di Luca Capponi
All’epoca i social network non esistevano. Men che meno gli smartphone, i selfie e tutto il cucuzzaro. Internet c’era, ma la velocità di connessione era tutt’altro che… veloce. La lira pure era tra noi, anche se di lì a poco avrebbe lasciato spazio all’euro ridefinendo tutta la vita di milioni di persone. L’attentato delle Torri Gemelle, evento spartiacque della storia moderna, si consumava nel fatidico 11 settembre. Un paio di mesi dopo i fattacci del G8 di Genova. Nel calcio, la Roma di Totti e Capello vinceva lo scudetto, il Bayern Monaco la spuntava ai rigori contro il Valencia, Messi giocava nelle giovanili del Barcellona e Cristiano Ronaldo in quelle dello Sporting Lisbona. Nelle sale cinematografiche spopolavano “Il gladiatore”, “Il signore degli anelli” e “Harry Potter”.
A livello locale, alla guida della Regione Marche ecco Vito D’Ambrosio, il presidente della Provincia è Pietro Colonnella mentre Piero Celani è sindaco di Ascoli da appena due anni. Le cento torri erano molto diverse da oggi. In Corso Trento e Triste, ad esempio, c’erano ancora i ruderi di “Beirut” prima del risanamento che ha visto sorgere nella via principale del centro alcune attività commerciali. Alla guida della curia c’è il vescovo Silvano Montevecchi. Delusione per i tifosi dell’Ascoli, che perde la semifinale playoff per la serie B contro il Messina. Qualche settimana dopo, però, in panchina arriverà un signore chiamato Bepi Pillon. Donati e Giordano, oggi titolari tra i bianconeri, nascono proprio in quell’anno. Alla Quintana si assiste alla doppietta della Piazzarola con Luca Veneri.
Sì, stiamo parlando del 2001. Una vita fa. Ma… perché?
Semplicemente perché anche in quella occasione, esattamente a maggio, il popolo italiano fu chiamato alle urne. Non per proseguire nel forse tedioso elenco, ma in quel periodo Giorgia Meloni era consigliere provinciale a Roma, nelle file di Alleanza Nazionale, Grillo lanciava anatemi dai suoi spettacoli nei palazzetti, Renzi era segretario provinciale del Partito Popolare Italiano, Salvini lavorava per l’emittente radiofonica Radio Padania Libera, diventandone successivamente direttore. Il Pd non esisteva ancora come la maggior parte dei partiti odierni (fu fondato nel 2007), Letta viene dunque eletto per la prima volta, ma nelle fila de “La Margherita”.
E poi c’era Silvio Berlusconi. Già, Berlusconi. L’ultimo premier a portare a termine la legislatura, seppure anche in quell’occasione non mancò un rimpasto (nell’aprile del 2005) dovuto all’uscita di alcuni ministri al seguito del tracollo del centrodestra alle regionali. Nacque un altro governo guidato sempre dall’imprenditore milanese, che giunse così alla scadenza naturale del maggio 2006. Ma non è questo il punto.
Il punto è che lo schema sembra inesorabilmente sempre quello. Che spiegato in termini semplici appare piuttosto chiaro, al di là delle più fini analisi politiche. Italiani al voto, qualcuno vince, si fa il governo, il governo va in crisi per litigi o altro, se ne fa un altro. Che poi a volte risulta ben lontano da quanto espresso dalle urne. Molto ben lontano.
Italia paese del rimescolamento. Della crisi perenne. Degli imprevedibili accordi fatti sempre dopo, lontano dal voto, e mai prima. Dei politici che si prendono a male parole durante la campagna elettorale, bisticciando come bambini dell’asilo, ma poi se serve vanno a dividersi la poltrona. Degli esecutivi che non la sfangano. Dei Governi tecnici. Delle promesse, tante, che ogni volta andrebbero segnate sul taccuino per non dimenticarsele. Dei governanti che governano (solo) sui social, a suon di selfie.
Se a questo, poi, si aggiungono i soliti giochetti tipo quello delle candidature nei vari seggi (vedi le Marche) paracadutate direttamente da Roma (qualcuno spieghi alle persone perché dovrebbero andare a votare o a non votare persone che non hanno mai sentito nominare, nemmeno per sbaglio) o quelli di gente che una volta eletta cambia casacca verso la sponda opposta, beh il gioco è fatto. E le domande sorgono spontanee: ma si tratta di elezioni o di un grande reality show collettivo? Qual è il senso di tutto ciò? A prescindere da come la si pensi, che nessuno venga a scomodare la storia che il voto è un diritto eccetera eccetera. Perché la conosciamo a memoria. Così come quella che dice che, spesso, soprattutto in situazioni di sospetta baracconata, non esprimersi vale molto più che farlo.
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