di Walter Luzi
Dicono che il segno zodiacale dell’Acquario sia quello degli artisti. C’è del vero, perché è il 4 febbraio 1920, quando nella famiglia d’ Stagnò nasce a Poggio di Bretta (frazione di Ascoli), in contrada Castello, Vittorio De Santis. Diventerà il tenore lirico ascolano più famoso ed affermato di sempre, nonostante alcune sfortunate vicissitudini abbiano negativamente inciso sulla sua carriera artistica. Una vita, la sua, comunque, da raccontare.
La passione nasce con il gregoriano
Vittorio è il figlio primogenito di Emidia e Giovanni. Dopo di lui arriveranno anche Italo, nel 1924, Antonio nel 1925 e, infine, Angelo, nel 1935. Frequenta le prime scuole elementari nel paesino di campagna, quindi il trasferimento in città, nel centro di Ascoli, solo perché la mamma vuole permettere a tutti i propri figli di poter continuare gli studi in città. Quello di vedere istruiti i propri figli è infatti il grande sogno di mamma Emidia, che non esita a vendersi anche un terreno per poter prendere casa nel capoluogo. L’impresa le riuscirà a metà. Italo preferirà spendere infatti il suo tempo più negli allenamenti di lotta greco-romana, che curvo sui libri. Vittorio intanto ha già scoperto la sua vocazione per il canto. Inizia con quello Gregoriano. Una vera palestra per la voce del ragazzino, perché cantare a cappella, senza accompagnamento musicale, non è facile per nessuno. La nonna materna, Rosa Roncacè, quando ammazza i polli gli riserva sempre la cresta e i testicoli, indiziati da arcaiche credenze, di favorire l’intonazione. La sua prima ribalta è dunque, ovviamente, la chiesa. Dove maturerà quella fede che non lo abbandonerà mai. Dio prima di tutto. Il papà Giovanni, classe 1873, alto, grosso e baffuto, dopo il congedo dall’Arma dei Carabinieri, dove ha servito scortando anche i membri della Real Casa, arrotonda la magra pensione facendo da custode del Circolo Cittadino e da sacrestano alla parrocchia di San Martino, vicino al deposito dei pullman delle autolinee Petrucci. Cresce lì dentro il piccolo Vittorio, che, prima di andare a scuola, serve messa da chierichetto, legge i Salmi, canta e suona pure le campane partecipando a tutte le funzioni.
Lettore e cantore a San Francesco, sarebbe potuto diventare diacono e studierà, per qualche anno, anche in seminario. La mamma Emidia, infatti, non transige. Prima il diploma da maestro, poi farai quel che vuoi. Si diplomerà in effetti all’Istituto Magistrale “Trebbiani”, lo stesso che frequenterà poi anche sua figlia, ma neppure lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale lo farà desistere dalle sue aspirazioni canore.
L’amore nasce a Bari
Viene impiegato in Sanità. Destinazione l’ospedale militare di Bari. I tempi sono quelli che sono, ma lui si mette subito alla ricerca di un maestro di canto con il quale poter affinare le proprie doti. Questa maledetta guerra dovrà pur finire un giorno, in fondo. La fortuna gli sorride, facendogli trovare, in un colpo solo, l’insegnante e l’amore della vita. Lei si chiama Addolorata “Dora” Petruzzelli. E’ una delle giovani allieve con velleità canore della improvvisata scuola. Ha una bellissima voce anche lei infatti, ma è anche molto, molto carina. Il pizzetto rosso e gli occhi verdi di questo aitante giovanottone ascolano fanno presto breccia nel suo cuore. E’ la primavera del 1943. A novembre si sposano. I francesi lo chiamano coup de foudre. A novembre dell’anno successivo, sempre a Bari, sotto i bombardamenti, nasce la loro figlia primogenita, a cui danno il nome della nonna paterna. Emidia. Nel 1945 la famigliola torna in Ascoli. L‘accoglienza per Dora non è delle migliori. Queste nozze lampo di Vittorio hanno in effetti un po’ sconcertato i suoi genitori. Lui comincia subito ad insegnare in una scuola elementare di Cervara, dove si arriva ancora solo a dorso di mulo. Ma le sue aspirazioni canore sono più forti delle difficoltà economiche generali del momento.
Lo zio d’America
Gli viene in aiuto il classico zio d’America. Che, fortunatamente per lui, si materializza al momento giusto come nei film. Si chiama Luigi Roncacè, facoltoso imprenditore con i suoi pastifici in Pennsylvania, e che si distinguerà come nobile filantropo non solo nei confronti dei parenti italiani. Dei provvidenziali dollari americani beneficia infatti anche il cugino di Vittorio, Felice Luzi, aspirante cantante lirico anche lui. La bella voce fa parte del patrimonio genetico di famiglia. A Milano i due fanno, comprensibilmente, vita magra, ma per inseguire certi sogni si supera ogni sacrificio. Compresa la lontananza dagli affetti più cari. Che dura poco. Stringendo ulteriormente la cinghia papà Giovanni prende infatti casa per tutti a Stresa, sul lago Maggiore, a pochi minuti di treno da Milano. Anche durante la permanenza nel capoluogo lombardo Vittorio è cattolico fervente e praticante. La piccola Emidia si addormenta quasi sempre alle funzioni mariane del mese di maggio, ma le sue preghiere non restano inascoltate. Lo zio d’America crede nelle potenzialità di Vittorio e lo chiama negli States dove può diventare allievo del grande tenore sardo Bernardo De Muro. Con i primi concerti arrivano per Vittorio anche i primi guadagni e qualche contratto anche per Dora, che può vantare un vasto repertorio di musica napoletana e popolare italiana molto gradita nelle comunità di emigrati. Il progetto dello zio Luigi è quello di riunire presto tutta la famiglia oltre oceano, ma un grave lutto scombina tutti i piani.
Il primo dolore
Proprio alla vigilia del ricongiungimento Giovanni, il secondogenito di Vittorio e Dora, muore improvvisamente. Un dramma che segna tutti, e che Vittorio interpreta come un segnale divino. Lui deve far ritorno in Italia, dalla sua famiglia. E’ il 1950. Si ricomincia daccapo. Ma ora il nutrito curriculum di esperienze fatte in America ha il suo peso. A Milano, già capitale economica del Paese, il suo nome comincia a circolare, apprezzato, con insistenza negli ambienti della lirica. Deve stare lì quasi continuativamente. Dora, “Dorina” come la chiama lui, lo raggiunge tutte le volte che può. Emidia cresce praticamente con la nonna. Come una figlia, più che una nipote. Ma la carriera artistica di Vittorio è ormai decollata, grazie anche ad una agenzia di spettacolo che gli procura contratti continuativamente. Da baritono, educando in America la sua straordinaria voce, si è trasformato in tenore drammatico, quindi tagliato su misura per le opere di Verdi, Mascagni, Puccini e il Tannhäuser di Wagner. Il volano del suo grande successo arriva con i concerti Martini&Rossi, antesignani dei moderni main sponsor, dove duettano giovani artisti emergenti e mostri sacri della lirica. Uno di questi appuntamenti viene trasmesso anche dalla Rai. Il giovane De Santis ha una stella come partner. E’ il soprano Magda Oliviero, una celebrità dell’epoca.
Quella stagione al “San Carlo”
Quel concerto segna la svolta nella carriera di Vittorio. Perchè lo vedono in tutta Italia. Anche a Napoli, dove i responsabili del prestigioso teatro “San Carlo” restano favorevolmente impressionati da questo giovane tenore ascolano. Lo cercano. Hanno una ottima proposta per lui. E’ il 1954. Per l’apertura della stagione gli propongono un’opera non facile per qualsiasi bravo cantante, il Guglielmo Ratcliff di Pietro Mascagni. Un’opera di cui si ricorda solo la struggente melodia Il sogno. Un’opera che nessun grande interprete accetterà più di portare in scena dopo Vittorio De Santis. Nemmeno Mario Del Monaco, altra grande voce, molto simile alla sua, della lirica italiana, e rivale dell’ascolano in quegli anni. “Per voi – replica Vittorio, a cui non manca mai la battuta pronta – faccio anche la Marianna che va in campagna…”. Aprire la stagione lirica nel teatro partenopeo è, in effetti, un traguardo prestigioso. Di cui parlano tutti i giornali. Una ribalta importante a cui aspira ogni cantante. Un onore riservato ai migliori. Il contratto che firma è ricco, con concerti invernali in teatro, ed estivi all’Arena Flegrea di Pozzuoli. La sua famiglia si trasferisce per l’occasione in Campania con lui. Emidia ha dieci anni, Maurizio pochi mesi. Una festa per tutti.
La fine di una carriera
La scrittura al “San Carlo”, arrivata direttamente, senza intermediari, segna l’apice, e, nel contempo, la fine, della carriera artistica di Vittorio. Lui si sente arrivato, si illude di poter fare da solo ora, rinunciando al sostegno dell’agenzia che, ovviamente, percepisce delle provvigioni sui contratti che gli procaccia a getto continuo. Ma Vittorio De Santis è un tipo fumantino, che assapora l’euforìa dopo tanti sacrifici, che vuole prendersi, improvvidamente, la soddisfazione di sbattersi, ora, alle spalle, qualche porta. Porte che si chiuderanno tutte per lui. Per sempre. Lo showbusiness dell’epoca lo emargina. Una brillante carriera viene bruciata per ripicca. Nessuno lo cerca più. Nessuno lo vuole più. Tagliato fuori da tutti i giri che contano. Deve lasciare anche il lussuoso appartamento milanese che ha acquistato in tempi di vacche grasse, e del quale non riesce più a pagare, adesso, senza lavoro, le rate.
Quel diploma nel cassetto
Vittorio ritorna ad Ascoli. Deve ricominciare da zero. Ancora una volta. Il diploma che mamma Emidia gli aveva imposto di prendersi prima di inseguire i suoi sogni, si rivela ora prezioso. La saggezza antica paga sempre. Ora appare come un’ ancora di salvezza. Sono diverse le famiglie facoltose ascolane che aiutano Vittorio in questo momento di grande difficoltà. Dopo Emidia e Maurizio, la famiglia si è allargata infatti con l’arrivo di Francesco, nel 1957, e Pasquale, nel 1961. Pietro Gabrielli, proprietario dell’emporio in piazza Roma, e capostipite della omonima dinasty, la signora Cava della prima rivendita di pasta fresca in città, l’orefice Francesco “Checco” Fiori, grande appassionato di musica lirica, fra gli altri, gli danno una mano a trovare un buon posto di lavoro in seno all’Amministrazione comunale. Succede a Don Antonio Caldarelli alla direzione del collegio maschile piceno, ex educatorio, Ente Comunale Assistenza, e successivamente, dopo la chiusura, dell’Ufficio Anagrafe. Almeno così può mantenere la sua famiglia, ma spera ancora, in cuor suo, di riuscire a tornare in palcoscenico. Non smette di scrivere lettere, lanciando appelli a vecchi amici dell’ambiente lirico, alle quali nessuno risponde. Lo invitano ad una puntata di Campanile Sera, teletrasmessa da un paesotto della provincia picena. Una garetta televisiva di acuti, poco adatta fra l’altro, come lui preavvisa, al suo registro vocale. Canta ai matrimoni per arrotondare lo stipendio, qualche volta accompagnato dalle note di un giovanissimo e valente compaesano destinato, insieme al suo violino, a fare molta strada. Edoardo De Angelis. In tante altre occasioni da Staffolani e Cestarelli, oppure dal suo grande amico e poeta dialettale Mimmo Cagnucci. Vittorio è di piacevole compagnia e amante esagerato della buona tavola. Talvolta iracondo, sfodera sempre però la sua grande umanità.
I ragazzi dell’E.C.A.
La dimostra anche alla guida del collegio E.C.A. dove si impegna molto per ammodernare gli ambienti e migliorare quindi le condizioni del soggiorno per i ragazzi ospiti dell’Istituto. “Il collegio prima della famiglia, e Dio prima di tutto” è il suo motto. Un impegno e un affetto ricambiati. Tutti i ragazzi che alloggiano al convitto del l’E.C.A. provengono da famiglie poco agiate e bisognose, quando ce l’hanno una. Molti di loro riusciranno, comunque, a farsi valere, ed apprezzare, in svariati campi, e non dimenticheranno mai il loro direttore. Quando, alla fine degli anni Novanta, Vittorio si ammalerà, andranno a trovarlo tutti insieme anche nella sua casa in via Trieste. Giovan Battista Spalvieri ed Armando De Vincentis fra i tanti altri. Vittorio De Santis, il tenore di Poggio di Bretta, muore nel 2003, vinto dai tanti malanni. Quattro anni dopo si spegne anche la sua Dorina. La figlia Emidia vive ancora a Poggio di Bretta nella vecchia casa ristrutturata di nonna Rosa, nipote di Don Pietro Roncacè, primo parroco del paese. Il marito Gianfranco Diamanti, e Luca, uno dei figli, l’hanno lasciata troppo presto. Due lutti dolorosi che non hanno piegato il suo spirito amabile e indomito. Ha ripreso a seguire le grandi opere liriche in tv grazie a Rai5. Le canta anche lei mentre lavora all’uncinetto. Conosce infatti a memoria molto dei versi delle opere cantate da suo padre. La Tosca del 1955 con Leyla Gencer è fra le pochissime ancora godibili anche su YouTube. Il vecchio pianoforte di papà Vittorio ce l’ha ancora in casa. I suoi figli, Guido ed Emidio, hanno frequentato per un po’ anche il conservatorio musicale a Pesaro. Hanno mollato presto entrambi, ma continuano a conservare la Memoria di nonno Vittorio custodendo gelosamente tutti i ricordi della sua carriera.
E’ stato il più grande, il più famoso dai tempi del Villan d’Ascoli. Anche se Poggio di Bretta, frazioncina contadina violentata dal cemento, di artisti ne ha contati tanti. Da Felice Luzi ad Edoardo De Angelis, già ricordati, da Lorenza Gabrielli a Giovacchino De Carolis fino al giovane astro nascente della lirica, il baritono Davide Peroni. Sarà l’aria.
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