di Maria Nerina Galiè
Un anno di attesa per una risonanza magnetica: non è un caso isolato nell’Area Vasta 5, come nelle Marche e nel resto d’Italia. Tantissime le richieste che, in questa fase critica di post Covid e di carenza di medici (ormaisuona come un mantra), non è possibile evadere.
Nel sito della Regione Marche compaiono solo le prestazioni erogate (il report non è aggiornatissimo a dire il vero), nel rispetto delle priorità contrassegnate nella prescrizione oppure con qualche giorno o settimana di ritardo. Ma solo quelle effettivamente svolte.
Non compare – ma l’elenco c’è ed è consultabile solo da parte degli addetti ai lavori – la cosiddetta “domanda sommersa”.
Anche questa è oggetto di studio da parte della Regione Marche: ad infittire gli elenchi ci sono tutte le chiamate, anche quelle reiterate di uno stesso utente. Si sta lavorando, pertanto e attraverso un apposito programma, per “scremare” le richieste effettive, al fine di intentare azioni mirate.
Non compaiono, sul sito alla voce “Amministrazione trasparente”, le liste di garanzia, cioè le richieste che, non trovando posto al momento della chiamata al Cup, vengono inserite in un elenco per essere richiamati alla prima disponibilità. Alcuni desistono, altri non vengono richiamati.
Quasi impossibile – e sono numerosissime le segnalazioni che ci arrivano – avere un appuntamento nel rispetto della priorità indicata nella prescrizione e in una località relativamente vicina.
A tal proposito si potrebbe scatenare un botta e risposta tra utente e responsabili della Sanità. Il primo: «Se da Ascoli bisogna arrivare a Pesaro per fare un esame, non è un servizio». Il commento dei secondi: «Se non si è disposti alla trasferta, allora vuol dire che non c’è urgenza». L’ovvia considerazione del cittadino: «Tra costi di carburante, autostrada e tempo, tanto vale andare a pagamento». Torna quindi la domanda, a questo punto legittima: «Che servizio, pubblico, è?»
Giusto per ricordarlo, le prestazioni possono essere visite mediche oppure esami strumentali. Sono contraddistinte da un codice di priorità “U” (urgenti), da eseguire nelle 72 ore, “B” (breve) entro 10 giorni, “D” (differita) 30 giorni se si tratta di visita e 60 per l’esame strumentale, “P” (programmata) entro 180 giorni.
C’è anche da dire che qualcuno trova posto: si tratta, nella maggior parte dei casi, di “buchi” lasciati da chi ha disdetto, magari perché ha preso appuntamento mesi prima e, nel frattempo stanco di attendere, si è organizzato diversamente.
Si punta molto sull’appropriatezza delle prescrizioni, affidando al medico di medicina generale la “responsabilità” di intasare le liste di attesa. Ma mettiamoci nei panni del cittadino: chi non vorrebbe avere chiara la propria situazione clinica di fronte a qualsiasi tipo di sospetto?
La presa in carico che, a quanto si apprende, non è oggetto – al momento – del piano di recupero che invece sta puntando ad aggiungere personale per soddisfare la richiesta di prime visite in Area Vasta 5, è un altro fattore critico. Si va in visita, lo specialista consiglia o prescrive un approfondimento, scatta la corsa alla prenotazione: qui la macchina del servizio pubblico si ferma. E’ vero che la presa in carico è di pertinenza dei reparti, è ordinaria amministrazione, dicono gli addetti ai lavori. Ma è anche vero che se si riaprono le agende, i medici e gli infermieri che devono implementare i turni sono gli stessi, a comporre la stessa coperta insomma.
Cosa si sta facendo quindi nel Piceno – su input della Regione che ha messo in campo 13 milioni di euro (ma sono 7 quelli da dividere tra le 5 Aree Vaste, il resto va a Torrette, Marche Nord e Inrca) – per ovviare al problema?
Nessuna risposta ufficiale dai vertici di Area Vasta 5, dove pure si sta lavorando alacremente da giorni, con interminabili riunioni di una commissione istituita ad hoc, di cui però non si possono sapere i passi avanti, seppure piccoli o parziali, quasi fosse un segreto di Stato o una strategia bellica.
Si stanno aprendo le agende, molti medici hanno dato, e stanno dando, disponibilità ad aumentare, giustamente dietro equo compenso, le ore di lavoro. Ma in che misura? Quali sono le specialistiche più in difficoltà?
Nelle Marche, mentre prima del Covid le maggiori criticità riguardavano gli esami diagnostici, adesso sono per le visite specialistiche, cardiologiche e pneumologiche in particolare. Ma pure per gli esami strumentali l’attesa è lunga.
Non che sia determinante, per il cittadino, avere contezza di numeri e tipologia delle richieste, di ore di ambulatorio che si prevede di aumentare, di specialistiche che presentano maggiori problemi o di azioni che si stanno mettendo in campo.
Ma visto che si parla di Sanità pubblica e di strutture che, prima di tutto, sono dei e per i cittadini, prendere atto dei veri punti deboli ed eventualmente contribuire a risolverli, sentendosi coinvolti, è alla base di un rapporto di fiducia reciproca.
Sarebbe una forma di rispetto anche nei confronti dei medici e degli infermieri, reduci da due anni di lavoro disumano, che si prendono “le colpe” dei ritardi degli appuntamenti, dando quasi l’idea che sono loro a non voler lavorare quell’ora in più.
Invece, bocche cucite sui dettagli – ore in più di ambulatorio, eventuale apertura di nuove sedi, eventuale allargamento ai privati, che già nel Piceno coprono un bella fetta di fabbisogno – quando sarebbe utile conoscerli per comprendere sia l’entità del problema sia per intravvedere speranze.
O magari, alla luce di una criticità resa nota e, perché no, anche condivisa con l’utente, primo diretto interessato, qualcuno potrebbe tornare dal proprio medico di famiglia che ha prescritto l’esame e vedere se ci sono alternative. Non desistere, ma aspettare con più serenità.
Forse quello che maggiormente disturba è il silenzio assordante.
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