di Walter Luzi
Le giornate autunnali del FAI Giovani ad Ascoli fanno un altro pieno di presenze. Dopo quelle primaverili boom dello scorso marzo, cambia la stagione, ma non la magia. Quella di far conoscere, e far rivivere, luoghi dove il tempo si è fermato. Angoli d’Italia di affascinante bellezza e, quasi sempre, sconosciuta. Piccoli tesori artistici, naturalistici, culturali abbandonati e dimenticati.
Come succede, stavolta, in Corso Mazzini, l’antico decumano romano che taglia in due, da est ad ovest, il centro storico di Ascoli. L’intraprendente Delegazione Giovani del FAI locale, guidata da Gino Petronio, ha riaperto, per l’occasione, le grandi ante del vecchio portone, malandato e polveroso, al civico 228. Al quale nessuno, magari, ha mai fatto caso. Fino ad oggi. E’ uno degli accessi al Palazzo Saladini Pilastri.
Imponente, alla pari del vicino, e più conosciuto, Palazzo Malaspina. Abbandonato e fatiscente da decenni, ma dietro quel portone sgangherato per i tanti visitatori si apre un mondo. Si abbraccia una vista che non potevi neanche lontanamente immaginare percorrendo la stretta e trafficata via da cui si accede. Una veduta che fa rivivere un epoca fastosa e lontana. E’ il grandissimo giardino interno, che si allunga fino all’alta sponda del sottostante fiume Tronto. Ottomilacinquecento metri quadrati di verde nel cuore della città, vestigia di una passata bellezza che si può intuire dalle regolari geometrie neoclassiche dei percorsi. Un nobile decaduto anche lui, il parco, come la ricca famiglia ascolana che gli dà il nome, e che oggi non conta più discendenti. Una maestosità facilmente immaginabile di viali fra prati e aiuole, mortificata da erbacce alte, e troppo prolungata incuria.
Una nobiltà spogliata di ogni ricchezza dai ripetuti saccheggi. I busti e le statue che ne ornavano i viali non ci sono più. Restano solo le nude colonne mozzate dei basamenti. Della rigogliosa dotazione botanica originale si sono perse anche le tracce, per fare spazio agli orti. La profonda fontana centrale che introduce alla coffee-house oggi è vuota. Ma l’acqua, un tempo, qui non mancava. Due pozzi attingevano ad una falda sotterranea che ha alimentato per secoli vasche, serbatoi, e l’antico lavatoio interrato delle monache Benedettine, poi tramutato in fresco ninfeo. Si perchè, almeno dal XV secolo, qui sorgeva un monastero benedettino, con la contigua chiesa di Sant’Egidio. Le religiose vennero sfrattate dopo che la famiglia nobiliare riprese possesso del fabbricato, ma una parte del portico del chiostro quattrocentesco si affaccia ancora sui giardini.
Un gioiello nel gioiello. Che i giovani volontari del FAI diseppelliscono dall’incuria, e dall’oblìo. Il carattere ottocentesco della composizione architettonica gliela conferisce l’architetto Luigi Poletti. I capitelli corinzi in terracotta con cui orna la facciata del palazzo, sono pressochè unici in una città fatta quasi tutta di travertino. Ma è il giardino interno, come detto, a stupire. La piccola coffè-house in fondo al percorso è il gran finale della visita. Le statue in terracotta di due leoni ne vigilano l’accesso, sulla cui sommità svetta ancora lo stemma araldico della famiglia Saladini Pilastri.
Al suo interno ci sono ancora, miracolosamente, le quattro grandi statue nelle loro nicchie, a simboleggiare le quattro stagioni. Portano anche loro, come il tetto e le mura, le ferite degli impietosi affronti del tempo, e del disinteresse degli uomini. Ma è l’affaccio, quasi a picco sul Tronto, a togliere il respiro. Le sue acque non puoi vederle, ma le senti. La fitta vegetazione che ne copre l’alveo, è degna di quel parco fluviale che ancora non decolla. Non ci fossero le troppe case ammucchiate sulla sponda opposta, l’impressione sarebbe di un balcone su un piccolo angolo di Amazzonia.
Le meraviglie della Natura, che non può essere sfregiata, e della Storia, che non può essere dimenticata, si fondono. Entrambe nostre principali ricchezze in dote, delle quali non abbiamo saputo capire la vitale importanza. La prima l’abbiamo quasi completamente distrutta, sacrificandola a favore di un falso progresso. Della seconda abbiamo calpestato gli insegnamenti, correndo incontro ad una modernità drogata. E trascurando a lungo, miopemente, la naturale vocazione, e le grandi potenzialità turistiche di città come la nostra.
Di recente l’Amministrazione Comunale ha acquisito definitivamente la proprietà dell’intero complesso Saladini Pilastri. L’auspicio del Fai, e di tutti noi, è che questo ennesimo patrimonio artistico-ambientale abbandonato in dote alla città, possa essere riportato presto all’antico splendore, per essere restituito alla collettività. Prima possibile.
Giornate Fai d’autunno, ad Ascoli porte aperte in due giardini d’eccezione
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