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Le storie di Walter: il Trio Itinerante, musica per pochi eletti (Video e foto)

TRE MONDI musicali diversi si fondono in un progetto controcorrente e no profit. Tre amici musicisti per diletto irridono tutti i canoni usuali dello show-businnes e suonano solo per i pochi fedeli delle chiesette di paesini sperduti nel cratere sismico. Gratis ovviamente. Mille followers sulla loro pagina FB prima che arrivasse il Covid a spezzare il ritmo. La forza della musica che scalda i cuori, l’emozione di una esperienza sospesa fra arte e volontariato     
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di Walter Luzi

 

Tre amici e un’idea originale di fare musica. E’ quella del Trio Itinerante. Una band controcorrente. Contro la modernità. Alternativa allo show-businnes. Alla musica fatta per il marketing, per il guadagno, per l’immagine, per i grandi numeri. Un progetto invece, il loro, destinato agli ultimi, agli anziani, agli abbandonati nel devastato cratere post-sisma. A pochi dunque. Le piccole chiesette di sperdute frazioni montane che diventano palcoscenico privilegiato. Funzioni religiose che, a sorpresa, si animano, riprendono vigore con i loro canti e le loro musiche. Parroci e fedeli, sulle prime increduli, diffidenti, e, poi, entusiasti. Performances artistiche autentiche, anche pregevoli, le loro, che diventano un dono esclusivo. Vi raccontiamo la storia del Trio Itinerante. Sospesa fra fede e musica, volontariato e arte. Alla ricerca di sé stessi, e alla riscoperta del Prossimo. Tre ragazzi innamorati della musica che hanno pensato e voluto realizzare questa singolare iniziativa. Per loro letizia, e, soprattutto, per quella degli altri. Quelli con i capelli bianchi, ultimi fragili testimoni di un mondo che si sta perdendo. La musica del Trio Itinerante vuole essere un riavvicinarsi a loro, un ritorno all’essenziale.

 

I TRE ITINERANTI

 

Una lunga amicizia e l’amore per la musica li accomuna. Vengono da esperienze artistiche e musicali molto diverse, ma si ritrovano uniti nel condividere un progetto senza precedenti. Che nasce e si sviluppa con forza, che disprezza i canoni tradizionali, e gli stereotipi consolidati, propri di ogni artista. Che ripudia piazze affollate e repertori di cover, compensi, ribalte e sovraesposizioni mediatiche. Marco Di Domenico, 44 anni, è un single di Sant’Egidio alla Vibrata. Inizia i corsi di contrabbasso al “Braga” di Teramo quasi subito interrotti «…nonostante andassi piuttosto bene – racconta – perchè la testa a sedici anni è quella che è, e il richiamo del rock era irresistibile…», poi passa al basso elettrico. Ha iniziato a suonare i successi dei Pink Floyd e dei Led Zappelin fino ad avvicinarsi al Funky e al Jazz. Con la band “Sogno di Giada” a San Benedetto vince il concorso voci nuove prima di arrivare, nel 2005, fino alla finale della Accademia di Sanremo. Si presentarono con un  rock elettronico. Oggi lui lavora con la panetteria Polverini a Sant’Egidio. E’ credente e praticante. «La nostra musica è un servizio alla collettività – spiega – io la intendo con una vocazione spirituale in grado di creare, ogni volta, una atmosfera molto particolare. Il nostro progetto è come una sberla al mondo contemporaneo, che va va sempre più veloce, frenetico, verso la superficialità, il vuoto apparire, l’esibizionismo diffuso».

Stefano Cialini, santegidiese anche lui, 45 anni, suona la chitarra classica, dopo gli inizi metal e successiva formazione rock-blues. Ha frequentato il conservatorio musicale di Pescara e la scuola del maestro Giuseppe Continenza, ma per vivere ha fatto il benzinaio e, oggi, il meccanico in una officina automobilistica. E’ il mediatore fra le anime, agnostica da un lato e più intimista dall’altro, della band. Marco lo definisce «…un uomo alla ricerca…». E’ sposato, e papà di una figlia piccola, come Guido Diamanti. 49 anni, è libero professionista che viene dalla lirica. Patrimonio genetico di famiglia. E’ il nipote infatti del celebre tenore Vittorio De Santis, popolare cantante lirico drammatico di livello nazionale e internazionale negli anni Cinquanta e Sessanta. Seguendo le orme del nonno frequenta corsi di canto prima allo “Spontini” di Ascoli e poi al “Rossini” di Pesaro, ma non riesce a diplomarsi . Vince anche concorsi nazionali come ai Giardini dell’Aulos di Rimini nel 1993, ma poi finisce a fare il barman. Oggi è il frontman della band. «La componente religiosa – spiega – almeno per me, è marginale. Non siamo un coro parrocchiale del tipo gruppi Gen o Acr. Per me è importante sottolineare l’emozione che regaliamo ogni volta rompendo la solitudine di questi fedeli, per lo più anziani. Con la nostra presenza inattesa, con la nostra musica che, comunque, li sorprende, li stupisce, li turba, e li emoziona anche, infine. L’esperienza artistica si fa, soprattutto, esperienza umana. La potenza della musica scioglie le diffidenze e apre i cuori».

 

Il Trio Itinerante

IL REPERTORIO

 

Musica sacra, o quasi, ovviamente. Il cantico delle creature a rompere il ghiaccio. Il Panis angelicus di Tommaso D’Aquino accompagna solitamente la Comunione. Il gran finale è con l’Ave Maria di Gounod e Bach, perché l’altra, ugualmente famosa, pare che sia stata scritta da Franz Schubert per una donna, e dunque considerata, in ambito ecclesiale, sacrilega. Alcuni parroci  hanno voluto conoscere in anticipo la scaletta dei brani. E’ capitato che i più… ortodossi abbiano chiesto di modificarla. Altri, soprattutto quelli di origine africana e sudamericana, sono i più aperti, ed entusiasti. L’Alleluia di Leonard Cohen, che arriva all’Offertorio, una volta è stato censurato ed escluso da un giovane parroco, timoroso di esporsi a richiami da parte del Vescovo. «Riarrangiamo tutti i pezzi – spiega Marco – anche se quasi tutti i classici, comprensibilmente, non possono essere stravolti. Altri invece, come l’Intro del Santo, ad esempio, sono stati rivisitati e contaminati con sonorità pop, più moderne e orecchiabili».

 

LE LOCATION

 

Chiesette sperdute. Spesso avvolte ancora dalle imbragature messe dai Vigili del fuoco nell’immediato post sisma, destinate a restarci chissà fino a quando. Piccole e fredde. Oppure consacrate in una casetta di legno nei villaggi Sae. Soluzioni abitative in emergenza che diventano, all’italiana, provvisoriamente stabili, anche per decenni. Fra lande desolate con pochissimi, ostinati e fieri, residenti. Teatro di funzioni tutte uguali, per poche vecchiette infreddolite sotto i baveri alzati e i fazzoletti neri annodati sotto il mento. Donne forti, che hanno vissuto tanti dolori e disillusioni senza perdere mai la loro fede antica. E’ in questi scenari che si propongono, a sorpresa, i Tre Itineranti. Tre giovani dalle facce pulite ma forestiere, che armeggiano con i leggii e le loro chitarre. Guardati, sulle prime, con un po’ di sospetto, ma pronti, con la loro musica, a portare gioia nei loro cuori. Solo per il piacere di farlo.

 

GLI INIZI

 

«La prima volta che ho provato a presentarci in anticipo – racconta Guido Diamanti – mi hanno riattaccato il telefono in faccia. Diffidenza massima, come è anche giusto che sia. Le vicende di cronaca nera si sprecano purtroppo. Furti nelle chiese, raggiri, truffe agli anziani. Quando parli poi di no profit, che, cioè, è tutto gratis, si dà subito adito a pensare: allora dove starà la fregatura?…». Anche Don Alessio Cavezzi, un amico, giovane ed ex apprezzatissimo parroco a Poggio di Bretta, viene coinvolto per fare da tramite con i… colleghi. Passare parola cioè che gli i Tre Itineranti sono bravi ragazzi, non dei malintenzionati. E che la causa è nobile. Spesso c’è da vincere anche la gelosia di organisti e corali locali che si sentono feriti nell’orgoglio dall’inattesa invasione di campo. Quando capita, si cerca di non urtarne troppo la suscettibilità. Meglio ancora evitare subito, in partenza, certi imbarazzanti …conflitti di competenze.

 

L’ESORDIO

 

L’avventura parte proprio alla vigilia dello scoppio della pandemia. Riusciranno, comunque, a vivere una ventina di esperienze, a cavallo fra Marche e Abruzzo, prima del lungo stop imposto dalle misure anti Covid. Prima assoluta a Collefalciano di Acquasanta Terme. 13 ottobre 2019. Come il Bambin Gesù I tre itineranti vedono la luce in una (ex) stalla attigua alla canonica terremotata di Don Peppe Tanziani. Un anziano prete di campagna, molto amato, che ha sparso il suo gregge anche fra le frazioni di Forcella e Centrale. Saranno proprio queste le tappe successive del loro originale… tour alternativo. Il primo successo è scritto, alla fine, nei sorrisi stupiti e negli occhi lucidi di quelle poche nonnine. Una anziana signora, terremotata, ogni volta che tornano quassù, dopo la la fine della Messa, li accoglie con un buon caffè caldo, preparato con la moka in un container. La sua nuova casetta di legno. Un tetto sopra le poche cose che è riuscita a salvare dopo il terremoto. E’ questa la condivisione più autentica. I Tre Itineranti privilegiano non a caso le piccole frazioni nel cratere sismico. Forcella, Umito, Paggese, Polesio. E poi il versante abruzzese: Santa Reparata, Sant’Andrea, Rocche e Favale di Civitella, Pietralta di Valle Castellana. Chi li ha conosciuti li rivuole ancora. Qualcuno propone sinergie, con promesse di procacciamento di ingaggi in occasione di cerimonie, come battesimi, comunioni, matrimoni. Sono chiaramente fuori strada, perché l’esibizione a pagamento fine a sé stessa è proprio agli antipodi con lo spirito degli Itineranti. Non esiste tariffario, non è previsto cachet. Accettare un’offerta spontanea è già una forzatura alla loro filosofia. Come quella di una ragazza che li ha prenotati con due anni di anticipo pur di averli, a tutti i costi, a suonare al suo matrimonio. Il fine di lucro è escluso in partenza. Banditi i soldi, così come gli appuntamenti di lusso, le location sfarzose, le folle di spettatori. E come, al polo opposto, gli ambienti bigotti, le ristrette e snob èlite, i circoli esclusivi. Chiusi. Come troppe menti.

 

GLI ANEDDOTI

 

A Forcella suonano fra le due statue di San Gabriele e Sant’Antonio. Loro tre in mezzo con i loro strumenti e l’unico amplificatore. La voce di Guido, potente come quella di suo nonno, non ne necessita. E’ live tutte le volte. Entra dalle orecchie, ma va a conficcarsi, dritta, fin dentro il cuore dei fedeli. Finita la messa Don Peppe deve precipitarsi a Collefalciano, dove lo aspettano per un’altra funzione domenicale, e poi a Centrale per la terza della giornata. Loro ricaricano gli strumenti alla svelta, e lo seguono in macchina, ma si fermano alla doppietta. L’esperienza musicale è sempre destinata a poche persone che non se lo aspettano. A Santa Reparata chiesa inagibile. Funzione religiosa ospitata nel salotto di casa messo a disposizione da uno dei fedeli. Sono in quindici, più i Tre Itineranti. Tutti ammucchiati in una stanza. Indimenticabile. A Polesio anche dei ragazzi presenti in chiesa per la funzione. Una rarità. La band attacca con i suoi cavalli di battaglia. Sonorità accattivanti. Giri di basso che ammiccano al blues. Lontani anni luce dai canti monodici gregoriani, propedeutici allo sbadiglio. I ragazzi si voltano spesso a guardarli. Quasi a sincerarsi che sia tutto vero. Sono turbati, e increduli, anche loro. «Se suonano sempre questi tre – commentano sottovoce – dobbiamo venirci più spesso alla Messa…».

 

QUELLA VOLTA A UMITO

 

Il parroco coloured brasiliano di Umito, Padre Paulo Lopes Da Silva, ha appena terminato la celebrazione accompagnata, per la prima volta, dai Tre Itineranti. La musica, a lui, piace molto. Quella domenica, anche per lui, non è stata una liturgia come tutte le altre. “La Messa è finita, andate in pace”. E fa per avviarsi verso la sacrestia. Loro attaccano subito il gran finale con le note dell’Ave Maria di Charles Gounod. Il prete si blocca e sgrana ancora gli occhi. Si cava subito dalla tasca il telefonino e videochiama i suoi parenti in Brasile. Non crede ai suoi occhi. E nemmeno i suoi parenti, che assistono anche loro a quell’inusuale e spettacolare epilogo della santa Messa, dall’altra parte del mondo, via whatsapp. Il successo della band può dirsi ora, a ragione, internazionale. Il grande freddo di quella mattina di gennaio, con le parole che escono di bocca insieme ai fumetti di alito nell’aria gelida, non lo sente più nessuno. I cuori sono scaldati dal bel canto, e dalla buona musica. Come ogni volta. La gente non scappa più via, di fretta, dopo la benedizione. Resta ad ascoltare fino alla fine dell’esecuzione. Rapita. Ammirata. Felice. E come ogni volta, puntuale, alla fine scatta l’applauso spontaneo. Per tutti fa, davvero, meno freddo adesso. «Suonare in pub davanti a centinaia di persone che mi hanno ben pagato – confessa Marco Di Domenico – non mi dà la stessa emozione». Una vecchina di novantadue anni si avvicina in lacrime. «Voi siete una grazia di Dio». Lo dice stringendo, forte, nelle sue, le loro mani.

 

A Umito

A Santa Reparata

A Pietralta con Don Giorgio

A Colle Falciano

Colle Falciano

 


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