di Gianluca Ginella
«Rosina Carsetti è stata uccisa dal nipote, lo provano il tentativo di costruirsi l’alibi e i dialoghi intercettati con la madre. E poi quando è stato arrestato disse che era stata una liberazione, non credo che una persona innocente, come lui sostiene di essere, reagirebbe così».
In un mare di intercettazioni, consulenze medico legali e tecniche, interrogatori, ritrattazioni, trasmissioni Tv, e 15 udienze di fronte alla Corte d’Assise di Macerata, il pm Vincenzo Carusi ha tratto le somme del delitto di Rosina Carsetti. In cima a quei cumuli di fascicoli che sono il ritratto su carta della storia delle indagini sul delitto della vigilia di Natale del 2020, il pm ha messo il nome di Enea Simonetti: «L’ha strozzata lui». Subito al suo fianco, com’era da una vita, la mamma di Enea, Arianna Orazi, la figlia della 78enne uccisa «che ha tirato le fila».
Più defilato, ma per nulla estraneo all’omicidio a cui si sarebbe arrivati anche per una storia di maltrattamenti partita dall’inizio della convivenza sotto lo stesso tetto nella villetta di Montecassiano (Macerata), il marito di Rosina, Enrico Orazi, 80 anni. Per tutti il pm ha chiesto, al termine della sua requisitoria, la condanna all’ergastolo con unica differenza sull’isolamento diurno (18 mesi per Arianna, 10 mesi per Enea, 6 mesi per Enrico).
«Quella che sto per pronunciare – ha premesso – è una parola che non mi piace per niente. È stato ritenuto sia una pena compatibile con la Costituzione, quella dell’ergastolo e inoltre esiste una legge, la Gozzini, che lo trasforma in una pena che non è più eterna. La Costituzione dice bisogna rendere la pena compatibile con la riabilitazione del condannato. Non riscontrando attenuanti di sorta per nessuno dei tre, nessuno di loro ci ha aiutato né all’inizio né alla fine».
ENEA – Sul più giovane dei tre imputati il pm si è concentrato su alcune frasi intercettate che lascerebbero zero spazio a dubbi. In particolare quando il nipote della donna uccisa, la notte del 25 dicembre, poche ore dopo il delitto, in caserma dà una versione diversa dei fatti e insomma nega che ci sia qualcosa di vero nella storia del rapinatore entrato in casa. La madre lo affronterà e nasce un dialogo che dura diverse ore. Ad un certo punto la madre dice: «Perché non hai mantenuto quello che ho detto? L’incidente (Enea aveva detto che gli avevano riferito questo, ndr), che incidente è? Dì che hai avuto paura e hai detto una cazzata». Poi ad un certo punto dice «Poi quell’altro che fa?», con riferimento a Enrico Orazi. E ancora: «Enea non dire mai quello che hai fatto, mai. Non puoi dire quello che hai fatto». Più tardi Enea dice: «Ma ti rendi conto di quello che ho fatto?» e la madre dice: «Non me ne frega niente». Poi ad un certo punto dicono «abbiamo sempre detto che l’anello debole era Righetto (Enrico Orazi, ndr)».
Questi alcuni passaggio del dialogo del 25 dicembre che sono stati letti dal pm, che ha concluso: «Io ne deduco che questo dialogo dimostra che a strozzare la nonna sia stata il nipote. È la madre che lo dice in questo dialogo con Enea, dice “Chi l’ha strozzata? Io, Una persona che pesa 70 chili? Non dire mai quello che hai fatto”. Lui poi ha spiegato che quello il riferimento a quello che ha fatto sarebbe stato mettere a soqquadro la soffitta. Ma in quel momento stavano parlando dell’omicidio. Inoltre come fosse morta la nonna non lo poteva sapere, non c’era una relazione del medico legale, non avevano i cellulari».
C’è poi la questione dell’alibi. «E’ l’unico a vantare un alibi quando la nonna è stata uccisa, già il fatto che questo alibi sia stato modificato, arricchito, la dice lunga. Parla di essere andato a vedere una nuova casa. Che ci fosse una urgenza tale di andare a vedere una casa la vigilia di Natale, col lockdown, già di per sé la dice lunga. Poi Simonetti dice che non è andato a vedere la casa ma è rimasto nel parcheggio e giustifica il fatto di non averne parlato prima perché poteva sembrare strano che potesse essere rimasto per un’ora fermo a giocare col cellulare nel parcheggio. Poi si prodigano a cercare soggetti che potrebbero corroborare una tesi, che lui fosse nel parcheggio a consumare droghe, quindi cercano spacciatori, partono per Cingoli un giorno.
Comunque di tutte queste versioni non parlano mai nelle intercettazioni, non c’è un dialogo in cui Arianna Orazi dica, ad esempio: “Perché non sei andato a vedere le case come ti avevo detto e sei rimasto nel parcheggio? Mai ne parlano». Altro dettaglio emerso nel corso del processo il fatto che Enea abbia girato a sinistra invece che a destra uscendo dal parcheggio del supermercato Coal che sta a 300 metri circa dalla casa dove abitava. «Ha girato a sinistra, andando a fare una strada parecchio più lunga, perché passa davanti alla caserma dei Carabinieri, magari voleva vedere se ci fosse movimento e in quel caso aspettare ancora a tornare a casa».
Il magistrato ha poi rammentato una frase «che Enea ha detto quando è stato arrestato: “Per me è stata una liberazione”. Non credo che una persona che sa di essere innocente reagirebbe in questo modo».
Oltre a questo, quanto Enea al processo ha parlato avrebbe fatto un autogoal nel dare la sua versione finale. Quella in cui ha accusato nonno e mamma del delitto. «Lui può aver detto di avere cambiato versione perché prima voleva aiutare la madre ma restano tutti gli altri punti. Nel controesame – continua Carusi – lui dice che sono stati la madre e il nonno, e ad un certo punto il difensore chiede quando gli venne riferito e lui dice che era stato nei giorni successivi all’omicidio, dalla madre. Ma poi il difensore più tardi chiede: ma lei il 25 già sapeva che madre e nonno avevano strozzato la nonna? Lui ha risposto di sì, e dice che gliel’hanno detto quando è rientrato. Quindi si contraddice anche nella stessa versione, quella in cui dice di aver detto la verità».
Secondo il pm poi il delitto probabilmente è avvenuto prima delle 18. «Alle 17,46 il cellulare di Arianna Orazi (che poi il figlio aveva preso quando era andato al supermercato, ndr) aggancia il modem, quindi era lì. Poi per andare al supermercato ci vuole un minuto in auto, difficile pensare che possa avere impiegato 15 minuti, lui al Coal arriva alle 18,01. A mio avviso alle 18 era già tutto finito».
ENRICO – «Su Enrico non abbiamo prove sulla premeditazione, non abbiamo elementi per dirlo con certezza però possiamo dire molte altre cose rispetto a lui. È stato direttamente coinvolto in questa attività di sfinimento psicologico, ci mette del suo, “il concorso nell’omicidio deve essere letto nell’atto dei maltrattamenti (ha scritto il tribunale del Riesame accogliendo l’appello della procura che chiedeva gli arresti domiciliari per Enrico Orazi, ndr), l’omicidio è un tragico ma naturale sviluppo”. Magari non ha toccato il corpo della moglie, ma non ha fatto nulla per evitare che ciò accadesse».
IL MOVENTE – Sarebbe legato ai maltrattamenti. «Pensate 10 mesi così: essendo spiata, chiamando i carabinieri per fare venire pattuglia dentro casa, ma forse le è stato fatale, lei pensava magari potesse servire. Quella richiesta dimostra che lei non ne poteva più. Era un rapporto normale? Erano normali litigi? Penso di no. L’evento finale è indicativo del fatto che quando disse “Mi ammazzano” qualcosina l’aveva capito Rosina. Sul movente ritengo che loro ad un certo punto si rendono conto che le cose si mettono male, sapevano del centro antiviolenza, e c’è quella frase che dice a Rosina: “se succede qualcosa a mio figlio ti ammazzo”, per me il movente è questo.
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