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Parto in casa, 75 nelle Marche in tre anni: scelta imprudente o antesignana (in parte) delle nuove linee guida regionali?

COME funziona e cosa ne pensano i dottori Ermanno Ruffini (pediatra) e Giampiero di Camillo (ginecologo), primari di Area Vasta 5. La novità: le gravidanze a basso rischio, da qui a poco, saranno seguite esclusivamente dalle ostetriche nell'apposito reparto ospedaliero, dove il medico interviene solo in caso di complicanze
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I primari Giampiero di Camillo ed Ermanno Ruffini

 

di Maria Nerina Galiè

Partorire a casa non è più una necessità, ma una possibilità permessa alle future mamme anche nelle Marche. Scelta da 75 donne negli ultimi tre anni (dati dei rimborsi tra il 2020 e settembre 2022, nell’Aree Vaste). Di queste 21 sono del Piceno (33 nell’Anconetano, 9 nel Maceratese e 12 nel Fermano).

 

Una scelta che può apparire anacronistica se non addirittura imprudente, sia per la mamma che per il bimbo. Oppure pionieristica, se vista nell’ottica della revisione delle linee guida della Regione, dove si preannuncia una sorta di estromissione del ginecologo dalle gravidanze a basso rischio. Queste, negli intenti di chi è chiamato a rivedere i percorsi, saranno seguite interamente dalle ostetriche, in ospedale e nella fase dei controlli laboratoristici ed ecografici.

 

LE REGOLE  – Attualmente la normativa regionale del 1998 che regola il parto a domicilio recita: “il parto a domicilio, nei casi di gravidanza a basso rischio, rappresenta la risposta alla richiesta di demedicalizzazione ed umanizzazione del parto in osservanza delle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità”. La donna orientata al parto in casa ottiene un rimborso fino a 1.200 euro. Di 400 euro se l’evento si conclude in ospedale, come è capitato.

Un parto in ospedale, senza complicazioni, pesa sulle casse della Sanità pubblica per circa 3.000 euro.

“La donna che decide di effettuare il parto in ambiente extra-ospedaliero – sempre secondo la legge regionale  – deve, entro la 34° settimana di gravidanza, presentare domanda, corredando la richiesta da: dichiarazione di presa in carico della donna da parte dell’ostetrica, che si assume la responsabilità assistenziale del percorso fino al parto e al puerperio, dichiarazione del consenso informato e di libera scelta, sottoscritto dalla donna e dal partner”.

Inoltre, “dopo la 37° settimana è richiesta una rivalutazione clinica della gravidanza che confermi l’idoneità al parto extra-ospedaliero”.

 

IL PEDIATRA – Il bambino che nasce fuori dall’ospedale è al centro delle preoccupazioni di alcuni pediatri.

«Io non sono contrario al parto in casa, ma abbraccio in pieno la posizione, in merito, della Società italiana di neonatologia», afferma il dottor Ermanno Ruffini, primario di Pediatria e Neonatologia dell’Area Vasta 5 e presidente regionale della Società Italiana di Pediatria (Sip). Che entra nel merito: «La Sin allerta sui fattori di rischio. Dice chiaramente che partorire in ospedale è senza dubbio più sicuro che farlo tra le mura domestiche. E’ impossibile escludere complicanze anche nelle condizioni ideali.

 

Sempre per dirla con i colleghi della Sin, la donna che opta per il parto in casa deve essere correttamente informata sui rischi. E, in caso di emergenza, è fondamentale la presenza di un presidio ospedaliero attrezzato, facilmente raggiungibile ed un trasporto rapido in ospedale con personale esperto».

 

«Devono poi essere garantiti a mamma e neonato tutti i controlli necessari nelle ore successive al parto.  Come pediatri, sarebbe auspicabile essere avvisati dell’evento in corso, in modo da tenerci pronti nel caso qualcosa vada storto».

Invece sembra che dei parti avvenuti a domicilio nella provincia di Ascoli il reparto Pediatria non ne sapesse nulla o quasi.

 

In sede di richiesta di rimborso, insieme con il certificato di nascita, la copia della cartella clinica e la certificazione delle spese sostenute, va esibito anche lo screening neonatale. Come fa, dottor Ruffini, chi partorisce in casa?

«Ho motivo di pensare che il prelievo venga fatto dall’ostetrica ed inviato al laboratorio di Fano, preposto alla lettura di tali esami per tutta la regione, anche di quelli effettuati negli ospedali».

 

IL GINECOLOGO – Diversa (anche perché diversa è la prospettiva) l’opinione del dottor Giampiero di Camillo, primario facente funzione di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale “Mazzoni” di Ascoli che, però, concorda con il dottor Ruffini nel dire che «i pediatri dovrebbero senz’altro essere messi al corrente e possibilmente visitare il bambino». 

 

Il primario di Ostetricia e Ginecologia premette: «Sarei contrario se la percentuale di parti che implica un cesareo fosse rilevante. Nel Piceno siamo intorno al 30-35%. Parliamo del 20-25% nei centri di eccellenza. Nella maggior parte dei casi si parla di parti fisiologici che, sì, si potrebbero fare anche a casa».

 

«Stiamo andando sempre di più verso una medicina di tipo “difensivo” – aggiunge Di Camillo – Anche nel partorire, ambito nel quale, con sempre più frequenza, basta che una cosa vada appena storta e via che partono le denunce.

La donna, o la coppia, che sceglie il parto in casa, certamente sarà consapevole degli eventuali rischi e, ritengo di poter pensare, anche più “pronta” ad eventuali eventi avversi.

Così pure l’ostetrica che deve assumersi la responsabilità. E attenzione, non si tratta di “sprovvedute”, ma di professioniste in grado di offrire un parto “protetto”, in grado di capire se l’evento non si sta svolgendo come dovrebbe e, in quel caso, optare per l’ospedale. Sono dotate di diversa strumentazione come il cardiotocografo e l’ecografo portatile.

Ecco, c’è un aspetto che ricordo essere prassi nella mia esperienza di lavoro in Emilia Romagna: quando avveniva un parto a casa, si doveva tenere un’ambulanza pronta nelle immediate vicinanze dell’abitazione dove stava avvenendo».

 

Nel Piceno e sul Fermano, la regola prevede che, a ridosso del parto programmato in casa, la centrale operativa debba ricevere un avviso con la comunicazione della data presunta ed il recapiti di ostetrica e familiari. In questo modo se arrivasse una richiesta di soccorso da uno di quei numeri, gli operatori di centrale sapranno cosa fare ed avranno un’ambulanza dedicata. 

Per tornare ai possibili nuovi percorsi delle gravidanze, seguite anche nella fase dei controlli periodici dalle ostetriche e non più dai medici ginecologi, il dottor Di Camillo tiene a precisa che «si parla di gravidanze che fin dall’inizio si presentano a basso rischio e che verrebbero, in ogni caso, seguite nelle strutture ospedaliere, dove anzi si dovrebbe prevedere l’allestimento di un apposito reparto gestito dalle ostetriche.

Queste professioniste, competenti e preparate, seguirebbero in autonomia il decorso dell’intera gestazione.

E saranno pronte ad allertare il medico qualora, in qualsiasi momento dei controlli o del parto stesso, ravviseranno segnali di pericolo per mamma o bimbo».

 

Un’idea simile il dottor Di Camillo l’aveva avuta tempo fa: «Proposi la realizzazione al “Mazzoni” di quella che avrei definito la “Casa del parto” o qualcosa di simile. Cioè una stanza arredata nel modo più simile possibile ad una camera casalinga, dove la coppia poteva “vivere” il parto come a casa, pur rimanendo all’interno dell’ospedale».

 

 


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