di Walter Luzi
Sarà stato contento Luigi Brugni dell’onore di aver avuto persino il sindaco alle sue esequie. Se ne sarebbe certamente, scherzosamente, “bullato”, come amava fare in certe occasioni, con i suoi tanti nipoti. Con il suo solito sorriso sornione di sempre. Che non lo ha abbandonato mai. Neppure negli ultimi tempi, quando la sorte ha continuato ad accanirsi contro di lui, riuscendo a vincerlo infine, ma non a piegarlo.
Il saluto del sindaco. Nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo per l’addio a Luigi “Gigi” Brugni, il Cavaliere, il sindaco Marco Fioravanti è venuto davvero. A salutarlo con affetto e riconoscenza. Ad abbracciare il figlio Massimiliano, assessore alle Politiche Sociali nella sua giunta, che ha definito «oltre che un prezioso collaboratore, un grandissimo amico». Insieme a lui una folta schiera di amministratori locali, del presente e del passato.
Ma il saluto più toccante è stato quello del nipote Emidio Premici, il figlio maggiore della sorella Maria Adele. Sforzandosi di non far cedere la voce alla commozione ha saputo ben rendere l’idea su cosa ha rappresentato lo zio per tutta la famiglia. Un secondo padre per tutti loro. Un punto di riferimento costante. Un esempio. Ne ha sottolineato il garbo, la leggerezza, il sorriso e la voglia di vivere mai venuti meno. Ha parlato per tutti, bene interpretando il comune sentire. Dei famigliari più stretti, e non solo.
Il bar-alimentari “Brugni”. I genitori di Gigi, Annibale e Silene, hanno gestito quel bar-alimentari, lungo la strada statale Piceno-Aprutina, in località Castagneti, fin dagli anni Cinquanta. Aperta campagna allora, ancora per poco. A partire dagli anni Sessanta diventerà la prima zona industriale di Ascoli. I terreni e i prati dove le greggi calavano a svernare cederanno il passo ai primi capannoni e a piccole, pionieristiche, industrie. Di fronte c’è la grande caserma della Scuola Allievi Ufficiali di Complemento dell’Esercito. Uno dei fiori all’occhiello della città destinato presto, per primo, ad essere reciso. Annibale è un burbero che la moglie Silene, santa donna armata di infinita pazienza, riesce a stento ad addolcire. I loro primi due figli, Gigi e Pupa, perché tutti la chiameranno sempre così Maria Adele, iniziano molto presto a dare loro una mano dietro ai banconi. Poi arriverà la piccola Manuela. Diventerà una dottoressa oncologa di grande valore. I primogeniti sono portati entrambi al contatto con il pubblico. Ci sanno fare, come si dice. Sono giovani, e più e meglio dei genitori sanno attrarre i clienti davanti a quel bancone. Gli avventori del bar crescono infatti con l’insediamento delle prime industrie e la frequentazione del bar Brugni, per tanti giovani operai e impiegati di passaggio, diventa abituale. Fra di loro anche un ragazzo, un amico, che insieme a Gigi ha fatto anche il servizio militare, e che è destinato a grandi imprese nella sua vita. Battista Faraotti.
La spesa a credito. Nel locale comunicante, attiguo al bar, c’è il negozio di generi alimentari e dei pochi prodotti di prima necessità. Perché allora bastavano poche cose in casa per vivere. E ancora meno per essere felici. La gente va a fare la spesa a credito. E’ normale. La piccola comunità è basata sulla fiducia solidale e sull’aiuto reciproco. Le piccole somme quotidiane Silene se le annota con il lapis su un libricino. I conti si faranno poi a fine mese, quando nelle case dei clienti, se tutto va bene, arriveranno i soldi della paga. E si potranno cancellare i debiti annotati su quelle paginette sgualcite. Proprio a fianco del bar Brugni, separato solo dal campo di bocce, c’è il laboratorio di lavorazione artigianale delle rinomate Olive Tempera. I fratelli Mimì e Cecchì, che ci lavorano con fatica commisurata alla smisurata passione, abitano al primo piano con le loro famiglie. Sono entrambi tifosissimi dell’Ascoli, anche se all’epoca le soddisfazioni calcistiche bianconere sono davvero scarse. In compenso, la primogenita di Emidio “Mimì” e Teresa Tempera, è davvero carina. Porta i nomi delle nonne, Maria Ida, ma tutti la chiameranno sempre Cicetta. Luigi se ne innamora.
Forza Ascoli. Agli inizi degli anni Settanta, le storiche imprese calcistiche dell’Ascoli Calcio fanno del bar Brugni un ritrovo di supertifosi. Tutti pazzi per l’Ascoli. Quasi tutti ammiratori senza speranza di Pupa. Poco distante, in una delle nuove palazzine costruite da Borgioni, abita per qualche anno, un giocatore molto amato, Giuliano Bertarelli. Dopo una sua doppietta nel derby contro la Sambenedettese, Mimì Tempera gli regala un fusto di olive verdi. Il goleador ricambia con un calzettone autografato che sarà venerato per anni come una reliquia, appeso su una parete del laboratorio dei fratelli Tempera. Luigi Brugni è, come sempre, attivissimo, e ha cominciato quasi subito ad organizzare le prime di tante trasferte in pullman al seguito della squadra. E’ considerato un uomo della Provvidenza, Gigi, in queste iniziative dagli abitanti della zona e dagli avventori abituali del bar, che fanno a gara per scrivere il loro nome sulla lista dei prenotati. I primi posti, a fianco dell’autista, sono riservati ogni volta a Gigi e a Cicetta. Il tutto esaurito a bordo è sempre garantito. La festa al ritorno, bandiere bianconere al vento, quasi sempre assicurata. Anche dopo le partite interne, a prescindere dal risultato, si sta insieme in allegria. A mangiare, a bere, a cantare, a sognare. Sono gli anni d’oro dell’Ascoli. E anche i nostri. I suoi sogni Gigi li realizzerà tutti.
Insieme a Cicetta, con la nascita di Massimiliano, prestato alla politica, che a lui e a noi piace solo con la P maiuscola, e Alessandro, che porta ancora avanti l’azienda di famiglia. E poi con l’arrivo dei tanti nipoti che oggi l’hanno pianto come un secondo padre volato via troppo presto.
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