di Walter Luzi
Il giorno del riscatto. A San Gregorio di Acquasanta, sabato 30 luglio, si rende onore al comandante Giovanni Piccioni. Un giorno atteso dai suoi discendenti, e dal suo paese natale, per centocinquant’anni. Tanti ne sono passati dalla morte del Maggiore in una cella della Fortezza Malatesta di Ascoli, dove, recluso, vecchio e malato, vi aveva passato gli ultimi cinque della sua vita leggendaria. Giovanni Piccioni cesserà così, per sempre, di essere chiamato e ricordato come il brigante Piccioni. L’appellativo dispregiativo con cui lo etichettarono subito, ingiustamente, gli invasori piemontesi.
Da sabato prossimo tornerà ad essere, ufficialmente, per sempre, il comandante Piccioni. Quello che è sempre stato considerato dalla sua gente di ogni epoca, su queste belle montagne dell’Acquasantano. Un capo, una guida illuminata, un leader carismatico. Un uomo istruito, di grande fede, e di azione. Un fedelissimo del Papa, un leale e fervente servitore dello Stato Pontificio, fino all’estremo sacrificio. Non un delinquente comune dunque, come i vincitori piemontesi avevano tentato subito di dipingerlo con la loro propaganda. Non un ladrone bifolco sovente appostato, come vuole l’iconografia ufficiale, lungo la Salaria, nel tronco cavo del grande platano vicino a Mozzano, per rapinare i viandanti. Il mito del Maggiore Giovanni Piccioni tornerà ora alla sua vera luce. Riscrivendone, doverosamente, la storia. Sul muro della sua casa natale di San Gregorio, che divenne poi la sede del suo quartier generale durante le guerre combattute in nome del Papa, sarà scoperta una targa commemorativa. La piazza principale del paese gli verrà intitolata. Pietroneno Capitani presenterà il libro, di prossima uscita, scritto sulla sua vita. Si leggeranno passi di pubblicazioni e documenti che testimoniano il suo alto spessore morale e le tante imprese della sua esistenza.
LA LEGGENDA DEL MAGGIORE PICCIONI
Iniziò qui, come detto, in questa casa di San Gregorio, allora frazione del comune di Montecalvo, nel 1798. Figlio di contadini, ma istruito, da bambino, secondo i rigidi precetti della Chiesa, dallo zio Marco, prete, e parroco, a Casteltrosino. Una fede fervente, e un precettore severo, che segneranno tutta la sua vita. Giovanissimo entra nel corpo dei centurioni, un corpo para-militare bene armato di volontari a supporto delle truppe pontificie nelle regioni più lontane da Roma. E’ in questi anni che arriverà fino al grado di Maggiore, prima del ritorno ai suoi campi, dopo il matrimonio, nel 1847, con Angela Caponi. La Curia Vescovile lo propone come Priore di Rocca di Montecalvo, ma è una sorta di plebiscito popolare dei suoi compaesani a proclamarlo tale. La considerazione di cui gode nella sua terra è infinita, e incondizionata. Il corpo di riserva pontificio che comanda può contare su migliaia di volontari provenienti dall’intera alta valle del Tronto. Alla sua testa muoverà da San Gregorio alla riconquista di Ascoli Piceno, resasi indipendente dopo la rivolta del 1831. La milizia papalina guidata da Giovanni Piccioni avrà la meglio, nel 1849, sugli insorti ascolani del capitano Colucci. Una vittoria che ripristina il governo pontificio sulla città delle cento torri, gli vale una medaglia con una piccola pensioncina. E ne consacra il mito. Lui dopo l’impresa torna a casa, sui monti. Alle sue terre da coltivare, alla sua vita semplice, e ai suoi boschi, di cui conosce a memoria ogni anfratto. Ha messo su una famiglia molto numerosa. Angela gli ha dato infatti nove figli. Cinque maschi e quattro femmine. Ha il suo da fare dunque, ma il Papa, e la Storia, lo chiamano ancora in causa.
L’ULTIMA BATTAGLIA, LA PRIMA RESISTENZA
Quando i legati papali, guidati da Chairiney, arrivano a San Gragorio per chiedergli aiuto, il Maggiore comprende bene che l’impresa, stavolta, è disperata. Le camice rosse di Giuseppe Garibaldi che stanno trionfalmente risalendo la penisola da sud, e i Piemontesi che scendono dal nord, stanno per spazzare via lo Stato Pontificio e il suo millenario potere temporale. Il generale De Lamoriciere, da Roma, promette il sostegno delle potenze straniere per convincerlo a schierare sul campo i suoi montanari volontari. Rinforzi che non arriveranno mai. Ma il comandante Piccioni non è certo un calcolatore, o, peggio, un opportunista. Non esita un attimo a tornare a servire a causa del Papa. Si nutre di ideali nobili Giovanni Piccioni, e slanci disinteressati. Come sempre. Anche dai suoi uomini pretende condotte irreprensibili, sotto ogni aspetto. Le prime scaramucce contro gli invasori piemontesi alimentano qualche illusione di una lunga lotta di Resistenza. La prima condotta in Italia. Non sarà così. Le truppe Sabaude, sotto il comando del generale Ferdinando Augusto Pinelli, iniziano presto a seminare il terrore fra la popolazione inerme anche solo sospettata di dare sostegno agli uomini di Piccioni. Briganti. Delinquenti. Bifolchi nemici del nascente Regno d’Italia, li considerano. “Contro tali nemici la pietà è un delitto” si vanterà il generale Pinelli. Le case vengono incendiate, gli animali requisiti o abbattuti. Saccheggi ed esecuzioni sommarie, con la conseguente interruzione dei rifornimenti, fiaccano presto i volontari di Piccioni. Le atrocità commesse dalle truppe regie, casa per casa, come in ogni sporca guerra che si rispetti, hanno successo. Il comandante scioglie le Compagnie. Chi vuole può tornare a casa.
L’ARRESTO
Pur braccati e affamati in tanti scelgono di rimanere alla macchia con lui. Alcuni dei suoi figli riescono, rocambolescamente, a raggiungere Roma per riunirsi ai comitati anti-unitari della capitale. Uno di loro, Giorgio, rimarrà ucciso in un agguato. Un altro, Leopoldo, arrestato a Roma nel 1867, sconterà venticinque anni di prigione, prima a Gaeta e poi a Pianosa. Un terzo, Gregorio, morirà invece segregato, in condizioni disumane, nel carcere duro di Finalborgo, nel savonese. Il comandante Giovanni Piccioni, pur braccato nei suoi boschi come un animale, riesce per due anni a sfuggire alla cattura. Può contare solo su pochissimi amici fidati, nonostante sulla sua testa penda anche una ricca taglia. Nel 1863 tenta di raggiungere i figli a Roma. Un’altra impresa disperata che naufraga alla stazione ferroviaria di San Benedetto. Lo arrestano lì, grazie all’infamia di una delazione. Tradito da un nuovo Giuda. Tradotto alla Fortezza Malatesta di Ascoli, a settant’anni, Giovanni Piccioni affronta un processo farsa. Che scrive la sentenza già prima di cominciare. Colpevole. Di insurrezione, e costituzione di banda armata. Lo condannano a sedici anni di reclusione, che, alla sua età, significano carcere a vita. Morirà lì dentro, incatenato, cinque anni dopo. Il suo cadavere gettato nella fossa comune della Fortezza. E’ passato un secolo e mezzo.
IL COMANDANTE NON E’ MAI MORTO
Se dopo centocinquanta anni siamo qui ad emozionarci ancora per il comandante Piccioni un motivo ci sarà. Nessuno, su queste belle montagne dell’Acquasantano affacciate sull’Abruzzo, ha smesso di amare il brigante che brigante non è mai stato. La lunga battaglia per la sua “riabilitazione” non è stata, caparbia e lodevole, solo dei suoi discendenti più diretti, sparsi oggi fra Valle Castellana, Ascoli, Campobasso e Montreal. Negli ultimi anni attori come Pino Presciutti, registi come Federico De Marco, musicisti come gli Abetito Galeotta, gruppi canori come l’Officina del Sale, scrittori come Don Virgilio Cognoli, Timoteo Galanti, e soprattutto il già ricordato Pietroneno Capitani hanno fatto rivivere, in varie forme d’arte, un personaggio limpido, e le sue straordinarie gesta. La sua incrollabile fede nella causa, e negli ideali più alti che essa incarnava, il terribile sacrificio suo, e di tre dei suoi figli, che lo avevano seguito in battaglia con lo stesso ardore.
LA RISCOSSA DI UN INTERO TERRITORIO
Il ricordo del comandante Piccioni, l’orgoglio delle sue radici e l’amore per la sua terra, animeranno tutte le iniziative correlate all’evento e legate a questo territorio. Per l’occasione verrà inaugurato un nuovo percorso ad anello fra San Gregorio e Fleno, accessibile anche con segnaletica in braille per ipovedenti, grazie a Officina dei sensi, Uici e associazione “Antiche vie mulattiere di Acquasanta”. Uno dei tanti sentieri che si diramano da San Gregorio. Non solo. Nel quadro di riqualificazione del borgo, ferito anche dal sisma del 2016, verranno inaugurate anche una fontana, un innovativo info-point che vuole anche aggregare, un forno e un barbecue. Merito, in questo caso, del Comune di Acquasanta, del Gal piceno e della Comunanza di Quarto San Pietro. Anche domenica sarà invece attiva la sessione pratica dimostrativa di trasporto del legname con teleferica a cura di Confagricoltura picena. Uno sforzo collettivo per cercare di valorizzare, in chiave turistica ed ecosostenibile, la terra dei… “briganti”. Virgolette più che mai d’obbligo in questo caso.
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