Walter Junior Casagrande è stato senza dubbio uno dei più grandi calciatori che abbiano mai indossato la maglia dell’Ascoli nei 124 anni di storia bianconera. Arrivò nell’estate del 1987, dopo aver disputato anche 19 partite (8 gol) con la Nazionale del Brasile, il suo Paese, dove è nato 60 anni fa (li compie il prossimo aprile) e dove vive. Ad Ascoli rimase quattro stagioni, tre in Serie A e, in mezzo, una retrocessione in B con immediato ritorno nel massimo campionato. In maglia bianconera giocò 96 partite di campionato segnando 38 gol.
Prima di approdare alla corte del Presidentissimo Costantino Rozzi aveva giocato in Portogallo, nel Porto, e prima ancora in Brasile con le maglie di Corinthians (soprattutto), Caldense e San Paolo. Lasciato l’Ascoli, passò al Torino die rimase due stagioni in A prima di far ritorno in Brasile per chiudere la carriera di nuovo nel Corinthians e poi nel Flamengo.
La sua carriera e la sua vita le ha raccontate Enzo Palladini nel libro “Casagrande: all’inferno e ritorno” che è stato presentato oggi, giovedì 24 novembre, alla “Rinascita” di Ascoli alla presenza di alcuni suoi ex compagni di squadra ai tempi dell’Ascoli, qualche tifoso del Picchio, dello stesso Palladini (intervistato dal giornalista ascolano Massimiliano Mariotti) nell’incontro moderato da Emidio Premici.
Momenti di amarcord e aneddoti. Eccoli.
Domenico “Meco” Agostini: «Ricordo il comportamento calcistico ed extracalcistico di una persona di un’anima straordinaria, lontana dallo stereotipo del calciatore. Un esempio? Lo accompagnai dalla concessionaria AutoLelli il primo giorno che arrivò e lui prese una Fiat Croma usata. Ci sentiamo ogni dieci, quindici giorni e quando non ha più visto quel bel manto erboso del “Del Duca” è rimasto molto dispiaciuto. Insieme abbiamo vissuto uno dei più bei periodi dell’Ascoli Calcio. Averlo conosciuto e averci giocato è per me motivo di grande soddisfazione».
Lorenzo Scarafoni:«Aveva doti tecniche e umane importanti. Insieme a lui era facile giocare. E’ stata un grande calciatore, non mi permetto di giudicare le sue esperienze di vita, ma credo che meriti un grande plauso per aver condiviso il suo lato negativo, che negativo non è perché si tratta di un vissuto».
Giuseppe “Peppe” Carillo: «Si inserì perfettamente nel contesto ascolano. E’ stato un calciatore di altissimo livello. Della sua vita extra calcistica, ad Ascoli non ha fatto notare nulla. Nei ritiri, in camera, parlando d’altro, di sociale o di politica, veniva fuori il suo carattere, la sua dedizione, veniva fuori un altro Walter, una persona semplice. E’ stato un onore giocare con lui ed essere suo amico».
Rosario Pergolizzi: «Per me era un punto di riferimento, bello vederlo giocare, anche in allenamento era un motivatore per me che ero giovane. Anche quando c’era da chiedere premi a Rozzi si faceva rispettare. Poi era anche una rottura di scatole, voleva la palla sempre data bene, ma serviva anche a dare motivazioni. Eravamo un gruppo molto affiatato, non di altissima qualità, ma quando scendevamo in campo avevamo un obiettivo chiaro: dare il meglio e vincere, un po’ quello che in questo momento manca al calcio italiano».
Come trascorrevate il tempo libero con lui?
Carillo:«A fine allenamento noi ascolani a volte ci fermavamo dietro la porta a fare quello che facevamo a dieci anni al campetto, ovvero giocando per ore. Qualcuno inventava una telecronaca e stavamo lì un’altra ora. Walter spesso si fermava con noi, sembrava essere cresciuto nel settore giovanile con noi. Poche volte siamo stati a cena fuori perché era un… casalingo, gli piaceva restare a casa con la moglie».
Pergolizzi: «All’epoca abitavamo vicini a Villa Pigna. Era una persona normalissima: casa-campo e campo-casa. Un professionista di cui ho dei bellissimi ricordi. Sono qui oggi perché lo merita, ha portato avanti delle idee e non ha mai cambiato strada».
Agostini: «Era un grande appassionato di musica e spesso ascoltavamo insieme le classiche canzoni italiane, ma a me piaceva di più il blues e il rock. Sono andato un paio di volte a cena a casa sua, era una persona di un’educazione straordinaria. Non vedevamo il campione, ma un compagno».
Scarafoni: «Aveva i miei stessi problemi al ginocchio. Era un grande motivatore e detestava perdere, anche nelle partitelle. A volte ho avuto la sensazione di una sua doppia vita che lui cercava di allontanare, poi andando via da Ascoli purtroppo è andata così».
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