di Giuseppe Di Marco
Tradizione vuole che gli auguri di buon compleanno si facciano il giorno della ricorrenza, non certo prima. Analogamente, una ricognizione sull’operato dell’Amministrazione comunale a un anno dal suo insediamento si dovrebbe fare al termine dell’anno amministrativo. Ci sono ovviamente eccezioni: una di queste è rappresentata dalle dimissioni del sindaco, dalla caduta della giunta e dallo scioglimento del Consiglio. Uno scenario che ad oggi, a San Benedetto, nessuno dice, ma che si nasconde nella bocca di tutti. Un rospo che nessuno vuole sputare.
La Riviera delle Palme si trova alla vigilia di uno dei punti di svolta per la squadra che governa la città. Giovedì 29 settembre, salvo improbabili ripensamenti, si terrà il Consiglio comunale in cui verrà discusso e votato il bilancio consolidato, un documento che il Comune ha l’obbligo di approvare entro il 30 settembre, pena l’impossibilità di fare nuova spesa per assumere personale per i servizi che puntualmente eroga. Se la maggioranza ha i numeri necessari, l’approvazione di questo atto è una pura formalità. In caso contrario, si ritrova una bega non indifferente. Soprattutto se nel bilancio in questione è stato previsto un punto che ha letteralmente spaccato la coalizione uscita vincitrice dalle elezioni. Ed è proprio questo il caso di San Benedetto.
Se ne è parlato ampiamente nei giorni scorsi e se ne continuerà a parlare. Il convitato di pietra, in tutta questa faccenda, è il “caso” Picenambiente. Una questione che rappresenta solo l’ultimo dei dissidi fra Consiglio, giunta e sindaco. Dissidi non risolti e si sa, se questi vengono lasciati invecchiare non fanno la fine del buon vino, ma dell’aceto.
In ballo, più nello specifico, c’è la questione del controllo pubblico della società partecipata che si occupa della raccolta e del trattamento dei rifiuti di San Benedetto e di molti altri Comuni sulla costa Picena. Una società che per il 50,41% è pubblica, mentre per il 49,59% è detenuta da tre principali soci privati, quali la Eco Nord (25,27%), Deco (20,8%) e Seab (2,48%). Molti consiglieri di maggioranza – sulla carta, tutta la maggioranza – sono favorevole a considerare la Picenambiente società a controllo pubblico: del resto, un pronunciamento della Corte dei Conti ha sancito che le partecipate la cui quota di maggioranza è pubblica, è a controllo pubblico. A non essere d’accordo è la stessa Picenambiente, che presentando ricorso ad una delibera di Consiglio comunale otteneva, nel 2019, una sentenza favorevole da parte del Tar Marche: una sentenza secondo cui per considerare la Picenambiente a controllo pubblico non sarebbe sufficiente la maggioranza delle quote, ma anche una serie di “comportamenti concludenti” atti a dimostrare l’effettivo controllo pubblico sulla società. Comportamenti che, a loro volta, possono essere messi in atto a valle di patti parasociali stretti fra i soci pubblici. Insomma, un garbuglio che mette la società partecipata comodamente nella cassaforte dei privati.
Va detto che l’ex sindaco Pasqualino Piunti avrebbe potuto impugnare detta sentenza, considerando che il Comune si era costituito parte resistente al ricorso della società. Ma così non fu. La linea di quell’Amministrazione fu di non opporsi alla sentenza, perché come disse qualche consigliere di quella maggioranza, «le sentenze si accettano». Una spiegazione superficiale: le sentenze si accettano, ma se l’ordinamento lo consente si possono contestare. Ovviamente se è il caso. E ovviamente, non fu il caso.
Ma cosa c’entra tutto ciò con questa Amministrazione? Cosa c’entra Antonio Spazzafumo? Perché la maggioranza si è spaccata e perché viene ventilata l’ipotesi di una fine imminente?
Il semplice argomento del controllo pubblico della Picenambiente non è sufficiente a spiegare cosa stia succedendo da anni nel palazzo. Dietro questa storia c’è un’istanza maggiore, ovvero il conflitto fra l’organo di indirizzo e controllo dell’Amministrazione, vale a dire il Consiglio, e la macchina comunale, nell’accezione di un apparato abituato a muoversi a prescindere dal bene comune. Abituato a promuovere il proprio interesse interno, abituato a stringere patti di non belligeranza con il sindaco di turno, perché tutto vada avanti come è sempre stato.
La grande illusione di ogni candidato sindaco, o almeno l’intenzione manifesta, è di liberare il Comune dalle pastoie di questo stato delle cose. All’inizio del suo mandato, il sindaco Antonio Spazzafumo aveva annunciato un grande rinnovamento e si sa, le rivoluzioni vere partono dalla base, dal cuore del problema. Non serve scomodare i massimi sistemi: per una città con meno di 50.000 abitanti è sufficiente assicurarsi che i soldi spesi – decine di milioni, in vero – vengano investiti per migliorare i servizi con un certo grado di trasparenza. Nel bilancio consolidato che andrà in Consiglio, la Picenambiente non verrà inclusa fra le società che fanno parte del gruppo amministrativo sambenedettese. E visto che l’ultima ricognizione delle partecipate nega che la Picenambiente sia società a controllo pubblico, questa rimarrà così com’è, non controllata dall’ente pubblico che ne detiene oltre il 19%. Questa è la volontà della giunta, e quindi dell’assessore alle finanze Domenico Pellei e del sindaco, che ha votato questi atti.
I consiglieri di San Benedetto Viva e di Rivoluzione Civica hanno chiesto a più riprese un confronto con Spazzafumo, e hanno anche segnalato al segretario generale Stefano Zanieri un presunto profilo di incompatibilità riferito alla dirigente Catia Talamonti, che ha licenziato la delibera sul consolidato. La segnalazione, in particolare, riguarda un contenzioso che include la Talamonti, e che per i consiglieri renderebbe incompatibile la dirigente con il suo ruolo svolto in tutta questa storia. Va da sé che se la dirigente risultasse incompatibile, la delibera dovrebbe essere rifatta da capo. Peccato però che il segretario, in questi giorni, non sia disponibile per i dovuti chiarimenti alla segnalazione. Peccato davvero.
E peccato che nella serata del 22 settembre i consiglieri, l’assessore Pellei e la dirigente Talamonti non si siano chiariti, pur avendone avuta occasione pulitissima, offerta dalla commissione consiliare nella quale si è parlato, appunto, di bilancio consolidato.
Nel silenzio assordante dell’Auditorium “Tebaldini”, ieri sera, è stata annunciata la fine di questa Amministrazione comunale. Si tratta di sensazioni, di ipotesi, ma visto il clima da cortina di ferro è certo che almeno sei consiglieri voteranno contro la delibera del bilancio. E gli altri? Gli altri, invece, voteranno a favore. In questo modo, tutto dipenderà dal comportamento della minoranza. Se il centrosinistra (Verdi e Pd, Articolo Uno e Nos) è deciso a non appoggiare Spazzafumo, diverso e multiforme sarà il comportamento della destra. Piunti e Carboni non daranno alcun sostegno al sindaco, mentre Traini e Bagalini (FdI), Marinangeli (Lega) e probabilmente anche Muzi (Forza Italia) sarebbero per il sì. In questo caso, la delibera passerebbe ma Spazzafumo perderebbe circa metà della sua maggioranza, che sarebbe costretto a rimpiazzare con la destra, assicurando almeno due assessorati ai principali esponenti di quella coalizione.
Questo, però, è solo uno degli scenari, e secondo indiscrezioni tale patto non andrebbe bene ai vertici di Fdi e Lega, e il motivo è semplice. I numeri, con questo accordo, premierebbero Spazzafumo, ma non gli assicurerebbero solidità nel lungo periodo. Va infatti considerato il jolly di Umberto Pasquali e Martina De Renzis: in futuro, se i due del gruppo misto dovessero mettersi di traverso al sindaco, questi non avrebbe spazi di manovra. Va detto che il socialista non avrebbe problemi a governare assieme ad esponenti della destra, anche perché potrebbe contare su un assessorato e forse sulla presidenza della Multiservizi. Un incastro non impossibile, ma piuttosto difficile da mantenere per quattro anni.
L’altro scenario è quello delle dimissioni. Se Spazzafumo dovesse essere sfiduciato sul bilancio consolidato, potrebbe dimettersi per poi ricandidarsi, e questa volta il piano sarebbe di presentarsi con l’appoggio della destra. Anche questa, però, potrebbe rivelarsi una grande illusione. Una volta caduto, infatti, Spazzafumo non avrebbe garanzie sulla ricandidatura.
Il gioco, insomma, si fa estremamente aleatorio. Quel che è certo è che la credibilità di questa amministrazione, arrivata al ballottaggio con il 19% dei votanti, è ai minimi termini. La coalizione Libera si era presentata, mesi fa, come entità che escludeva i partiti dal proprio asse. Ora, che Spazzafumo venga sfiduciato o meno, l’asse partitico si rende comunque necessario. E per un fine tutt’altro che lusinghiero: la sopravvivenza politica. Reale o presunta, presagita da calcoli concreti o da un’immensa cantonata.
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