai pertugi, assiepati fuori, in attesa che si aprissero le porte, magari negli ultimi minuti di partita. Quando i risultati degli altri match si aspettavano dalla voce dello speaker, all’intervallo, oppure ci si incollava alla radiolina di qualcuno per carpire sprazzi di “Tutto il calcio minuto per minuto“. Quando si giocava in contemporanea. Quando c’erano Rozzi, Campanini e Mazzone. Quando i numeri dei calciatori andavano dall’uno al dieci, in panchina si arrivava massimo al sedici e il numero di stranieri in squadra era massimo di tre. Quando c’erano il libero e il centromediano metodista. Quando verso lo stadio si muoveva un fiume di gente, e a fine partita ci si fermava per vedere i giocatori che uscivano, coi più fortunati che riuscivano a strappare una foto, un autografo finanche una maglia promessa nei giorni addietro.
Sì, e nessuno ci accusi di dietrologia, Ascoli-Benevento sta già restituendo un pizzico di nostalgia. La sfida per quei playoff che mancavano da 17 anni è importante, sì. Ma i biglietti evaporati ieri nel giro di qualche ora, con tanto di file ben prima dell’apertura dei punti autorizzati alla vendita, e il successivo conseguente ovvio sold out (10.417 paganti), ci riconsegnano un pezzo di vita. Ci fanno fare un salto indietro nel tempo, forse troppo, visto che all’epoca si toccavano anche le 40.000 presenze. Ma a cosa serve la parte buona del calcio se non a viaggiare, a restituire emozione, a riaprire le vecchie pagine che ognuno custodisce gelosamente dentro di sè? Magia. Che si aggiunge ad altra storia.
E non per quel sapore buono che sa di Serie A, che pure inebria, restituendo ricordi e meraviglie. Quanto soprattutto per quel clima che si respira. In città, nei discorsi di piazza, al bar. Sui social, che pure all’epoca non erano neanche nella mente di chi li ha inventati.
La prima promozione del 1974. Gli anni ’80. L’inizio dei ’90. Poi il buio della C. I Diabolici. La risalita. E quel biennio 2005-2007, l’ultimo assaggio di Serie A e di un calcio che stava inevitabilmente mutando ancor di più i connotati. Verso un peggio che non pare avere fine. Quello fu l’ultimo tassello. Il più vicino nel tempo. L’1-1 col Milan, nell’epica sfida del nubifragio. Il 3-2 alla Roma di Spalletti che non perdeva mai, Quagliarella e Budan che espugnano “Marassi” stordendo la Sampdoria e il decimo posto finale. Poi una retrocessione brutta, l’anno successivo, da penultimi in classifica.
Eravamo ragazzi, ci ritroviamo uomini. Col piccolo sogno sempre vivo di trovare un biglietto per trepidare ancora con la squadra del cuore. Nella gioia e nella disgrazia. Tornando bambini, a volte. E non è per niente poco.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati