Emozione e tantissime persone per l’apertura dell’undicesima sede dei Musei Sistini del Piceno, a Montedinove, provvisoriamente allestita nel museo delle Tombe Picene. La collocazione definitiva sarà nel campanile della chiesa di San Lorenzo nel cosiddetto “Museo verticale”.
Al taglio del nastro erano presenti, oltre al sindaco di Montedinove, Antonio Del Duca, il parroco don Gabriele Lupi, il vescovo della Diocesi di San Benedetto, Carlo Bresciani, il presidente dei Musei Sistini don Giorgio Carini, la direttrice Paola Di Girolami e lo storico del paese Eraldo Vagnetti.
C’erano anche diversi sindaci dei comuni vicini, come Giovanni Borraccini di Rotella, Amedeo Lupi di Force e Roberto Luciani di Cossignano. Quest’ultimo ha pure espresso la volontà di entrare nelle rete dei Musei Sistini, come aveva fatto Del Duca, tempo addietro, per poi concretizzare l’obiettivo nel momento in cui alcune preziose opere dovevano essere spostate dalla chiesa di Santa Maria de’ Cellis, oggetto di imminenti lavori post sisma.
Ripristinare, custodire, prendersi cura di qualcosa che poi, nel tempo, diventa testimonianza viva del passato, e su cui poggiare le basi per il presente: «I beni culturali racchiudo il concetto del prendersi cura», ha detto la direttrice dei Musei Sistini del Piceno, Paola Di Girolami, che a Montedinove ha pensato ad un allestimento suggestivo.
E’ stata volutamente tenuta visibile l’impalcatura del presbiterio – resasi necessaria per i danni del sisma – e sulla quale sono state adagiate tre opere pittoriche, tra cui la tela della chiesa di Santa Chiara (“Madonna bambino e Santi Francesco e Chiara”) mentre, posto più avanti su un pannello ligneo a fare da sfondo, fa bella mostra di sé il Cristo ligneo del XIII secolo. Accanto, custodita in una vetrina, c’è la Croce astile in argento sbalzato firmata da Masio di Ciccarello, visibile sia nel recto che nel verso.
Tubi innocenti e tombe picene a fare da cornice a manufatti antichi e preziosi, una convivenza del tutto nuova per la rete museale, ma ricca di significato. «Oggi, abbiamo le tombe picene perché qualcuno, secoli fa, si era preso cura di quei corpi. Come poi, nel 1600, le suore clarisse si sono prese cura di quel luogo. Noi, in ultima battuta, ci stiamo prendendo cura di opere d’arte che poniamo alla fruizione del pubblico.
Non dimentichiamo che, durante i lavori, i due crocifissi dovevano essere riposti in un deposito. Invece sono stati lasciati alla comunità che può continuarne a godere, in attesa che tornino nel loro luogo di origine, che è la chiesa di Santa Maria de’ Cellis, quando sarà riaperta al culto dopo i lavori».
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