di Maria Nerina Galiè
Buoni pasto, riconoscimento dei festivi infrasettimanali lavorati, indennità di malattie infettive: questo chiedono gli infermieri in forza alla Casa Circondariale del Marino di Ascoli, sul piede di guerra.
Si sono rivolti ad un legale ed il prossimo 11 ottobre la prima udienza al Tribunale del Lavoro di Ascoli, con i professionisti, riuniti in una class action.
Gli infermieri si sono visti costretti a ricorrere al Giudice del Lavoro, contro l’Asur, perché ritengono che i loro diritti, sanciti dal Contratto nazionale, non sia rispettato, a fronte di rischi per la salute e impossibilità di rispettare riposo e addirittura la pausa pranzo, pur effettuando turni di oltre 6 ore di lavoro.
Ed ancora: «Nessun riconoscimento per il personale sanitario, e in particolar modo gli infermieri, per il rischio sanitario che, alla stregua del personale di polizia penitenziaria, subiscono costantemente per il fatto di trascorrere più tempo – rispetto ai colleghi dell’area sanitaria – a contatto con i detenuti».
Un malcontento che serpeggia tra i professionisti, che coprono l’orario h24 da quando al carcere del Marino è stato istituito il Reparto di salute mentale (Rems).
Le richiesta che verranno prese in esame dal Tribunale sono l’indennità sostitutiva del buono pasto (5,16 euro) per ogni turno lavorato eccedente le sei ore, poiché dichiarano di non poter lasciare il servizio per consumare il pranzo e la cena. Chiedono inoltre l’indennità per le giornate di lavoro festivo infrasettimanale. E che venga accertato e dichiarate il diritto “a percepire
l’indennità per particolari condizioni di lavoro”.
A porre l’accento sulla questione della sicurezza è il dirigente provinciale Nursing Up sindacato degli infermieri italiani Roberto Tassi: «In ambito penitenziario – commenta – la tutela della salute è una delle materie più controverse e oggetto di dibattito. Nonostante il passaggio di competenze da Ministero della Giustizia a Servizio Sanitario Nazionale (Riforma della medicina penitenziaria del 2008), la professione infermieristica in carcere continua a presentare aspetti estremamente complessi.
Infatti, la peculiarità del contesto impone che gli infermieri lavorino adattandosi alle regole del sistema carcerario, muovendosi spesso in spazi limitati e con tempi ristretti. Questo può causare disagi e difficoltà nell’organizzazione dei processi assistenziali.
La questione della sicurezza è un problema quotidiano, la popolazione carceraria ha caratteristiche specifiche, diverse dalla popolazione generale sia per quanto riguarda gli aspetti sociali che sanitari.
I detenuti oltre alle malattie comuni a tutta la popolazione (è evidente un numero crescente di detenuti con patologie croniche), spesso presentano stati di salute aggravati dalle condizioni di vita legate alla reclusione e soprattutto dagli stili di vita che in passato hanno pregiudicato i loro organismi. Sono frequenti malattie come Hiv, Epatite C e Tubercolosi, come anche è diffuso il consumo di droghe. Non si dimentichi la pandemia da Covid: in ambito carcerario è stato difficilissimo gestire i percorsi. Tra novembre 2021 e marzo 2022, tanto per capirci, abbiamo gestito un focolaio di 50 contagiati.
Altra criticità per la relazione terapeutica è rappresentata dal fatto che talvolta i detenuti sostengono di sentirsi male solo per aggirare la sicurezza, lasciare la struttura e andare in ospedale. Per gli infermieri può essere difficile capire se si tratta di un vero malessere o se il detenuto sta tentando di allontanarsi dal carcere anche solo per qualche giorno.
Un esempio di strumentalizzazione dei sintomi può realizzarsi con dolore toracico, sincopi, crisi epilettiche, dolore.
Altra modalità per fuggire dal carcere è il fenomeno dell’autolesionismo (ferite da taglio, ingestione di corpi estranei, inalazione di gas, contaminazione delle ferite, tentativi di impiccagione, omissione volontaria di assunzione di farmaci salvavita, ingestione volontaria di farmaci in dosi tossiche, sciopero della fame e/o della sete).
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Probabile simulazione di suicidio: detenuto guardato a vista nel carcere di Ascoli
Un ulteriore fenomeno – continua Tassi – con cui occorre confrontarsi in carcere è quello della multiculturalità. Studi in materia recita che al 31 dicembre 2013 i detenuti stranieri nelle carceri italiane erano pari al 34,9% e provenienti per la maggior parte dall’Africa (46,3%), in particolare da Marocco e Tunisia (rispettivamente 18,6 e 12%), e dall’Europa (41,6%).
Uno studio del 2014 – conclude il sindacalista – è stato realizzato per valutare i livelli di burnout tra gli infermieri che lavorano nelle carceri, con il coinvolgimento di un campione di 95 infermieri. I risultati ottenuti hanno evidenziato che il 31,57 % degli infermieri mostrava esaurimento emotivo, fisico e cinismo, il 6,32% dichiarava un senso di scarsa efficacia professionale».
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