di Antonietta Vitali
“Con fuoco, donne e mare, c’è poco da scherzare” recita un vecchio proverbio che mette sullo stesso piano le donne e i due elementi più tumultuosi dell’universo, il fuoco e l’acqua, appunto, rendendole cataclismatiche.
La storia è piena di donne che hanno segnato il passo e lasciato un segno tangibile e la settimana appena trascorsa ha parlato assolutamente al femminile, in Italia e nel mondo. A cominciare dall’arrampicatrice iraniana Elnaz Rekabi che, domenica 16 ottobre, alla finale dei Campionati asiatici di arrampicata di Seul ha scalato senza hijab (il velo che copre il capo) diventando il simbolo mondiale della protesta che ha assunto, oramai, carattere di globalità.
Fatta rientrare in patria due giorni prima rispetto alla data prevista per evitare assembramenti all’aeroporto di Teheran, le sono stati requisiti passaporto e telefonino, quest’ultimo, dopo averle dato il tempo necessario di pubblicare una storia su Instagram in cui dichiarava che il velo le era caduto per errore durante la gara. Lei, costretta ad allenarsi da sola perché non le era permesso avere un istruttore che la seguisse, ora si trova agli arresti, la sua famiglia è ricattata, la sua sorte, anche se sotto i riflettori mondiali, tutta molto non chiara e non di rosee previsioni.
“Chi dice donna dice danno” avranno pensato i britannici ascoltando o leggendo la news delle dimissioni della loro premier Liz Truss. Il proverbio tradotto letteralmente suonerebbe “women spell trouble”, qualcosa di inascoltabile e dall’introvabile effetto idiomatico, ma a rappresentare in una caricatura il detto italiano ci ha pensato il settimanale britannico The Economist che in una delle sue copertine/sentenza la disegna vestita da condottiera con una pizza come scudo e una forchetta con degli spaghetti arrotolati come spada.
“Welcome to Britaly” titola la copertina a voler indicare che anche il Regno Unito è sotto il caos di una politica instabile e di un’economia sull’orlo del collasso dopo la Brexit. Il parallelismo della vignetta indicherebbe che noi in Italia a queste tempeste politiche e economiche saremmo abituati.
In parte è vero, dall’altra ricordiamo ai nostri amici oltremanica che noi restiamo il settimo esportatore del mondo e abbiamo mantenuto le nostre quote di mercato mentre loro sono al 14esimo posto con delle vendite in Europa crollate di un quarto negli ultimi cinque anni, E poi, ma questo solo per gioco, facciamo presente sempre ai sudditi di Sua Maestà che noi sappiamo arrotolare gli spaghetti su una forchetta senza farci aiutare da un cucchiaio, anche questa competenza acquisita per deformazione professionale.
Liz, lasciando Downing Street, si porta a casa diverse medaglie, quasi tutte non in oro. La prima, quella di essere stata l’ultimo premier britannico nominato da Sua Maestà Elisabetta II e, ancora, quella di aver battuto il record di primo ministro più breve della storia britannica con i suoi solo 45 giorni di governo (superando George Canning che nel 1827 fu costretto a lasciare dopo soli 119 giorni perché morì di tubercolosi) ed infine, il suo discusso vitalizio 131.000 sterline annue per 44 giorni di lavoro.
“Tutto il mondo è paese” potremmo dire noi che pensavamo che solo in Italia i politici se ne andassero via con le spalle ben coperte.
È l’Italia, adesso, di Giorgia Meloni, prima premier donna della storia italiana, un primato che nel 2022 potrebbe sembrare inutile sottolineare ma che invece è oggettivo e che, soprattutto, notando l’emozione dei suoi occhi e della sua voce durante la cerimonia di incarico, le va indubbiamente riconosciuto.
Giorgia che ha scelto il silenzio totale dopo le elezioni preparandosi al suo incarico di governo, lancia la sua rosa di ministri al termine di una settimana che Silvio ha reso non poco movimentata.
Ma si sa “la donna per piccola che sia, vince persino il diavolo in furberia” e lei, dall’alto del suo metro e sessantatré di altezza (usando questo sciocco dettaglio per giocare sul proverbio) batte a mani basse il “diabolico” Berlusconi non dichiarando, lei, nulla sugli audio usciti, ma facendo dichiarare a tutta la corrente di governo di essere atlantista.
Lei che nel 2016, insieme a Salvini, si dichiarava a favore della corrente dei “lasciamo l’Europa” affermando che “l’Europa è lontana anni luce dai problemi della gente”, ha scelto di abbassare i toni diventando più pacata, certamente consapevole del fatto che, rispetto a sei anni fa, adesso la contingenza europea e internazionale risultano completamente diverse e del tutto stravolte. Ventiquattro i ministeri (alcuni con dei nomi aggiunti che hanno fatto un po’ parlare) sei le ministre donna, nessuna nei cosiddetti “ministeri strategici” ed è rimasto deluso anche chi sosteneva che avremmo visto Draghi all’Economia.
Amatissimo dall’Europa, Mario Draghi la saluta omaggiato da un video di ringraziamento regalatogli dalla Commissione Europea, dopo aver fatto accogliere tutte le proposte italiane per fronteggiare la crisi energetica grazie alle quali, dichiara la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen, “ora avremo una road map buona e solida per lavorare sulla nostra strategia”.
Intrighi di palazzo, strategie, attacchi, difese, vecchie e nuove dichiarazioni, frontiere da esplorare, vecchi “credo” ancora da espugnare, su tutto questo vecchio pazzo mondo che ancora non trova la quadra, la foto della settimana che vince è quella dei Pilastri della Creazione scattata dal telescopio della Nasa James Webb Space Telescope.
Le iconiche colonne di gas e polvere che si trovano all’interno della Nebulosa Aquila (a 6.500 anni luce di distanza dalla Terra), una regione in cui si formano delle stelle all’interno della costellazione del Serpente, con questo nuovo scatto, consentiranno agli astronomi di essere studiate meglio per capire di più sulle stelle in formazione. E forse aiuteranno noi a capire che sotto questa immensa (e popolatissima) sfera celeste siamo pressoché un puntino dominato da esseri che si sentono incredibilmente eterni. “Polvere siamo e polvere torneremo”? Non è un proverbio ma un passo della Bibbia (Genesi 3,19) e anche se lo fosse stato, sarebbe stato troppo tragico persino per la chiusura di un articolo di giornale.
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