di Ugo Bellesi
Nei giorni scorsi si è molto sentito parlare in tv e nei quotidiani di “made in Italy” e della “sovranità alimentare”, parole che hanno suonato come “musica” per le orecchie di quanti amano la gastronomia italiana, i prodotti di eccellenza dei nostri territori e le tradizioni. Come è noto, per rilanciare la cultura gastronomica italiana nel mondo, i nostri portabandiera, più che le campagne di stampa, la pubblicità e persino le fiere, sono i ristoranti italiani diffusi in quasi tutte le capitali e nelle principali città straniere.
Ma siamo sicuri che questi “portabandiera”, oltre agli spaghetti al pomodoro, sappiano essere veramente i promotori dei nostri prodotti e delle nostre ricette? Ci sono moltissimi ristoranti che su questo fronte sono veramente esemplari perché, se non arrivano nei loro laboratori le autentiche eccellenze gastronomiche italiane, certe ricette le tolgono dal loro menù. Altri invece preferiscono purtroppo sbandierare il tricolore ma poi non si curano di avere i prodotti giusti per i piatti della nostra tradizione.
Ma è tempo di guardare anche in casa nostra. Quanti prodotti dell’enogastronomia l’Italia importa dall’estero? Ce lo siamo mai chiesto? Abbiamo fatto una rapida indagine (non certo esaustiva e alcuni dati potrebbero essere non molto recenti) e i risultati ci hanno quasi…spaventato.
In pratica importiamo tutto e da tutto il mondo. Cominciamo dal grano: importiamo 4,5 milioni di tonnellate di grano tenero e 2,2 milioni di tonnellate di grano duro. In pratica questi dati rappresentano il 64% del nostro fabbisogno di grano. Dall’Ucraina arrivano 120 milioni di Kg e dalla Russia 100 milioni di Kg.
E veniamo ai pomodori. Ogni anno importiamo 145.000 tonnellate di pomodoro di cui 100 milioni di Kg. sono “derivati di pomodoro” (compreso il triplo concentrato) provenienti dalla Cina.
L’Italia è un grande produttore di olio extravergine di oliva. Ebbene noi importiamo 549.000 tonnellate di olio di oliva da Spagna, Grecia e Tunisia e questo consente all’Italia di essere il primo importatore mondiale di olio. Nel 2019 abbiamo importato 549.000 tonnellate di olio. E pensare che Bruxelles ha recentemente autorizzato un ulteriore ingresso “senza dazio” di olio tunisino in Europa.
Le olive all’ascolana sono un’eccellenza di Ascoli e delle Marche. Ma quando in rosticceria chiediamo olive all’ascolana ricordiamoci che il 90% di questo prodotto viene dalla Grecia.
E veniamo al latte. L’Italia ogni anno importa 24 milioni di litri di latte che poi vengono “lavorati” dalle nostre industrie lattiero casearie.
Importiamo anche miele. Nel 2015 dall’estero ne sono arrivati 23,5 milioni di chili. Il 20% viene dalla Cina (ove purtroppo è consentito l’uso del polline Ogm) e il resto da Romania e Ungheria.
Dalla Francia importiamo vino (Champagne in primis) pari a 1.38 milioni di ettolitri con un costo di 167 milioni di euro. Dalla Spagna arrivano 1.15 milioni di ettolitri con un esborso di 44 milioni di euro. Quantitativi minori di vino vengono invece da Portogallo, Austria e Germania.
Abbiamo ben presente che la nostra penisola (proprio per essere penisola) si trova immersa nel mare e quindi avrebbe a disposizione una grande quantità di pesce. Ed invece l’80% del pesce che mangiamo viene dall’estero. Soltanto dal Giappone ne arrivano 21 milioni di Kg. Ma il pesce arriva anche dai Paesi Bassi, dalla Thailandia, dalla Spagna, dalla Grecia, dalla Francia, dalla Danimarca e persino dall’Ecuador.
L’Italia produce tantissime varietà e qualità di prosciutti che sono apprezzati in tutto il mondo. Ma ricordiamoci che su 5 prosciutti 4 sono cosce di maiali importate.
Noi italiani siamo grandi produttori di ortofrutta. Ne esportiamo annualmente per un valore di 157 milioni e nel 2017 abbiamo toccato il record di esportarne per cinque miliardi di euro. Ma siamo anche grandi importatori in quanto ogni anno facciamo registrare un import pari a 66.000 tonnellate.
Per quanto riguarda specificatamente la frutta ne importiamo ogni anno da paesi extraeuropei 14,2 tonnellate per un valore di 14.3218 milioni di euro.
E abbiamo bisogno anche di carne. Così risulta che nel 2022 (ma fino al mese di luglio) abbiamo importato bovini da allevamento per 502.014 capi. Abbiamo invece acquistato carni fresche e rigenerate dall’estero per 185.609 tonnellate.
Nel 2020 abbiamo importato 1.455.000.000 uova di gallina.
Ma importiamo anche zucchero dal Brasile, riso dal Pakistan, melograni dalla Turchia, legumi dagli Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, Medio Oriente e Cina. I fagioli vengono dal Brasile.
Perché mai abbiamo bisogno di tante importazioni? Ne abbiamo discusso con alcuni esperti del settore ed i motivi sono risultati molteplici. Ne indichiamo i principali. Innanzitutto perché in Italia la superficie coltivabile è diminuita. Dai 18 milioni di ettari del 1970 siamo scesi agli attuali 13 milioni. In secondo luogo perché i prodotti provenienti dall’estero costano meno di quelli prodotti in Italia. Il terzo fattore è costituito dalle politiche restrittive dell’Unione europea.
Quindi? “A buon intenditore poche parole…” Tutto quanto sopra riportato significa che molte delle nostre eccellenze agroalimentari hanno come materia prima dei prodotti provenienti dall’estero. Ma non perché siano migliori dei nostri ma soltanto perché costano meno. E perché costano meno perché o c’è una manodopera “sfruttata” con bassi salari o le regole igienico sanitarie sono molto meno rigide di quelle italiane.
E allora il consumatore maceratese cosa dovrebbe fare? Soltanto preferire i prodotti che vengono dal nostro territorio. Ve li immaginate se è possibile che i produttori di ciauscoli dell’alto maceratese facciano venire i maiali (o anche soltanto i prosciutti) dalla Cina? Non ci “sprecherebbero” neanche un euro. Pensate un attimo se è possibile che i pastori dei Sibillini vadano ad acquistare il latte in Germania per fare il pecorino. Sicuramente si vergognerebbero di ingannare i loro clienti con un formaggio fasullo. E lo stesso discorso dobbiamo fare per il miele. I barattoli di vetro del miele nostrano esposti negli scaffali dei negozi di alimentari recano espressamente anche il nome del produttore. Non ci si può sbagliare. Altrettanto dicasi per l’olio dove già il prezzo ci dice molto. Un litro di olio che viene esposto al prezzo di 7 o 9 euro è – secondo gli esperti – molto probabilmente di provenienza sospetta dal momento che con 5 euro ci si paga il vetro, l’etichetta e il tappo. L‘olio extravergine di Coroncina, ad esempio, costa 15 euro al litro. Altre varietà di olio extravergine delle Marche possono arrivare a costare anche 20 euro e oltre se ad esempio è bio, lavorato a freddo ecc.ecc.
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